2019-03-08
«Cautela, l'80% degli adolescenti che vuole cambiare sesso ci ripensa»
Il professor Maurizio Bini: «In tutta la carriera solo una volta ho autorizzato l'uso di triptorelina, è rischiosa. La famiglia non si oppone più, tocca ai medici»Maurizio Bini è ginecologo e andrologo, lavora all'ospedale Niguarda di Milano e, nel suo campo, è un'autorità. Ha un curriculum sterminato, che comprende anche una laurea in lettere e filosofia e un diploma di lingua e letteratura cinese. Al Niguarda dirige l'ambulatorio che si occupa di «transizione di genere». Dal suo studio passano le persone intenzionate a cambiare sesso, minorenni compresi.Sulla triptorelina, il farmaco che permette di bloccare la pubertà, ha le idee molto chiare. La richiesta per l'utilizzo di medicinali di questo tipo è partita, nel 2013, dai medici dell'ospedale Careggi di Firenze, che chiesero il via libera al ministero. Anche Bini l'ha sottoscritta, e ora - a distanza di sei anni - la triptorelina non solo si potrà utilizzare, ma verrà anche pagata dallo Stato.«Anche noi siamo stati consultati in merito», spiega il professore. «Io sono d'accordo sul fatto che venga pagata dal servizio sanitario nazionale, perché si tratta di un farmaco molto costoso e chi lo utilizza non è giusto che si sveni, anche se fosse una sola persona. Questo però non significa che si tratti di una liberalizzazione. Non deve essere una liberalizzazione. Non è che adesso la triptorelina debbano utilizzarla tutti». Già, il rischio che il farmaco blocca pubertà venga sdoganato deve essere assolutamente evitato. La prima volta che sentiamo Bini, al telefono, di fronte a lui c'è una ragazzina di 13 anni che vuole diventare maschio. Tra le prime parole che il professore pronuncia c'è «prudenza». «Ci vuole prudenza sugli adulti, figuriamoci sui minorenni», dice Bini. «Prima di utilizzare un blocco ipotalamico su un ragazzino o una ragazzina bisogna fare tantissimi accertamenti. Qui da noi, queste persone devono passare prima da psichiatria infantile, poi da psichiatria generale, insomma vanno fatte molte verifiche». Già nel 2018, parlando con Avvenire, il professore fu piuttosto netto: «Lavoro in questo settore da trent'anni e ho trattato migliaia di casi. Ebbene, in una sola occasione ho ritenuto in coscienza di fare ricorso a questo farmaco», dichiarò a proposito della triptorelina. Poi aggiunse: «L'utilizzo della triptorelina è così delicato che, con i direttori degli altri tre centri lombardi di interesse nazionale abbiamo deciso di farvi ricorso solo dopo un consulto comune. Nessuno può prendersi da solo la responsabilità di bloccare lo sviluppo sessuale di un adolescente se non per motivi davvero gravi e importanti». In questo periodo, Bini sta seguendo i casi di 17 ragazzi, «ma nessuno ha ancora cominciato la terapia». La parola d'ordine è: cautela. «L'80% delle persone che in età giovanile dichiara di voler cambiare sesso», racconta il professore, «cambia idea prima dei 13 anni. Ecco perché non bisogna medicalizzare in modo eccessivo. Noi non vogliamo impedire il transito, lo ripeto, ma vogliamo impedire gli sbagli. Ho visto persone andare e tornare da un sesso all'altro, e mi sono chiesto chi avesse firmato le loro perizie autorizzandoli a sottoporsi agli interventi».Secondo Bini «ci sono tante persone che non devono essere autorizzate al transito». A quanto sembra, però, affrontare la questione non è affatto semplice, anzi. Secondo il professore, esistono tre grandi «problemi emergenti» riguardo il cambiamento di sesso. Il primo è che «oggi assistiamo a un abbassamento dell'età media delle persone che cambiano sesso. Il primo problema è proprio questo abbassamento dell'età media», ci spiega. Tale dinamica è accompagnata dalla presenza di «genitori non oppositivi». Dice Bini: «Una volta i genitori si opponevano sempre. Vent'anni fa tutti dicevano no. Io mostro a tutti quelli che vengono da me alcune foto che risalgono a quel periodo. Sono immagini di braccia spezzate. Quelle che un genitore ha spezzato al figlio che gli disse di voler diventare donna. Una volta la transessualità era un problema ortopedico». Adesso, però, tutto è cambiato. «Oggi non ci sono più genitori oppositivi. Non ci sono più famiglie normative, ma famiglie affettive che dicono ai figli “basta che tu sia felice". E questo è un problema». Certo: i genitori tendono ad assecondare, a costo di spingere i ragazzi in una direzione sbagliata.«E allora», prosegue Bini, «bisogna che sia il medico a non autorizzare tutto. Anche perché io di sbagli ne ho visti fare, nel corso degli anni, e non sono sbagli di poco conto». Il secondo problema che il professore rileva è «la variazione de facto della legislazione che consente il cambio di sesso anagrafico anche senza il cambiamento del corpo. Io credo che i giudici non abbiano ben capito la situazione. Non siamo pronti a vedere un padre che rimane incinto, sono cose che accadono negli Stati Uniti, ma noi non siamo ancora pronti». Cose del genere accadono, le abbiamo raccontate. Donne che cambiano sesso sui documenti e, per lo Stato, divengono maschi. Ma poi restano incinte prima di aver completato la transizione. «Bisognerebbe», dice Bini, «che ci fosse una norma prudenziale, si dovrebbe verificare che non ci siano capacità riproduttive prima di autorizzare il cambio di sesso sui documenti». Il terzo grande problema riguarda la depatologizzazione della transessualità. «Dal 2015 non è più considerata una malattia. Ma se non è una malattia, gli interventi gratuiti a carico del servizio sanitario nazionale vengono a cadere. Dunque come si fa?». La sensazione è che le numerose battaglie «per i diritti» stiano in realtà complicando enormemente una situazione già complicata. Anche nel nostro Paese si seguono gli esempi provenienti dall'estero, e si finisce per fare danni ulteriori. Il rischio è che anche con il medicinale per bloccare la pubertà finisca in questo modo.Per il professore, farmaci come la triptorelina vanno «utilizzati con tutta la prudenza possibile. Si usano molto in altri Paesi, come Regno Unito e Olanda. Ma noi non siamo gli olandesi, anche se a volte ce ne dimentichiamo. Loro hanno un approccio utilitaristico: se una cosa funziona, allora è giusta. Qui invece una cosa è giusta quando… è giusta. Finora l'Italia ha tenuto una posizione abbastanza logica: come fa un ragazzino o una ragazzina a voler cambiare sesso se non ne ha provato nemmeno uno?».La riflessione è sacrosanta: come può un ragazzino di 11 o 12 anni avere la certezza di voler affrontare la transizione? «Un minore richiede sempre un supplemento di indagine», ribadisce Bini. «Noi non siamo qui per ostacolare, ma nemmeno per seguire tutti i desideri personali. Noi siamo qui per fare le cose nel modo giusto. E per dire dei no, quando sono necessari».
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