2024-01-19
«Il saluto romano non è sempre reato»
Le sezioni riunite della Corte di Cassazione hanno stabilito che il braccio teso è punibile solo se finalizzato alla ricostituzione del partito fascista. Annullata la condanna per gli otto imputati milanesi che nel 2016 avevano commemorato Sergio Ramelli.Un saluto romano non mette in pericolo la democrazia e l’ordine costituito, e per questo non può essere di per sé considerato reato. In estrema sintesi, è questa la conclusione alla quale sono giunte ieri le sezioni riunite della Corte di Cassazione, chiamate a deliberare sul ricorso presentato dall’avvocato Domenico Di Tullio, dopo la condanna in appello per otto militanti di destra, processati per aver fatto il saluto romano il 29 aprile del 2016, in occasione della commemorazione, a Milano, dell’omicidio di Sergio Ramelli. Nell’anticipazione delle motivazioni diffuse dalla Suprema Corte, che ha chiesto un nuovo processo d’appello a un’altra sezione milanese, si sottolinea che per il saluto romano, di norma, si deve contestare l’articolo 5 della legge Scelba sull’apologia di fascismo.Ma la sussistenza del reato deve a sua volta essere valutata in base al fatto se vi sia o meno un effettivo pericolo di ricostituzione del partito fascista, e la giurisprudenza a riguardo sta a indicare che la quasi totalità dei processi intentati a chi aveva fatto il saluto romano in contesti commemorativi non ha portato a condanne. «La condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nella risposta alla “chiamata del presente” e nel cosiddetto “saluto romano” - osserva la Cassazione - rituali entrambi evocativi della gestualità propria del disciolto partito fascista, integra il delitto previsto dalla legge Scelba ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea ad integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione». È dunque in quel «avuto riguardo a tutte le circostanze del caso» che risiede la discrezionalità del giudice, nella misura in cui quest’ultimo è chiamato a stabilire se la pratica del saluto abbia sancito la sedizione nei confronti dell’ordine democratico e un concreto pericolo fascista. Ne consegue, dunque, che difficilmente una cerimonia di commemorazione dei «camerati» per un militante scomparso potrà portare a una condanna.Condanna che per gli otto militanti milanesi era arrivata al secondo grado, dopo l’assoluzione nel primo, poiché il procuratore aveva cambiato contestazione, associando alla commemorazione per Ramelli non più la legge Scelba sulla ricostituzione del partito fascista, bensì la legge Mancino, che punisce i gruppi politici che si rifanno a ideologie che incitano alla violenza, all’antisemitismo e all’odio razziale. La Suprema Corte non esclude a priori la contestazione della legge Mancino, ma solo «a determinate condizioni» e anche in questo caso deve esserci chiaramente un pericolo per l’ordine pubblico. Ed è per questo difetto di motivazione nella sentenza che il processo di appello milanese dovrà essere nuovamente celebrato. In mattinata, il pg Pietro Gaeta, durante l’udienza, muovendo anche dai recenti fatti di cronaca, aveva spiegato che «Acca Larenzia con 5.000 persone è una cosa diversa di quattro nostalgici che si vedono davanti a una lapide di un cimitero di provincia e uno di loro alza il braccio». «Bisogna distinguere», aveva proseguito, «la finalità commemorativa con il potenziale pericolo per l’ordine pubblico. La nostra democrazia giudiziaria è forte e sa distinguere. È ovvio che il saluto fascista sia una offesa alla sensibilità individuale», ha concluso, «ma diventa reato quando realizza un pericolo concreto per l’ordine pubblico».Le reazioni a un pronunciamento che, nei fatti, non modifica gli orientamenti attualmente prevalenti e che ha assunto rilevanza dopo le polemiche sollevate dall’opposizione politica per la manifestazione romana di via Acca Larenzia, sono state di segno diverso. Soddisfatto per il nuovo processo d’appello l’avvocato di due degli otto imputati milanesi, Di Tullio, per il quale «la Cassazione ha fatto strame di tutte le chiacchiere degli ultimi giorni, ribadendo che in Italia la libertà d’opinione è ancora salvaguardata», così come la formazione di destra CasaPound ha accolto con soddisfazione la sentenza della Suprema Corte. In realtà, nessuno è apparso insoddisfatto, visto che anche l’Anpi ha parlato di «presa di posizione molto significativa assunta al massimo livello possibile, che fa chiarezza e stabilisce alcuni criteri fondamentali». Nella sua reazione, l’associazione dei partigiani aggiunge ovviamente l’auspicio che tutti gli imputati per il saluto romano poi vengano condannati, mentre la sentenza di ieri sembra andare verso una direzione diversa. Interpellato in merito anche lo staff del presidente del Senato, Ignazio La Russa - che in seguito alle polemiche su Acca Larenzia aveva dichiarato di attendere con partecipazione il pronunciamento della Cassazione - ha voluto sottolineare la chiarezza della sentenza, facendo filtrare il fatto che questa non aveva bisogno di ulteriori commenti.