2022-06-26
l super pm scrive al Colle: «Così hanno regalato l’impunità ai magistrati»
Rosario Russo il 13 giugno ha spedito il suo j’accuse contro Salvi, pg della Cassazione, a Quirinale, Csm e Cartabia: «Archiviate illegittimamente le autopromozioni dei giudici rivelate dal caso Palamara».Il violento j’accuse arriva dalla Sicilia e da alcune ore sta mettendo in subbuglio le chat dei magistrati italiani. Il prossimo 9 luglio il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, storico esponente della sinistra giudiziaria, andrà in pensione lasciando dietro di sé un mare di polemiche su quella che ormai passerà alla storia come una forma di condono tombale delle raccomandazioni in proprio o conto terzi dei moltissimi magistrati che si sono rivolti all’ex consigliere del Csm Luca Palamara per essere nominati in ruoli direttivi, ambìti dalle toghe italiane fino alla perversione. A mettere nero su bianco tutto ciò è Rosario Russo, già autorevole magistrato di Cassazione (oggi in pensione), in servizio presso la procura generale del Palazzaccio dal 1999 al 2017. Lo ha fatto in una denuncia (svelata ieri dal Foglio) inoltrata il 19 giugno 2022 al vertice supremo della magistratura del Paese, vale a dire il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma anche al Consiglio superiore della magistratura e alla «ministra della Giustizia» Marta Cartabia. La cornice è ovviamente la vicenda Palamara e più precisamente le conversazioni estrapolate dal telefono sequestrato all’ex consigliere del Csm e raccontate in anteprima da questo giornale. Scrive infatti Russo: «Nel 2019 esplode il caso Palamara e le sue chat, pubblicate prima sui media e poi raccolte in almeno tre volumi di grande successo editoriale, generano vasto scandalo e attese di redenzione della magistratura». Catarsi che, secondo Russo, non sarebbe mai arrivata. Nonostante quelle conversazioni coinvolgessero «moltissimi magistrati, tra cui perfino il procuratore generale presso la Suprema corte, almeno secondo i novantasette magistrati che pubblicamente ne hanno invocato le dimissioni, ove egli non avesse smentite le accuse mossegli dal dottor Palamara». Il riferimento è alle presunte richieste di promozione che sarebbero avvenute anche in un pranzo su una bella terrazza romana. Vero o falso che sia, Salvi, per il suo inaspettato accusatore, non avrebbe intrapreso le doverose azioni disciplinari previste dalle leggi non soltanto nei propri confronti (difficile pretenderlo), ma neppure verso i colleghi che in modo petulante avrebbero cercato il classico aiutino. Ricorda Russo che il pg deve attivarsi ogni qual volta «venga a conoscenza di una «notizia disciplinare», mentre al Guardasigilli la legge concede una certa discrezionalità. Tuttavia Salvi, con le ormai famose circolari di giugno e settembre 2020 su auto ed etero promozioni (petulanti sponsorizzazioni degne di Wanna Marchi) ne avrebbe ridimensionato la gravità, riducendo «autonomamente il perimetro del dovere impostogli, ampliando ad libitum il campo della legittima “inazione”». Russo cita in proposito, con un po’ di malizia, alcuni scritti giuridici dello stesso Salvi risalenti al 2010, dove l’attuale Pg evidenziava come l’obbligatorietà dell’azione disciplinare fosse il necessario contrappeso alla mancanza di controlli sull’operato del procuratore generale. Obbligatorietà che, però, grazie alle circolari, è parzialmente venuta a mancare. Con esse Salvi si sarebbe quasi sostituito sia alla sezione disciplinare e, «in ultima istanza», persino alle sezioni unite della Cassazione, alle quali spetterebbe «l’ultima parola sull’interpretazione della scorrettezza disciplinare». Anche perché proprio le sezioni unite, a proposito del caso Palamara, su richiesta di Salvi, hanno stabilito che sia l’autopromozione che l’eteropromozione sono in ogni caso disciplinarmente censurabili. Alla fine il paradosso è che Palamara è stato radiato dalla magistratura per aver esaudito le richieste dei postulanti in toga e costoro in forza dell’«editto» di Salvi sarebbero stati graziati. Russo sulle autopromozioni arriva a chiedersi «a che servano allora le procedure concorsuali», previste dalla Costituzione. Un quesito rinforzato da questa domanda retorica: «L’utente finale della giustizia non preferisce il più meritevole rispetto all’autoraccomandato?». Il linguaggio giuridico, dotto e felpato, di Russo, originario di Catania, ammanta accuse incandescenti, come la lava dell’Etna. In sostanza, a giudizio dell’ex ermellino, Salvi avrebbe addirittura «illegittimamente creato - e ufficialmente proclamato - uno «stato d’eccezione» per cui le cosiddette autopromozioni non sono disciplinarmente rilevanti e devono essere archiviate, sottraendole al giudizio della sezione disciplinare e del Csm e creando criticità anche per la repressione delle eteroraccomandazioni». Un’accusa che si può tradurre in modo più secco: il pg avrebbe creato una sacca di impunità.Russo nella dettagliata denuncia riporta quale caso di scuola quello di Massimo Forciniti, attualmente presidente di sezione al Tribunale di Crotone, il quale secondo la consigliera del Csm Elisabetta Chinaglia avrebbe posto in essere una «complessa attività clientelare-spartitoria» iniziata quando sedeva a Palazzo dei marescialli insieme con Palamara e proseguita anche nei mesi successivi. Diversi consiglieri hanno evidenziato la mancata azione disciplinare nei confronti di Forciniti, se non per una sola condotta. E Fulvio Gigliotti, conterraneo del giudice sotto esame, ha fatto mettere a verbale di «dichiararsi sorpreso del mancato esercizio dell’azione disciplinare, ormai non più utilmente esercitabile». Nella denuncia l’asserita pericolosità di questi presunti trattamenti di favore trovano un ardito parallelismo con la pandemia: «La deliberata omissione di azione», per Russo, «ha conseguenze assai pìù radicali e stabili dell’eccesso d’azione», che, al contrario della prima, può essere riparata dalla sezione disciplinare, «come in generale (e nella clinica medica in particolare) un «falso negativo», ha conseguenze normalmente ben più gravi di un “falso positivo”». Ma nell’opera di Salvi ci sarebbe una circolare a monte di quelle già citate ancora più deleteria, quella che avrebbe reso possibile la «scorretta segretezza dell’archiviazione predisciplinare». Questa disposizione è stata pensata proprio all’inizio del caso Palamara ed è definita da Russo un vero «proprio “editto”» con il quale il pg avrebbe «stabilito autonomamente che, a differenza di quella penale […], l’archiviazione disciplinare non può essere comunicata al cittadino (o al suo avvocato) che ha segnalato l’abuso disciplinare del magistrato» e si sarebbe riservato «il potere di interdirne la conoscenza anche al magistrato indagato, all’Anm e perfino al Csm».Per Russo «il generale e proclamato rifiuto di rilasciare copia» delle archiviazioni si tradurrebbe «in abnormità disciplinare imputabile proprio al pg».Il risultato finale di tutto questo? Eccolo: «Ne consegue che, illegittimamente archiviando (alla stregua del proprio “editto”) le autopromozioni (con il silente avallo del ministro della Giustizia), il pg le ha sottratte irreparabilmente al doveroso giudizio della sezione disciplinare» e ha reso «critico l’esperimento dell’azione disciplinare (e l’eventuale condanna) perfino per le eteroraccomandazioni». Qui il denunciante elenca alcuni dati che dovrebbero dare il senso dell’impunità che sarebbe stata garantita ai magistrati: «Nel 2021 il pg ha promosso l’azione disciplinare nel 4,1%, ha archiviato nel 94,4%, ha concluso il procedimento con altre modalità nell’1,5% delle pratiche inscritte». Numeri che, però, non sarebbero sufficienti a chiarire la situazione: «Il dato delle archiviazioni è aggregato: impossibile perciò extrapolare e individuare le archiviazioni attinenti alle chat di Palamara e, tra di esse, specificamente le autopromozioni e le eteropromozioni». Per l’ex ermellino, a parte «Palamara e i suoi correi nella “congiura” dell’Hotel Champagne», non si ha notizia che «tutte le gravissime e numerose scorrettezze documentate dalle famose chat siano state (trattate e) sanzionate in sede disciplinare o abbiano provocato il trasferimento d’ufficio». Un quadro che l’ex ermellino prova, apparentemente, a rendere meno drammatico, con questa chiusa: «La magistratura è ancora in tempo per risorgere dalle proprie ceneri e rifondarsi in piena trasparenza». In realtà, a tre anni dall’esplosione del caso Palamara e dalla successiva annunciata rivoluzione (anche di fronte a Mattarella), queste parole suonano piuttosto come una dichiarazione di resa.