2025-01-22
Il tycoon elimina la censura di Stato. Bruxelles insiste: «La rafforziamo»
Mentre l’Europa si trincera («Più controllori per il Dsa»), Donald Trump cancella la museruola di Joe Biden per limitare la libertà di espressione sui social. Via pure tutte le politiche inclusive per le assunzioni nell’amministrazione.Donald Trump ha mantenuto la promessa. Tra i numerosi ordini esecutivi firmati subito dopo essersi insediato, il presidente americano ne ha siglato uno a tutela della libertà di espressione contro le ingerenze degli apparati governativi. «Negli ultimi quattro anni, la precedente amministrazione ha calpestato i diritti di libertà di parola, censurando il dibattito degli americani sulle piattaforme online, spesso esercitando una notevole pressione coercitiva su terze parti, come le società di social media», recita decreto.«Con il pretesto di combattere la “disinformazione”, il governo federale ha violato i diritti di parola protetti dalla Costituzione dei cittadini americani in tutti gli Stati Uniti», si legge ancora. Fatte queste premesse, l’ordine prescrive di «garantire che nessun funzionario, dipendente o agente del governo federale intraprenda o faciliti alcuna condotta che possa limitare incostituzionalmente la libertà di parola di qualsiasi cittadino americano». Viene inoltre espressamente vietato l’utilizzo di fondi pubblici per attività volte a limitare la libertà di espressione. Infine, il decreto stabilisce di elaborare «misure appropriate per correggere le passate condotte scorrette del governo federale in relazione alla censura della libertà di parola».Si tratta di una misura tutt’altro che inattesa. Negli ultimi anni, i repubblicani hanno spesso accusato, non senza fondamento, le grandi piattaforme social di censura ai propri danni. E la stessa Silicon Valley qualcosa aveva cominciato ad ammettere. Già ad agosto, Mark Zuckerberg aveva riconosciuto di aver subito pressioni dall’amministrazione Biden, nel 2021, per censurare su Facebook i contenuti sgraditi inerenti al Covid. È inoltre emerso che, nel 2020, gli «avvertimenti» dell’Fbi contribuirono a indurre Twitter e la stessa Facebook ad applicare delle restrizioni allo scoop del New York Post su Hunter Biden. È, quindi, all’interno di questo quadro che Zuckerberg, recentemente convertito sulla via del trumpismo, ha abrogato l’utilizzo dei fact-checker per quanto riguarda il funzionamento di Facebook negli Stati Uniti. Il ceo dei Meta li ha, infatti, sostituiti con le «note di comunità»: strumento già da tempo usato dal social di Elon Musk, X.Ebbene, mentre Trump tira dritto contro la censura online, la Commissione europea guarda a tutt’altro modello. «La Commissione intensificherà la squadra che monitora l’attuazione del Digital service act, arriveremo a 200 persone entro il 2025», ha dichiarato ieri la vicepresidente della Commissione europea con delega alla Sovranità tecnologica, Henna Virkkunen.«Andiamo avanti anche con il Codice sulla disinformazione. Meta, X, Google, TikTok hanno già sottoscritto questo codice, io mi attendo un forte impegno per l’attuazione del codice», ha proseguito, per poi concludere: «Presto lanceremo delle consultazioni sullo Scudo per la democrazia. La Commissione è fortemente impegnata a difesa della democrazia e del discorso civico». Insomma, l’approccio di Washington e Bruxelles alla questione appare antitetico. E non è detto che ciò non possa alimentare delle tensioni tra la seconda amministrazione Trump e la Commissione europea.Ma la libertà di espressione non è l’unico dossier al centro dei pensieri del presidente americano. Quest’ultimo ha anche firmato un ordine esecutivo volto a sradicare dagli apparati le politiche di diversità e inclusione, promosse e attuate dall’amministrazione Biden: politiche che Trump ha significativamente definito «discriminatorie». «Le pratiche di impiego federali, comprese le valutazioni delle prestazioni dei dipendenti federali, premieranno l’iniziativa individuale, le competenze, le prestazioni e il duro lavoro e non prenderanno in nessun caso in considerazione i fattori, gli obiettivi, le politiche, gli obblighi o i requisiti di diversità e inclusione», recita il decreto.Neanche a dirlo, c’è chi sta già sostenendo che queste misure sarebbero reazionarie. In realtà, le cose non stanno propriamente così. Trump ha sempre combattuto l’«identity politics», considerandola fondamentalmente antiamericana. L’obiettivo, per il tycoon, non è la creazione di quote, ma il ripristino dell’efficienza sulla base del merito. Non sarà facile per lui riuscirci. Ma che l’aria sia cambiata, lo dimostra non soltanto l’ordine esecutivo di cui abbiamo parlato ma anche il fatto che, a dicembre, l’Fbi abbia chiuso il suo ufficio per la diversità e l’inclusione. Tutt’altro che reazionaria, questa linea politica del presidente americano è totalmente in armonia con i principi del liberalismo classico.E attenzione: non credete a chi racconta che si tratterebbe di una mossa contro le minoranze. Trump non ha mai fatto mistero di non gradire le politiche su diversità e inclusione. Ciononostante, a novembre, è diventato il candidato repubblicano che, a livello storico, ha ottenuto più voti dall’elettorato ispanico. Non solo. Ha anche incrementato il sostegno da parte degli afroamericani. Segno, questo, del fatto che anche ampi settori delle minoranze etniche non ne vogliono sapere delle politiche su diversità e inclusione.E non è un caso che lo sradicamento di queste stesse politiche stia avvenendo di pari passo con un energico spoil system, che ha già visto il licenziamento di un migliaio di funzionari pubblici nominati da Joe Biden. Per Trump e Musk, la ristrutturazione degli apparati è un obiettivo cruciale. Ed è proprio su questo dossier che dovrebbe presto entrare in scena il nuovo dipartimento per l’Efficienza governativa.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)