
Oggi in Cdm la norma per l'aiuto statale al debito monstre della capitale. Carroccio orientato a non farla saltare se piani simili valessero in altre città: «No Comuni di serie A e B». Laura Castelli apre: «Lavoriamo caso per caso».Nonostante parole grosse e veleni, non dovrebbe essere il Cdm di oggi a determinare la rottura finale tra M5s e Lega. È vero: le tensioni restano assai forti (dal caso Siri al disastro Raggi a Roma), e la politica offre sempre opportunità a chi abbia deciso di litigare. Ma ne offre anche di più - e questo sembra essere il caso - a chi, pur marcando le differenze in modo sempre più netto, voglia rinviare (a dopo le Europee) il momento del redde rationem. Sta di fatto che, dopo un'attesa fin troppo lunga, arriva sul tavolo del governo il cosiddetto Decreto Crescita, nel quale i grillini hanno piazzato un articolo per chiudere la gestione commissariale del super debito da 12 miliardi che grava su Roma, trasferendolo però in parte allo Stato. I pro e i contro sono fin troppo chiari: per un verso, i creditori bancari, avendo a che fare con un interlocutore robusto come lo Stato, accetterebbero una rinegoziazione più vantaggiosa per la mano pubblica. Per altro verso, però, il principio dell'operazione resterebbe molto discutibile: trattamento differenziato per Roma rispetto ad altre città, e contribuenti del resto d'Italia chiamati a farsi carico delle magagne romane. È per questo che Matteo Salvini e i suoi, prima e durante la pausa pasquale, avevano veicolato la parola d'ordine: «No a Comuni di serie A e di serie B», alzando - in prima battuta - la bandiera dello stralcio dell'articolo. E ricevendo minacce dal fonte grillino, fino all'ipotesi di una conta, cioè di un'inevitabile spaccatura.Nel weekend, Luigi Di Maio ha ammorbidito la posizione, evocando l'estensibilità della norma ad altre città: Catania e Torino, ad esempio. E una successiva uscita di Salvini sembrava aver colto al balzo la palla: «O tutti o nessuno. Se in tanti hanno dei problemi, aiutiamoli: in democrazia non ci sono quelli più belli e quelli più brutti». Poi, il vicepremier leghista aveva lanciato una stoccata a Virginia Raggi, sempre più tallone d'Achille per i pentastellati: «A Roma mi sembra ci sia un sindaco che non ha il controllo della città, dei conti, della pulizia e delle strade. Quindi noi regali non ne facciamo». A «congiurare» per un'intesa, ci sarebbe anche la necessità di attendere qualche giorno per l'evoluzione della vicenda che coinvolge Armando Siri. Pare difficile che Giuseppe Conte si assuma la responsabilità di una decisione sulla sorte del sottosegretario, prim'ancora che lo stesso sia stato sentito dai pm. Ragion per cui, anche senza evocare in modo improprio scambi o baratti politici, ragionevolezza suggerirebbe di guadagnare tempo su tutti i fronti. Anche perché - tornando alla soluzione per Roma da estendere ad altri Comuni -, uno strumento già c'è: un tavolo, politicamente affidato al viceministro Laura Castelli, con le città capoluogo interessate. E proprio la Castelli, in una prima dichiarazione, aveva a sua volta aperto: «Per troppi anni gli enti locali sono stati abbandonati a loro stessi: lavoriamo a misure che risolvano i loro problemi, anche per le altre città».Eppure, nelle ultime 24 ore, si è riaccesa la conflittualità, e proprio la Castelli ha definito la norma su Roma «non replicabile»: «Voglio rassicurare il ministro Salvini, non c'è nessun “Salva Roma": dalla lettura della norma, peraltro non replicabile, si comprende che così viene chiusa l'operazione voluta dal governo Berlusconi nel 2008, con un considerevole risparmio per lo Stato. I Comuni vanno salvati tutti. Anche con quelli capoluogo di Città Metropolitana, nei giorni scorsi, abbiamo avviato un dialogo proficuo. Lavoriamo per rimetterli tutti in piedi, dal più grande al più piccolo, ognuno con la sua cura perché ognuno ha una malattia diversa. È un lavoro puntuale che stiamo facendo anche assieme al sottosegretario Stefano Candiani (leghista, ndr)».La sensazione è che oggi l'exit strategy potrebbe essere costruita facendo perno su una combinazione di due strumenti. Primo: la promessa di ulteriori modifiche (cioè l'allargamento agli altri Comuni) in sede di conversione del decreto, visto che il testo - nei 60 giorni dopo il varo - deve essere trasformato in legge dalle Camere, e può dunque essere modificato. Secondo: un qualche mandato più circostanziato al tavolo gestito dalla Castelli con gli altri Comuni. Fari invece sempre accesi anche sulla vicenda degli sbancati. Vedremo oggi se il Mef avrà tenuto il punto sulla sua soluzione (indennizzo immediato per chi abbia un imponibile Irpef inferiore ai 35.000 euro annui o beni mobili sotto i 100.000 euro; ristoro pari al 30% del prezzo delle azioni e al 90-95% di quello delle obbligazioni; per chi invece superi quelle soglie, necessità di un arbitrato, sia pur semplificato dalle cosiddette tipizzazioni), o se invece i timori, da più parte ventilati, che coloro che hanno acquistato sul mercato secondario possano non rientrare nel meccanismo di risarcimento (con conseguente clamorosa restrizione della platea dei risarcimenti: altro che 90% degli interessati…) avranno indotto Giuseppe Tria a un qualche allargamento dell'ombrello.
Stefano Arcifa
Parla il neopresidente dell’Aero Club d’Italia: «Il nostro Paese primeggia in deltaplano, aeromodellismo, paracadutismo e parapendio. Rivorrei i Giochi della gioventù dell’aria».
Per intervistare Stefano Arcifa, il nuovo presidente dell’Aero Club d’Italia (Aeci), bisogna «intercettarlo» come si fa con un velivolo che passa alto e veloce. Dalla sua ratifica da parte del governo, avvenuta alla fine dell’estate, è sempre in trasferta per restare vicino ai club, enti federati e aggregati, che riuniscono gli italiani che volano per passione.
Arcifa, che cos’è l’Aero Club d’Italia?
«È il più antico ente aeronautico italiano, il riferimento per l’aviazione sportiva e turistica italiana, al nostro interno abbracciamo tutte le anime di chi ha passione per ciò che vola, dall’aeromodellismo al paracadutismo, dagli ultraleggeri al parapendio e al deltaplano. Da noi si insegna l’arte del volo con un’attenzione particolare alla sicurezza e al rispetto delle regole».
Riccardo Molinari (Ansa)
Il capogruppo leghista alla Camera: «Stiamo preparando un pacchetto sicurezza bis: rafforzeremo la legittima difesa ed estenderemo la legge anti sgomberi anche alla seconda casa. I militari nelle strade vanno aumentati».
«Vi racconto le norme in arrivo sul comparto sicurezza, vogliamo la legittima difesa “rinforzata” e nuove regole contro le baby gang. L’esercito nelle strade? I soldati di presidio vanno aumentati, non ridotti. Landini? Non ha più argomenti: ridicolo scioperare sulla manovra».
Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, la Cgil proclama l’ennesimo sciopero generale per il 12 dicembre.
«Non sanno più di cosa parlare. Esaurito il filone di Gaza dopo la firma della tregua, si sono gettati sulla manovra. Ma non ha senso».
Francesco Filini (Ansa)
Parla il deputato che guida il centro studi di Fdi ed è considerato l’ideologo del partito: «Macché, sono solo un militante e il potere mi fa paura. Da Ranucci accuse gravi e infondate. La sinistra aveva militarizzato la Rai».
Francesco Filini, deputato di Fratelli d’Italia, la danno in strepitosa ascesa.
«Faccio politica da oltre trent’anni. Non sono né in ascesa né in discesa. Contribuisco alla causa».
Tra le altre cose, è responsabile del programma di Fratelli d’Italia.
«Giorgia Meloni ha iniziato questa legislatura con un motto: “Non disturbare chi vuole fare”. Il nostro obiettivo era quello di liberare le energie produttive».
Al centro Joseph Shaw
Il filosofo britannico: «Gli islamici vengono usati per silenziare i cristiani nella sfera pubblica, ma non sono loro a chiederlo».
Joseph Shaw è un filosofo cattolico britannico, presidente della Latin Mass Society, realtà nata per tramandare la liturgia della messa tradizionale (pre Vaticano II) in Inghilterra e Galles.
Dottor Shaw, nel Regno Unito alcune persone sono state arrestate per aver pregato fuori dalle cliniche abortive. Crede che stiate diventando un Paese anticristiano?
«Senza dubbio negli ultimi decenni c’è stato un tentativo concertato di escludere le espressioni del cristianesimo dalla sfera pubblica. Un esempio è l’attacco alla vita dei non nati, ma anche il tentativo di soffocare qualsiasi risposta cristiana a tale fenomeno. Questi arresti quasi mai sono legalmente giustificati: in genere le persone vengono rilasciate senza accuse. La polizia va oltre la legge, anche se la stessa legge è già piuttosto draconiana e ingiusta. In realtà, preferiscono evitare che questi temi emergano in un’aula giudiziaria pubblica, e questo è interessante. Ovviamente non si tratta di singoli agenti: la polizia è guidata da varie istituzioni, che forniscono linee guida e altro. Ora siamo nel pieno di un dibattito in Parlamento sull’eutanasia. I sostenitori dicono esplicitamente: “L’opposizione viene tutta dai cristiani, quindi dovrebbe essere ignorata”, come se i cristiani non avessero diritto di parola nel processo democratico. In tutto il Paese c’è la percezione che il cristianesimo sia qualcosa di negativo, da spazzare via. Certo, è solo una parte dell’opinione pubblica, non la maggioranza. Ma è qualcosa che si nota nella classe politica, non universalmente, tra gli attori importanti».






