2019-07-08
Il sindacato che licenzia
Da compagni a padroni: tutte le volte in cui Cgil, Cisl e Uil silurano senza pietà i dipendenti. Invocando persino il Jobs act.Contrordine, compagni. Non ci sono solo padroni avidi, manager spietati e multinazionali ciniche e bare. Quelli, insomma, usi e adusi alla macelleria sociale. Perfino i sindacati, nel loro piccolo, licenziano. Suo malgrado, se n'è accorta pure Iginia Roberti: 56 anni d'età e 35 di servizio alla Fillea di Taranto, federazione legno e affini della Cgil. Messa alla porta con la più liberista delle motivazioni: «Criticità finanziaria». Così il glorioso sindacato, che si fregia di stare accanto agli ultimi, s'è appellato al Jobs act. Ovvero: la legge contro cui, da anni, si scaglia lancia in resta. «Pessima», «da cancellare», «una presa in giro»: Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, già rocciosa guida della Fiom, da anni tuona e rituona contro la detestata riforma voluta da Matteo Renzi. «Favorisce i licenziamenti», compendia. Iginia l'ha sperimentato sulla sua pelle. Lo scorso 7 maggio le comunicano: restituisca le chiavi dell'ufficio, grazie. Due giorni dopo, arriva una sbrigativa lettera di fine rapporto. «Ora sono una madre disoccupata, con un figlio di 21 anni a carico, un fratello disabile e una madre malata» si dispera l'ex funzionaria. Che ha già adito vie legali, contestando la sua espulsione. «Non è stato possibile individuare altra mansione, in ragione della limitatezza che riguarda la nostra struttura territoriale» si giustifica la Fillea di Taranto. Ma adesso le vicissitudini di Iginia potrebbero finire davanti a un giudice del lavoro. A meno che il suo appello a Landini non sortisca l'auspicato ripensamento. Eppure, qual è il motto della Cgil? «Non ti lasciamo solo». Macché. Solissima è rimasta anche Ketty Carraffa, 53 anni, già pasionaria lombarda dei diritti delle donne. Cacciata in tronco più di un anno fa. Quando le recapitano a casa una scarna raccomandata. Oggetto: «Licenziamento per superamento del periodo di comporto». Insomma, troppi giorni di malattia. L'interessata si difende: «Sono stata vittima di mobbing, demansionamento e discriminazioni». La Cgil però è inflessibile. Rapporto cessato. Alla battagliera Ketty non resta che fare ricorso. Ma, a novembre 2018, i giudici milanesi confermano la decisione del sindacato. «Golia ha vinto» commenta amara l'ex dipendente. «Ora farò un'asta di beneficenza per pagare gli avvocati». falsa accusa al cafDopo lungo e speculare travaglio giudiziario, è stato invece reintegrato Giuseppe Filannino, impiegato nella Bari servizi e lavoro, un centro di assistenza fiscale. Ancora della Cgil. Era stato licenziato con un'infamante ma bagatellare accusa: aver trattenuto 800 euro da una signora per una pratica di successione. Ma per il tribunale non «v'è prova del fatto contestato». L'uomo non s'è però accontentato della sentenza favorevole. E ha denunciato in procura i supposti autori del suo allontanamento. «Licenziare un proprio lavoratore» racconta «è un reato orribile per qualsiasi datore. Ma, fatto da uomini della Cgil, diventa abominevole. Ho avuto la forza, il coraggio e la sana follia d'andare avanti. Scontrandomi contro la maggiore organizzazione sindacale europea». Domandina finale e capziosa: «Con quale faccia andiamo in piazza a rivendicare i diritti, se poi ci comportiamo così in casa nostra?». Già. Anche le altre sigle però non si esimono. La triplice stavolta concorda: licenziare non è più peccato mortale. Si può liberamente parlare di corda a casa dell'impiccato. Ma come? Gli ultimi baluardi contro l'irrefrenabile onda capitalista. I difensori dei deboli. Quelli dell'articolo 18, delle tutele garantite, dei vigorosi niet a qualsivoglia ristrutturazione. Proprio loro. Nessuno escluso. Pure l'insigne Uil ha difatti le sue afflizioni. Cominciate dalla sentenza con cui, qualche tempo fa, viene decretato il fallimento della Uil servizi, di Reggio Emilia. Parapiglia finanziario emerso dopo la causa intentata da tre persone, costrette a dimettersi per l'incessante crisi che ha coinvolto il sindacato. L'ex segretario provinciale della Uil, Luigi Angeletti, solo un omonimo dell'allora numero uno nazionale, le prova tutte per evitare la dipartita delle colleghe. Arriva persino a proclamare un clamoroso sciopero della fame. Nel mentre, accusa i vertici nazionali d'aver lasciato a casa i dipendenti, dalla mattina alla sera. Senza colpo ferire. Niente da fare: il giudice reggino decreta la fine della Uil servizi. Poi nomina un curatore fallimentare. E così sia.Cordiali saluti. Gli stessi inviati nel Canavese, in Piemonte. Stavolta è protagonista la Cisl, altro storico cardine della triplice. Pure qui: il trambusto nasce dalla riorganizzazione dei servizi fiscali, tra Ivrea e dintorni. Che porta allo scioglimento della Gsc, società che gestisce in zona consulti e dichiarazioni dei redditi per la sigla cattolica. Al suo posto, nasce una più snella società regionale. Bisogna accorpare, riassorbire, snellire. Proprio come d'uso nelle aziende oggetto d'impietosi strali. Risultato: quindici lavoratori perdono il posto. E solo alcuni vengono riassunti. Già. «C'è grossa crisi» diceva Quèlo, il falso profeta di Corrado Guzzanti. E i sindacati vivono tempi cupissimi: iscritti in picchiata, conti in affanno, peso calante. Dettaglia Lavoce.info: dal 2012 al 2017, soltanto la Cgil ha perso 473.000 tesserati. Mentre i cugini della Cisl, dal 2010 in poi, hanno rinunciato a mezzo milione di iscritti. Un calo che, dopo lustri passati a rimpolpare organici e duplicare servizi, ora si riverbera su tutte le organizzazioni.Nessuno si salva. Neanche i duri e puri dell'Unione sindacale di base. Insomma, quelli dell'Usb. Che, due anni fa, decidono di dare il benservito a Rossella Lamina, dipendente dell'ufficio stampa. Undici anni di tenace e proficuo servizio nel sindacato degli arcigni. Che, per capirsi, considerava Susanna Camusso, ex segretario della Cigl, una specie di mammoletta. La giornalista viene comunque licenziata. «Motivi economici e di scelte organizzative ci hanno portato a questa non facile decisione» chiarisce l'Usb. «Una scelta che abbiamo assunto con il voto unanime dell'esecutivo nazionale». cacciatrice di esodatiUrca. Sembra un affaruccio di Stato. E difatti Lamina svela il supposto arcano. Già. Perché la donna, a dire il vero, aveva già ottenuto l'onore della cronaca. Quando, nel 2013, segnala di essere l'artefice della «caccia allo sfigato», secondo lei tanto in voga nel talk show italiani. Spiega nel dettaglio: le chiedono sempre di scegliere come ospiti profili ben precisi. Casi disperati. Famiglie alla deriva. Precari invasati. Magari da imbeccare per bene. «Sono una maîtresse nel gran bordello degli sfigati» informa Lamina. Una sortita che avrebbe indispettito il suo sindacato, intento invece a dar di sé un'immagine genuina e irriducibile. Da quel momento, la giornalista denuncia un progressivo e implacabile mobbing. È cosi? Oppure l'Usb ha solo seguito le vituperate leggi dell'economia? La sostanza non cambia: benservito. Persino la cacciatrice di esodati è licenziata. Perché sindacati si nasce. Ma padroni, a volte, si diventa.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)