2019-02-28
Il Rottamatore fa il furbo: inchieste aperte da anni
Passando da uno schermo tv all'altro per presentare il suo libro, Matteo Renzi ha trovato il tempo di lanciare un appello ai pm: «Chiedo che per i miei genitori si vada a processo subito, non lo direi se non avessi consapevolezza di quello che è successo». Non so a quale consapevolezza alluda l'ex presidente del Consiglio, però so con certezza una cosa, ovvero che babbo e mamma dell'ex segretario del Pd sono già a processo. Uno si aprirà a Firenze la settimana prossima, un altro potrebbe aprirsi a breve, nel caso in cui il giudice per le udienze preliminari del tribunale di Cuneo oggi accogliesse la richiesta presentata dalla Procura piemontese contro la madre per concorso in bancarotta fraudolenta. Dunque, non c'è alcuna necessità che Renzi solleciti i magistrati, perché questi, dopo aver indagato sugli affari di famiglia, si sono già pronunciati per il giudizio o stanno per farlo.Infatti, a differenza di quel che il grande pubblico sembra pensare, e che le comparsate televisive del senatore semplice di Scandicci lasciano credere, la mano della giustizia non si è affatto abbattuta lunedì scorso su Tiziano e Laura Renzi. Non è che i due genitori sono stati messi all'improvviso agli arresti nell'ora in cui si votava per processare Matteo Salvini o nel giorno in cui l'ex premier preparava la sua rentrée con un nuovo libro, come si vorrebbe dare a bere all'opinione pubblica. No, le scadenze politiche e giudiziarie non hanno nulla a che fare con questa faccenda di aziende fallite. Sono anni che le Procure indagano su una girandola di imprese della distribuzione aperte e chiuse. E in questi anni solo per caso sono inciampate nei nomi dei due augusti genitori. I pm della Provincia Granda è probabile che nemmeno sapessero che scoperchiando il pentolone di una società di nome Direkta avrebbero trovato fatture riconducibili a un'azienda fondata e amministrata dal papà e dalla mamma del premier. Quando misero le mani sulla faccenda, il figliolo dei due imprenditori era ancora a Palazzo Chigi, con pieni poteri. Anzi, fosse passato il referendum costituzionale da lui tenuto a battesimo insieme con Maria Elena Boschi, di potere ne avrebbe avuto ancora di più. Dunque, quando Renzi dice di avere la consapevolezza di quel che è successo, non può certo pensare che qualche maramaldo con la toga si stia dando da fare per sgambettarlo ora che non è più in auge. I magistrati che sono arrivati a chiedere il processo per Laura Bovoli lo hanno fatto senza clamori, senza rilasciare una sola dichiarazione sul loro lavoro. Al punto che, ripensandoci, nemmeno sappiamo il nome del pubblico ministero che ha firmato la domanda di rinvio a giudizio.Quanto al dibattimento che si aprirà lunedì, a Firenze, la vicenda riguarda alcune fatture ritenute false dalla Procura toscana. In pratica un imprenditore, Luigi Dagostino, avrebbe liquidato 200.000 euro all'azienda dei Renzi in cambio di un progetto per la realizzazione di un'area commerciale. Ma, come spiega Giacomo Amadori nell'articolo che pubblichiamo oggi in esclusiva, un testimone avrebbe riferito agli inquirenti che quello studio è suo e la società di Dagostino glielo aveva regolarmente pagato. Occhio: il testimone in questione non ha nulla a che fare con i Renzi, che nemmeno conosce. È un professionista di Bolzano, che, una volta disegnato il progetto, non ne ha saputo più nulla, fino a quando alla sua porta non si sono presentati gli inquirenti per chiedergli se riconosceva come suoi disegni e prospettive. Perché, si sarebbero chiesti i pm, pagare due volte un progetto, per di più a chi non l'ha realizzato? Di qui l'accusa di aver emesso e incassato fatture false, la cui ragione evidentemente sarebbe stata altra da quella dichiarata. Renzi, quello che stava a Palazzo Chigi e non quello rinviato a giudizio, dice: si vada in aula e vedremo. E poi però ammonisce la magistratura, che al tempo stesso sostiene di voler rispettare: non si fanno i processi passando veline alle redazioni dei giornali. In tal modo vorrebbe far credere che alla sua famiglia sia riservato un trattamento speciale, di particolare accanimento. In realtà sono almeno trent'anni che i processi vengono anticipati dalla pubblicazione sulla stampa, eppure in questi trent'anni, quindici dei quali trascorsi in politica, Renzi non sembra essersene preoccupato molto. Di certo, quand'era a Palazzo Chigi si occupò più di banche che di come evitare gli spifferi delle Procure. Ma erano altri tempi. I tempi in cui, pur essendoci un'indagine a carico del suo babbo, la grande stampa indipendente non s'azzardava a scrivere una riga.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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