2019-10-05
Il vescovo di Ferrara difende la vita purché non «deformata» da malattie
Monsignor Gian Carlo Perego firma un editoriale equivoco sul settimanale diocesano: afferma che l'esistenza vada sì tutelata dal concepimento, ma solo finché qualche patologia se ne «impossessa». È un rimando all'eutanasia. Dal concepimento alla morte naturale: i confini della vita umana e della sua difesa, in ambito cattolico, sono sempre stati netti. Ma dei cambiamenti potrebbero essere in arrivo. Questo almeno lascia intendere il comunicato dell'arcidiocesi ferrarese apparso in prima pagina sull'ultimo numero della Voce di Ferrara-Comacchio, il settimanale diocesano, a proposito della recente sentenza della Corte costituzionale che ha spianato la strada al suicidio assistito. Un pronunciamento che, in tempi normali, avrebbe dovuto far scattare una ferma reazione in casa cattolica che a Ferrara, dove il punto di riferimento è monsignor Gian Carlo Perego, sembra esserci stata. Tutt'altro.Lo testimonia, per l'appunto, il comunicato dell'arcidiocesi sul tema, contenente un passaggio a dir poco inquietante, che pare andare in direzione persino opposta all'incondizionata difesa della vita fragile insegnata da millenni dalla Chiesa. Ad un certo punto, infatti, la nota stampa afferma che «la vita deve essere difesa sempre dal suo concepimento fin quando la malattia se ne impossessa e la deforma». Ora, a parte una scelta terminologica non esattamente felice, ciò che allarma è la mancanza di chiarezza di questa frase: che cosa vuol dire che la malattia si «impossessa» della vita «e la deforma»? E soprattutto chi stabilisce il confine prima e dopo il quale ciò avverrebbe: un medico? Un bioeticista? Un vescovo?Non è affatto chiaro. Così come non è chiara, e forse è un bene, l'implicazione soggiacente ad un simile ragionamento, che pare quasi sconfinare in una legittimazione dell'eutanasia. Quando la malattia si «impossessa» della vita «e la deforma» si può infatti forse ritenere non più assoluta e ferma la sua difesa? È un dubbio cruciale che il comunicato dell'arcidiocesi di Ferrara-Comacchio non solo non dirada, ma perfino alimenta. E il problema è che non è il solo aspetto discutibile di un testo in cui, ad un certo punto, si afferma la necessità di accompagnare il malato fino a quando «il dolore diventa insopportabile e le cure inutili». Qui gli aspetti critici risultano addirittura tre. Innanzitutto non è chiaro come un dolore possa oggi diventare «insopportabile» nel momento in cui un paziente sia adeguatamente trattato con le cure palliative.In secondo luogo, ancora una volta, non si capisce cosa si dovrebbe fare davanti ad un malato le cui sofferenze diventassero enormi: sedarlo? Trattarlo con la terapia del dolore o altro? Chissà. Una terza imprecisione riguarda poi le parole «cure inutili», espressione che non tiene conto di una differenza fondamentale in bioetica: quella tra le terapie - che possono effettivamente rivelarsi «inutili» quando una malattia risulta inguaribile o quando la vita di un paziente volge allo stadio terminale - e le cure, che non riguardano una patologia bensì, per l'appunto, di cura della persona e che quindi «inutili» non sono mai. Beninteso, nessuno qui intende insinuare che l'arcidiocesi di Ferrara strizzi l'occhio all'agenda radicale sul fine vita, anche perché sulla prima pagina della Voce, accanto ad un comunicato che - lo abbiamo visto - non brilla per chiarezza, c'è un editoriale a firma di Francesco Bonini da cui traspare un netto rifiuto sì dell'accanimento terapeutico, ma anche del suicidio, dell'omicidio e dell'eutanasia.Sarebbe tuttavia bello che la voce più cristallina sui temi etici fosse anzitutto quella ufficiale di una arcidiocesi che però, quando vuole, riesce a parlare benissimo di quanto gli sta a cuore, migranti in primis. Lo dimostra, manco a farlo apposta, proprio il comunicato di cui si è fin qui parlato che, se da una parte non è certo esemplare per limpidezza, dall'altra non manca di fare un riferimento proprio al tema dell'immigrazione. La nota stampa si conclude infatti con un «un forte richiamo alla coscienza contro ogni forma di aiuto o di abbandono alla morte delle persone, in terra e in mare».Ora, dato che non si ha notizia di imbarcazioni su cui salgano persone che vogliono l'eutanasia, ne consegue come l'allusione «all'abbandono alla morte delle persone, in terra e in mare» sia una forzatura bella e buona, che alimenta il curioso paradosso per cui, in un comunicato che avrebbe dovuto riportare semplicemente una ferma sottolineatura sulla difesa della vita morente, ciò che avrebbe dovuto essere chiaro tale non è affatto, mentre ciò che c'entra ben poco risulta invece chiarissimo. Misteri della comunicazione curiale.