2022-07-25
Il rischio nel piatto
Si è sviluppata grande sensibilità negli anni nei confronti di problemi alimentari come la celiachia. Sconosciuta ai più è invece la fenilchetonuria, una malattia rara del metabolismo che richiede una dieta povera di fenilalanina. In Europa una persona su 3.000 ne è affetta. L’aminoacido è presente nelle proteine naturali; se non assimilato si riversa nel sangue e l’eccesso può produrre effetti nocivi.Avrete certamente letto, sopra tante confezioni come per esempio quella di alcuni chewingum senza zucchero ed edulcorati con aspartame, la scritta «contiene una fonte di fenilalanina», forse domandovi che cosa sia mai la fenilalanina e perché sia necessario avvisare il consumatore della sua presenza. Il motivo è la fenilchetonuria, una malattia rara del metabolismo degli aminoacidi che richiede una dieta povera di fenilalanina. Ecco perché anche nei prodotti alimentari di grande consumo e insospettabilmente contenenti fenilalanina, come l’aspartame, la presenza di quest’ultima va indicata. Vediamo più nel dettaglio. Pku è l’acronimo internazionale col quale si indica la fenilchetonuria, anche detta carenza di enzima fenilalanina idrossilasi, enzima il cui acronimo internazionale è Pah. La Pku è una patologia genetica e rara, a livello europeo ci nasce 1 persona su 3.000. La malattia consiste nella difficoltà di metabolizzare la fenilalanina (il cui acronimo internazionale è Phe), un aminoacido che si trova in tutte le proteine naturali, in virtù di un ridotto funzionamento dell’enzima fenilalanina idrossilasi, il Pah, appunto, il cui compito è trasformare la Phe in tirosina, un altro aminoacido. Poiché la Phe è presente in molti alimenti, come pollo, carne, uova, latte, compreso quello materno, e latticini, frutta secca, cereali e fagioli, generalmente nelle proteine animali e vegetali, le persone che soffrono di Pku devono seguire una dieta speciale. Se si assumono e accumulano troppe proteine non riuscendo a trasformarne la Phe, cioè la fenilalanina, in tirosina, la Phe si accumula nel sangue, nelle urine e nei tessuti e porta a un’alterazione neurologica. Le cellule del cervello comunicano tra loro attraverso i neurotrasmettitori e se questi non sono prodotti nelle corrette quantità il cervello funziona male. Un alto livello di Phe nel sangue altera i livelli di serotonina e dopamina, neurotrasmettitori importantissimi per l’umore, l’apprendimento, la memoria e la motivazione. Inoltre, la stessa Phe in eccesso può essere tossica per il cervello. I sintomi di un elevato livello ematico di Phe sono: sensazione di mente «annebbiata» o elaborazione rallentata delle informazioni, problemi comportamentali o sociali, problemi di memoria, mancanza di attenzione, difficoltà nel prendere decisioni, risolvere problemi e pianificare, depressione, ansia, irritabilità. Poiché la fenilalanina accumulata nei neuroni diventa neurotossica, cioè dannosa per il cervello, provocando i sintomi neurologici suddetti, valori costantemente elevati negli anni in cui avviene lo sviluppo cerebrale - per esempio nel caso in cui non si sappia di soffrire di Pku - possono compromettere seriamente lo sviluppo cognitivo e determinate un conseguente ritardo di tipo psichico e neuromotorio. Se l’accumulo di fenilalanina comporta queste conseguenze, la mancata metabolizzazione di questo aminoacido ha anche l’effetto di una scarsa produzione di tirosina, adrenalina e altre sostanze come la melanina. Per questo motivo, nei pazienti affetti da fenilchetonuria si riscontrano ulteriori problematiche dovute alla carenza di queste sostanze. Proprio la mancanza di melanina, ad esempio, è all’origine di uno dei tratti distintivi dei fenilchetonurici: il colore molto chiaro di pelle, occhi e capelli. In passato, a seconda della capacità che i pazienti hanno di metabolizzare la fenilalanina, la Pku veniva classificata in tre forme: fenilchetonuria lieve, moderata e classica. le linee guidaCon la pubblicazione delle Linee guida per la diagnosi e la gestione dei pazienti con fenilchetonuria del 2017, la comunità scientifica ha poi superato questa vecchia classificazione in favore di quella nuova, nella quale i pazienti sono classificati in base alla necessità di trattamento: i pazienti con valori di fenilalanina nel sangue al di sotto dei 360 μmol/L, che devono sottoporsi a monitoraggio senza trattamenti specifici; i pazienti con valori di fenilalanina tra i 360 e i 600 μmol/L, che hanno necessità di trattamento fino ai 12 anni di età; i pazienti con valori di fenilalanina sopra i 600 μmol/L che devono sottoporsi a trattamento a vita. La Pku venne scoperta per la prima volta negli anni Trenta del XX secolo, ma è solo negli anni Sessanta che venne sviluppato e adottato un test per identificarla, il test di Guthrie. In Europa, la valutazione tramite il test Pku ormai avviene subito dopo la nascita: grazie allo screening neonatale si può capire da subito se il neonato soffre di Pku e questo è un bene perché iniziare il prima possibile il trattamento della Pku vuol dire proteggere lo sviluppo del cervello del bambino. Se fino a poco tempo fa, infatti, l’orientamento era quello di attendere lo sviluppo del cervello senza intervenire perché si credeva che con esso si sarebbe giunti a una specie di livellamento spontaneo dei livelli di Phe nel sangue con conseguente risoluzione della Pku, ora si è capito che livelli elevati di Phe nel sangue possono essere dannosi in tutte le fasi della vita e il trattamento va iniziato quanto prima e proseguito senza soluzione di continuità. il trattamentoL’assenza di trattamento, infatti, è assolutamente negativa: anche le persone che hanno interrotto per anni il trattamento della Pku vedono migliorare i sintomi in caso di ripresa del trattamento. Ma come si curano i livelli alti o instabili di Phe ematica? Ogni paziente ha una sua soglia di tolleranza di fenilalanina, perciò l’assunzione di fenilalanina entro certe decisamente minime quantità non crea problemi. La Pku non è un’allergia o un’intolleranza, non si rischiano scompensi acuti come una reazione allergica per un soggetto allergico alla frutta secca, per esempio, né immunitario-infiammatoria come nel caso della celiachia. Però, attenzione, occorre limitare molto l’assunzione di fenilalanina per evitare accumuli che potrebbero poi deflagrare. Come spiega O.Ma.R - Osservatorio Malattie Rare, agenzia giornalistica dedicata alle malattie rare e ai tumori rari, «alcuni pazienti rispondono bene alla terapia codiuvante con tetraidrobiopterina (BH4), un cofattore essenziale della fenilalanina idrossilasi. Recentemente si è resa disponibile, per i pazienti di età maggiore di 16 anni e con controllo metabolico non ottimale, la terapia di sostituzione enzimatica. In futuro potrebbero rendersi disponibili terapie a Rna e la terapia genica». Oggi, intanto, chi soffre di fenilchetonuria deve intervenire innanzitutto con la dietoterapia. La riduzione dell’assunzione di fenilalanina tramite l’alimentazione avviene limitando il consumo di proteine naturali (mantenendo comunque un minimo apporto, poiché essenziale). Gli altri amminoacidi, fondamentali per la crescita e lo sviluppo, vengono assunti mediante opportune miscele amminoacidiche formulate per la patologia. Poiché ogni fenilchetonurico ha la sua «tolleranza individuale», si devono modulare i quantitativi dei tre cardini della dieta in base alle sue esigenze. gli espertiGli esperti consigliano di mantenere i livelli di Phe nel sangue fra 120 e 360 µmol/L nei bambini di età inferiore a 12 anni e nelle donne in gravidanza, e fra 120 e 600 µmol/L in chi ha più di 12 anni. Ogni soggetto Pku è diverso, ma il primo cardine della dietoterapia è la restrizione delle proteine naturali. Alimenti a semaforo rosso sono quelli sconsigliati poiché ad elevato contenuto di proteine/fenilalanina: carne e pesce (sia il fresco, sia il surgelato, sia il conservato), uova, salumi, formaggi stagionati e alimenti ricchi in aspartame. A semaforo giallo sono gli alimenti consentiti in quantità controllate per il quantitativo di proteine e fenilalanina più contenuto, ma di cui è necessario controllare l’assunzione come latte, yogurt e formaggi freschi, formaggi, gelati e yogurt vegani con contenuto di proteine «1 grammo/100 grammi, patate, cereali, legumi e alcune verdure come funghi, spinaci, carciofi, asparagi». Infine, ci sono gli alimenti consentiti senza restrizioni nemmeno quantitative perché naturalmente contengono un basso apporto di proteine e fenilalanina, come frutta, le verdure restanti tolte le precedenti, zuccheri, dallo sciroppo d’acero al miele passando per lo zucchero di canna o barbabietola, grassi da condimento come burro, margarina, burro chiarificato e oli vegetali, amidi come farina di manioca, sago, tapioca e amido di mais, bevande come acqua, limonata, cola, succhi di frutta, tè, caffè e acqua tonica senza aspartame. Stabilito l’uso libero di alimenti naturali a basso contenuto di proteine e quello «calcolato» di alimenti con moderato contenuto proteico, gli altri due cardini della dietoterapia sono l’uso di alimenti a fini medici speciali aproteici, come pane e pasta aproteici, e l’uso di sostituti proteici (miscele amminoacidiche), che svolgono la funzione di integrare la dieta a basso apporto di proteine naturali con tutti gli amminoacidi, tranne la fenilalanina. Si intende come il fenilcheturonico, proprio come il celiaco, l’intollerante, l’allergico o anche chi abbia compiuto una scelta alimentare come quella vegana, non possa recarsi al ristorante dimenticando la sua esigenza alimentare. la cucina pku friednly Anche per questo motivo è nato il progetto Pkuisine. La cucina Pku friendly, presentato il 28 giugno, in occasione del World Pku Day, presso gli spazi milanesi di Sonia Factory. L’impressione è che se l’uomo è ciò che mangia, il ristoratore debba essere sempre più in grado di farlo mangiare al meglio, incaricandosi di cucinare per lui anche in presenza di sue patologie che richiedono un cibo «diverso». Il primo ristorante milanese ad aderire al progetto Pkuisine è il Piazza Repubblica, che su queste pagine già conosciamo. Lo chef Matteo Scibilia, in passato anima dell’Osteria della Buona Condotta di Ornago e da settembre 2021 protagonista del Piazza Repubblica di Milano, in qualità di Dirigente Fipe Milano, ha dichiarato: «Il nostro settore, i pubblici esercizi e i ristoranti in particolare, è chiamato in causa in quanto la malattia non si cura con medicinali ma solo con un dieta appropriata aproteica, cioè solo con il cibo. Chiaro che chi si occupa, sia da un punto di vista scientifico-medicale, sia di produzione e commercializzazione di cibo specifico per questi «malati», guardi alla nostra organizzazione e al nostro settore come partner privilegiati. E Fipe è più che pronta a sensibilizzare il comparto perché possa accogliere tali clienti, garantendo un’attenzione ancora maggiore in una logica già ampiamente adottata da tutti i pubblici esercizi di attenzione alle allergie e intolleranze. Non trattandosi di una allergia o simile, non si hanno particolari accorgimenti da tenere in cucina, non c’è il rischio di contaminazione crociata e non ci sono pericoli nell’utilizzo di strumentazione o pentole presenti in ogni cucina». I ristoranti aderenti al progetto Pkuisine saranno poi inseriti in una app apposita dedicata a clienti italiani e stranieri. Fuor di app, i ristoranti aderenti all’iniziativa Pkuisine di Medifood, divisione di Piam Farmaceutici, che fornisce anche i prodotti aproteici necessari per la preparazione delle ricette aproteiche, si riconosceranno anche tramite la vetrofania col logo Pkuisine esposta all’ingresso. Il Piazza Repubblica sarà operativo a partire da settembre con le 30 ricette aproteiche del Ricettario pensato e sviluppato da un gruppo di specialisti: i dietisti Fina Belli, Alessandra Cipriani, Sara Giorda, Christian Loro, Sara Parolisi, Giulia Paterno, Yuri Zuvadelli, la neuropsichiatra infantile Francesca Nardecchia, i pediatri Francesco Porta ed Elvira Verduci e lo chef e docente di enogastronomia presso I.p.s.e.o.a. «G. Cipriani» Adria Maurizio Fantinato. Il gruppo ha ideato un cookbook su misura per persone con fenilchetonuria. Trovate alcune di queste ricette nei box.
Jose Mourinho (Getty Images)