2019-05-09
Il Salone degli impresentabili rossi
Chi invoca la censura per la casa editrice di destra ha difeso l'assassino Cesare Battisti. E negli anni, dalla kermesse torinese sono passati personaggi di ogni tipo: dai sostenitori del terrorismo islamico ai tifosi dei violenti No tav.Nel suo ultimo libro, Francesco Giubilei, uno degli autori messi all'indice nei giorni scorsi, teorizza la «rivoluzione del buon senso» contro l'immigrazione e l'austerità.Lo speciale contiene due articoliSi apre oggi, preceduto da un cacofonico rodeo che dura ormai da una settimana, il Salone del libro di Torino. E, prima che si spalanchino le porte della fiera, sarà bene lasciare a verbale tre parole: mistificazione, doppiopesismo, regime.Cominciamo dalla mistificazione. In un grottesco rovesciamento della frittata mediatica, il tentativo degli organizzatori, dei loro fiancheggiatori, e del solito carro di Tespi di intellettuali firmaioli, è quello di raccontare che la loro indignazione sia nata da chissà quale provocazione altrui, o dalle parole (pronunciate poco più di 48 ore fa) di Francesco Polacchi, il proprietario della casa editrice Altaforte, che, conversando con i volponi furbissimi della Zanzara su Radio 24, Giuseppe Cruciani e David Parenzo, è finito nel trappolone di autoproclamarsi fascista. No, la canea è iniziata ben prima, e del tutto a prescindere dalle frasi di Polacchi. Tutto è cominciato quando gli organizzatori hanno inopinatamente aperto il dibattito sulla possibilità di escludere una casa editrice, e quando un consulente del Salone, l'ineffabile Christian Raimo, ponendosi in una posizione così insostenibile da doversi dimettere, ha gratuitamente scagliato accuse da querela («razzismo esplicito») contro Alessandro Giuli, Francesco Borgonovo, Adriano Scianca e Francesco Giubilei.Poi - solo poi - è partito il trenino narcisista del «vado o non vado», il pride antifascista fuori stagione, e perfino l'invocazione delle manette - a suon di leggi Scelba e Mancino - per giustificare l'ingiustificabile, e cioè un deliberato tentativo di chiudere la bocca a chi la pensa diversamente. Fingendo di non conoscere la differenza tra un'opinione (che non può mai essere perseguita, come tale) e un atto violento, che può - anzi deve - essere condannato (ma che qui nessuno si è mai sognato di compiere).La seconda parola da tenere a mente è «doppiopesismo». Gli «intellettuali» di sinistra sono stati lestissimi a salire sulle barricate contro Polacchi, ma - nel passato recente e in quello remoto - non hanno trovato nulla di strano nelle cose che stiamo per ricordare. Non una parola quando Christian Raimo (sempre lui), già firmatario anni fa di un appello pro Cesare Battisti (firma su cui Raimo ha poi fatto una parzialissima marcia indietro: «Oggi non so se lo rifarei»), si abbandonò su Facebook, dopo l'arresto del latitante, a un post che scatenò un pandemonio sui social network («Non ho mai festeggiato per la galera a qualcuno...», fino al passaggio su «quelle che sarebbero le vittime di Cesare Battisti»). Non una sillaba quando Erri De Luca (poi processato per istigazione a delinquere e assolto, per la cronaca) dichiarò che la Tav andava «intralciata, impedita e sabotata». De Luca pubblicò addirittura un pamphlet sulla vicenda, intitolato La parola contraria (Feltrinelli), molto ben recensito da vari giornali. Non un sospiro quando Edoardo Albinati, preso dalla furia contro Salvini e contro le politiche del governo sull'immigrazione, pronunciò la frase choc «...sapete, sono arrivato a desiderare che morisse qualcuno su quella nave, che morisse un bambino sull'Aquarius». Di nuovo, Albinati sfornò un libretto sulla sua disavventura atteggiandosi a perseguitato (e di nuovo ottenne ampie interviste e recensioni). Non un fiato quando, essendo presente al Salone Salman Rushdie, cioè lo scrittore contro cui gli imam integralisti avevano scagliato una fatwa mortale, tra i vari espositori presenti alla fiera c'era anche il banchetto di un editore islamico che accusava Rushdie di essere la voce del demonio. Silenti anche quando, nel 2009, al Salone si appalesò il professore musulmano Tariq Ramadan. L'anno precedete il teologo aveva boicottato la rassegna in polemica con la presenza di Israele quale Stato ospite. Nonostante ciò, a dodici mesi di distanza, fu accolto con tutti gli onori, da vera celebrità. Ora, è noto, lo studioso è coinvolto in pesanti vicende di molestie sessuali e ha fatto visita al carcere, ma già dieci anni fa non era esattamente un angioletto. Anche nel 2009, infatti, erano ben note le sue posizioni a sostegno dei terroristi islamici, definiti a ripetizione «resistenti». Ramadan è sempre stato considerato una sorta di ambasciatore dei Fratelli musulmani nel mondo, ma il suo diritto a esprimersi nessuno l'ha mai messo in discussione. Così come nessuno ha fiatato per la presenza nel programma di quest'anno di Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace coinvolto in guai giudiziari non proprio di secondo piano per via del suo sistema di gestione dell'accoglienza. Non può mettere piede nel suo paese perché ha il divieto di dimora, ma a Torino darà lezioni di integrazione. E nella presentazione del suo incontro non c'è mezza riga su arresti, indagini e altre faccende di questo tipo. In tutti i casi che abbiamo citato, nessuno degli «indignati» di oggi trovò nulla da eccepire: tutti tifosi del «free speech all'americana» (bene), salvo adesso diventare zelanti imbavagliatori dei soggetti a loro sgraditi. La terza e ultima parola da ricordare è «regime». I nostri «eroi» progressisti, così reattivi contro il rischio fascista (nel 2019!) non hanno fatto né una piega quando nei mesi scorsi il Salone (sempre con il direttore Nicola Lagioia) ha incredibilmente annunciato che il Paese ospite d'onore dell'edizione del 2020 sarà l'Iran. Avete capito bene: il feroce regime degli ayatollah fondamentalisti, persecutore dei dissidenti politici, con «contorno» di lapidazione delle adultere e pena di morte per gli omosessuali. D'altronde, l'Iran è riuscito a essere più pluralista degli ayatollah antifascisti di Torino: alla Fiera del libro di Teheran, che si è chiusa il 4 maggio, erano infatti esposti in uno stand quasi tutti i libri di Oriana Fallaci, fustigatrice dell'islam.L'estate scorsa uno dei pochissimi a protestare fu lo scrittore Adriano Angelini Sut, che segnalò un surreale articolo de La Stampa che recitava così: «...fonti vicine agli organizzatori fanno sapere che lo staff del Salone sarà particolarmente attento nel fare una minuziosa cernita dei testi e anche degli autori che l'Iran porterà alla buchmesse del Lingotto nel 2020 per impedire che valori ostili o comunque avversi al nostro Paese ed all'Ue sbarchino a Torino». E ancora: «Sarà dunque valorizzata la libertà di pensiero, da parte di artisti e letterati iraniani, mentre non sarà lasciato spazio ad elementi ideologici che distinguono il regime degli ayatollah come l'odio verso i gay, la negazione della Shoah e dei diritti delle donne». E Angelini, sarcasticamente, commentava: «Che è un po' come dire: noi invitiamo i gerarchi del Terzo Reich, però stiamo ben attenti a che i testi che porteranno non accennino allo sterminio degli ebrei, dei rom, degli oppositori politici e degli omosessuali e all'esaltazione della razza ariana». Ma allora gli indignati «progressisti» anti-Altaforte tacquero. E tacciono ancora. Vecchia storia: saranno pure antifascisti, ma non sono certo antitotalitari. E la differenza si vede a occhio nudo.Daniele Capezzone<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-salone-degli-impresentabili-rossi-2636615642.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-idee-delleditore-razzista-sullinternazionale-dei-sovranisti" data-post-id="2636615642" data-published-at="1763765293" data-use-pagination="False"> Le idee dell’editore «razzista» sull’internazionale dei sovranisti In un contesto politico dove la contrapposizione tra destra e sinistra sembra superata da nuove categorie e relegata a schemi novecenteschi, le elezioni europee rappresentano uno spartiacque importante per le forze sovraniste. Stiamo assistendo a una nuova dicotomia tra i partiti egualitari (legati alle idee storicamente rappresentate dal pensiero progressista) con posizioni mondialiste ed europeiste, e il blocco identitario formato dai partiti sovranisti. Se il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker, parla di «un'Europa senza frontiere», dall'altro lato i leader sovranisti auspicano un'Europa in cui i confini abbiano un valore e un significato preciso. Nelle ultime tornate elettorali in Europa c'è stato un costante aumento di consenso per i sovranisti, che hanno eletto nei parlamenti nazionali e in quello europeo un numero sempre più consistente di rappresentanti, riuscendo anche a governare in alcuni Paesi. Bisogna allora realizzare una panoramica dei principali partiti sovranisti europei sottolineando le analogie ma anche i particolarismi che li caratterizzano e affrontando al tempo stesso il concetto di internazionale sovranista e teorizzando la necessità della nascita di un'élite sovranista. Se storicamente i nazionalisti e i populisti hanno avuto difficoltà ad accordarsi e unirsi in un unico gruppo al Parlamento europeo, la crescita del problema migratorio e l'ostilità verso l'Unione europea possono rappresentare un collante. Oltre a queste problematiche, il fatto che la sovranità dei singoli Stati sia progressivamente diminuita intaccando l'interesse nazionale, ha portato a una crescita del nazionalismo. Il progetto politico dei partiti sovranisti dopo le elezioni europee è la creazione di un'alleanza definita «internazionale sovranista», che porti alla nascita di un nuovo gruppo al Parlamento europeo in grado di raccogliere tutte le principali realtà sovraniste dell'Ue. La principale difficoltà nella realizzazione di questa iniziativa sono le divergenze di posizione che caratterizzano i singoli partiti sovranisti. Gli interessi di una nazione non collimano con quelli di uno Stato confinante: un sovranista italiano ha diverse posizioni di un sovranista austriaco. Nonostante queste perplessità, politicamente negli ultimi anni sono avvenuti vari incontri tra i leader dei principali partiti sovranisti europei, con l'obiettivo di identificare una linea comune e di costruire un'alleanza in vista delle europee, costituendo un forte gruppo al Parlamento Ue. Significativo in tal senso l'incontro tra Matteo Salvini e Marine Le Pen avvenuto l'8 ottobre 2018 a Roma alla sede dell'Ugl, dove la leader del Rassemblement national ha definito le elezioni europee un «momento storico». L'incontro si è basato sulla contrapposizione tra «la burocrazia dell'Unione europea e gli europei» e, in un momento in cui lo spread italiano aumentava giorno dopo giorno mentre il governo italiano annunciava le misure della manovra, il ministro Salvini diceva che «i cittadini votano al di là dello spread», puntando il dito contro gli «speculatori alla Soros che puntano sul crollo di un Paese per comprarsi a saldo le aziende sane, e sono molte, che sono rimaste in Italia». A suo giudizio i nemici dell'Europa sono i burocrati di Bruxelles individuati in Juncker e Pierre Moscovici poiché, sottolineava a sua volta la Le Pen, «siamo contro l'Ue ma non contro l'Europa, anzi vogliamo salvarla l'Europa». Ed era la stessa Le Pen a spiegare meglio il concetto di internazionale sovranista, affermando che «non può esistere una lista unica alle europee» a causa delle differenze tra i movimenti politici di ciascuna nazione, poiché l'obiettivo è creare un'alleanza al Parlamento europeo contro «il mondialismo e la globalizzazione», colpevoli di aver portato «povertà e disoccupazione di massa» e a cui è necessario rispondere con una «rivoluzione del buonsenso». Francesco Giubilei
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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