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2020-03-29
Il professor Galli Della Loggia ha le traveggole. Pensava fosse un leader, invece è solo Conte
Ernesto Galli della Loggia (Ansa)
«D'improvviso, per decidere che cosa fare non c'è stato più bisogno di trattative, di vertici, di bracci di ferro, di tweet e contro tweet». Di conseguenza anche il ruolo di Giuseppe Conte si è trasformato. Secondo Polli Dal Balcone, così in redazione chiamano il docente-giornalista, «la figura del presidente del Consiglio si è tramutata da quella precedente e non proprio esaltante di temporeggiatore-equilibrista, super specialista della mediazione, in quella di capo di un esercito schierato contro un nemico mortale». Per il commentatore del Corriere la metamorfosi non potrà che avere sbocchi importanti, perché quando finirà l'emergenza, Conte avrà accumulato un capitale politico che potrà impiegare in vario modo, magari mettendosi alla guida di un suo partito, oppure cogliendo l'opportunità di diventare il padre nobile del Movimento 5 stelle, oppure dello stesso Pd. Insomma, dopo l'ora più buia, secondo l'esperto di cose politiche, ci potrebbe essere un futuro radioso per il presidente del Consiglio. Galli Della Loggia non lo dice, ma si capisce che sotto sotto immagina per Giuseppe Conte un'ascesa al Colle più alto di Roma, ovvero una canonizzazione da capo dello Stato, al posto di Sergio Mattarella quando questi fra tre anni lascerà il Quirinale.
Ovviamente ognuno è libero di fare le congetture che desidera e, se trova un editore disposto a stampargliele, perfino di pubblicarle in prima pagina su quello che è il quotidiano più diffuso in Italia. Tuttavia, l'analisi del professore parte da un dato sbagliato e dunque non può che finire a conclusioni errate. Già, perché Polli Dal Balcone è convinto che in 15 giorni l'equilibrista di Palazzo Chigi si sia trasformato in un decisionista, ovvero - per dirla con le parole del professore - nel capo schierato contro un nemico mortale. Ora, che Conte sia capo è, purtroppo per noi, una realtà, perché così ha voluto una maggioranza parlamentare raccogliticcia, indecisa a tutto se non a evitare le elezioni. Il problema però è se il premier sia alla testa di un esercito schierato contro un nemico mortale o non piuttosto di un esercito che non è schierato, ma avanza sbandando, procedendo in modo incerto e contraddittorio con il risultato che, in qualche caso, perfino indietreggia. Se si riavvolge il nastro del film degli ultimi due mesi si capisce che Giuseppe I il temporeggiatore non ha lasciato il posto a Giuseppe II il risoluto, come vorrebbe farci credere Galli Della Loggia. Giuseppe è sempre lo stesso, ossia il Conte che alle dichiarazioni roboanti non fa seguire i fatti, ma cerca ogni volta una mediazione e una copertura politica. Non starò a ricordare quando il presidente del Consiglio disse in tv che il governo era prontissimo ad affrontare l'emergenza: quell'intervista ormai è scolpita nella storia e nella memoria dei parenti delle migliaia di vittime provocate dal coronavirus e dall'impreparazione dell'esecutivo. Certo, gli italiani dimenticano in fretta, ma si fa fatica a immaginare che, passata l'epidemia, possano scambiare Conte per un capo determinato e carismatico dopo una simile prova. Per di più sarà quasi impossibile scordarsi che, mentre a Bergamo e Brescia il virus dilagava, a Palazzo Chigi si prendeva tempo per non dichiarare le due province lombarde zona rossa. Ci sono volute liti e anche plateali dichiarazioni dei governatori, prima che Conte disponesse le misure più gravi. Del resto, l'esitazione del premier nelle settimane del contagio la si può misurare con il numero di decreti emessi dalla presidenza del Consiglio. A misure appena varate ci si è resi conto che non erano sufficienti e dunque il decisionista a capo dell'esercito contro il coronavirus ha dovuto farne altre, modificando ciò che aveva appena annunciato. Basti pensare a quanto tempo è servito per fermare le attività produttive, ma anche quante volte si è cambiata la certificazione che è costretto a esibire chi esce di casa. A differenza di quanto ha scritto l'editorialista del Corriere, queste settimane non hanno cambiato il passo dell'avvocato di Volturara Appula. Anzi, se per caso fosse servita un'ulteriore dimostrazione, questo periodo ha evidenziato che cosa accade quando l'incertezza è al potere. La prova peggiore però Conte la sta dando con l'economia. Se in due mesi il presidente del Consiglio non è riuscito nemmeno a reperire le mascherine e i guanti per il personale sanitario (la Consip, ossia la centrale acquisti della pubblica amministrazione, dipende dal governo e non dagli enti locali), sul fronte delle misure per proteggere le aziende e il lavoro il premier è andato a tentoni, annaspando in mondo imbarazzante. Tutti ricorderanno quando, dopo aver disposto il blocco delle attività, annunciò che nessuno avrebbe perso il posto. Alle promesse però non sono seguiti i fatti, perché al di là delle dichiarazioni nulla è stato fatto. Prova ne sia che il ministro del Sud, Giuseppe Provenzano, ieri ha addirittura lanciato un allarme, sostenendo in un'intervista che nel caso non fossero varate nuove misure di sostegno economico potrebbe esserci un rischio per la tenuta democratica del Paese. Il ragionamento è chiaro. Finora la gente è rimasta a casa, spaventata dall'epidemia. Ma quando avrà finito i soldi, quando non saprà come pagare le rate e come fare la spesa, che cosa succederà? Conte, fino all'altro ieri, insisteva nel chiedere l'aiuto del Mes, ben sapendo che l'intervento del Fondo salva Stati avrebbe significato cedere alla Troika e imporre al Paese provvedimenti lacrime e sangue. Poi, all'improvviso, ha cambiato opinione, dicendo che l'Italia farà da sola. La realtà è che più passano i giorni e più la situazione appare difficile, perché molte imprese rischiano di sparire e già nelle prossime settimane centinaia di migliaia di lavoratori potrebbero trovarsi senza stipendio. Sì, il Paese rischia, sia dal punto di vista economico che da quello sociale, e al momento il capo dell'esercito mostra di avere in testa poche idee e per di più confuse. Sarà anche vero, come dice Polli Dal Balcone, che Conte in questi giorni ha accumulato un capitale. Ma la mia sensazione è che di questi tempi nessun capitale sia garantito. Soprattutto quelli politici.
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Secondo Ernesto Galli della Loggia, che lo ha scritto ieri in prima pagina sul Corriere della Sera, l'epidemia di coronavirus ha avuto come effetto collaterale la crescita politica di Giuseppe Conte. Da uomo irresoluto a tutto, in poche settimane il presidente del Consiglio si sarebbe trasformato, secondo l'editorialista di via Solferino, in uomo del fare. «Ricordiamo tutti la penosa condizione d'incertezza, con conseguente condizione d'immobilismo, in cui ancora a metà febbraio era immerso il governo», ha scritto il professore prestato al giornalismo, spiegando che la pandemia ha spazzato via tutto, costringendo le forze politiche ad abbandonare le polemiche per adottare misure concrete.«D'improvviso, per decidere che cosa fare non c'è stato più bisogno di trattative, di vertici, di bracci di ferro, di tweet e contro tweet». Di conseguenza anche il ruolo di Giuseppe Conte si è trasformato. Secondo Polli Dal Balcone, così in redazione chiamano il docente-giornalista, «la figura del presidente del Consiglio si è tramutata da quella precedente e non proprio esaltante di temporeggiatore-equilibrista, super specialista della mediazione, in quella di capo di un esercito schierato contro un nemico mortale». Per il commentatore del Corriere la metamorfosi non potrà che avere sbocchi importanti, perché quando finirà l'emergenza, Conte avrà accumulato un capitale politico che potrà impiegare in vario modo, magari mettendosi alla guida di un suo partito, oppure cogliendo l'opportunità di diventare il padre nobile del Movimento 5 stelle, oppure dello stesso Pd. Insomma, dopo l'ora più buia, secondo l'esperto di cose politiche, ci potrebbe essere un futuro radioso per il presidente del Consiglio. Galli Della Loggia non lo dice, ma si capisce che sotto sotto immagina per Giuseppe Conte un'ascesa al Colle più alto di Roma, ovvero una canonizzazione da capo dello Stato, al posto di Sergio Mattarella quando questi fra tre anni lascerà il Quirinale.Ovviamente ognuno è libero di fare le congetture che desidera e, se trova un editore disposto a stampargliele, perfino di pubblicarle in prima pagina su quello che è il quotidiano più diffuso in Italia. Tuttavia, l'analisi del professore parte da un dato sbagliato e dunque non può che finire a conclusioni errate. Già, perché Polli Dal Balcone è convinto che in 15 giorni l'equilibrista di Palazzo Chigi si sia trasformato in un decisionista, ovvero - per dirla con le parole del professore - nel capo schierato contro un nemico mortale. Ora, che Conte sia capo è, purtroppo per noi, una realtà, perché così ha voluto una maggioranza parlamentare raccogliticcia, indecisa a tutto se non a evitare le elezioni. Il problema però è se il premier sia alla testa di un esercito schierato contro un nemico mortale o non piuttosto di un esercito che non è schierato, ma avanza sbandando, procedendo in modo incerto e contraddittorio con il risultato che, in qualche caso, perfino indietreggia. Se si riavvolge il nastro del film degli ultimi due mesi si capisce che Giuseppe I il temporeggiatore non ha lasciato il posto a Giuseppe II il risoluto, come vorrebbe farci credere Galli Della Loggia. Giuseppe è sempre lo stesso, ossia il Conte che alle dichiarazioni roboanti non fa seguire i fatti, ma cerca ogni volta una mediazione e una copertura politica. Non starò a ricordare quando il presidente del Consiglio disse in tv che il governo era prontissimo ad affrontare l'emergenza: quell'intervista ormai è scolpita nella storia e nella memoria dei parenti delle migliaia di vittime provocate dal coronavirus e dall'impreparazione dell'esecutivo. Certo, gli italiani dimenticano in fretta, ma si fa fatica a immaginare che, passata l'epidemia, possano scambiare Conte per un capo determinato e carismatico dopo una simile prova. Per di più sarà quasi impossibile scordarsi che, mentre a Bergamo e Brescia il virus dilagava, a Palazzo Chigi si prendeva tempo per non dichiarare le due province lombarde zona rossa. Ci sono volute liti e anche plateali dichiarazioni dei governatori, prima che Conte disponesse le misure più gravi. Del resto, l'esitazione del premier nelle settimane del contagio la si può misurare con il numero di decreti emessi dalla presidenza del Consiglio. A misure appena varate ci si è resi conto che non erano sufficienti e dunque il decisionista a capo dell'esercito contro il coronavirus ha dovuto farne altre, modificando ciò che aveva appena annunciato. Basti pensare a quanto tempo è servito per fermare le attività produttive, ma anche quante volte si è cambiata la certificazione che è costretto a esibire chi esce di casa. A differenza di quanto ha scritto l'editorialista del Corriere, queste settimane non hanno cambiato il passo dell'avvocato di Volturara Appula. Anzi, se per caso fosse servita un'ulteriore dimostrazione, questo periodo ha evidenziato che cosa accade quando l'incertezza è al potere. La prova peggiore però Conte la sta dando con l'economia. Se in due mesi il presidente del Consiglio non è riuscito nemmeno a reperire le mascherine e i guanti per il personale sanitario (la Consip, ossia la centrale acquisti della pubblica amministrazione, dipende dal governo e non dagli enti locali), sul fronte delle misure per proteggere le aziende e il lavoro il premier è andato a tentoni, annaspando in mondo imbarazzante. Tutti ricorderanno quando, dopo aver disposto il blocco delle attività, annunciò che nessuno avrebbe perso il posto. Alle promesse però non sono seguiti i fatti, perché al di là delle dichiarazioni nulla è stato fatto. Prova ne sia che il ministro del Sud, Giuseppe Provenzano, ieri ha addirittura lanciato un allarme, sostenendo in un'intervista che nel caso non fossero varate nuove misure di sostegno economico potrebbe esserci un rischio per la tenuta democratica del Paese. Il ragionamento è chiaro. Finora la gente è rimasta a casa, spaventata dall'epidemia. Ma quando avrà finito i soldi, quando non saprà come pagare le rate e come fare la spesa, che cosa succederà? Conte, fino all'altro ieri, insisteva nel chiedere l'aiuto del Mes, ben sapendo che l'intervento del Fondo salva Stati avrebbe significato cedere alla Troika e imporre al Paese provvedimenti lacrime e sangue. Poi, all'improvviso, ha cambiato opinione, dicendo che l'Italia farà da sola. La realtà è che più passano i giorni e più la situazione appare difficile, perché molte imprese rischiano di sparire e già nelle prossime settimane centinaia di migliaia di lavoratori potrebbero trovarsi senza stipendio. Sì, il Paese rischia, sia dal punto di vista economico che da quello sociale, e al momento il capo dell'esercito mostra di avere in testa poche idee e per di più confuse. Sarà anche vero, come dice Polli Dal Balcone, che Conte in questi giorni ha accumulato un capitale. Ma la mia sensazione è che di questi tempi nessun capitale sia garantito. Soprattutto quelli politici.
In Toscana un laboratorio a cielo aperto, dove con Enel il calore nascosto della Terra diventa elettricità, teleriscaldamento e turismo.
L’energia geotermica è una fonte rinnovabile tanto antica quanto moderna, perché nasce dal calore naturale generato all’interno della Terra, sotto forma di vapore ad alta temperatura, convogliato attraverso una rete di vapordotti per alimentare le turbine a vapore che girando, azionano gli alternatori degli impianti di generazione. Si tratta di condotte chiuse che trasportano il vapore naturale dal sottosuolo fino alle turbine, permettendo di trasformare il calore terrestre in elettricità senza dispersioni. Questo calore, prodotto dai movimenti geologici naturali e dal gradiente geotermico determinato dalla profondità, può essere utilizzato per produrre elettricità, riscaldare edifici e alimentare processi industriali. La geotermia diventa così una risorsa strategica nella transizione energetica.
L’energia geotermica non dipende da stagionalità o condizioni climatiche: è continua e programmabile, dando un contributo alla stabilità del sistema elettrico.
Oggi la geotermia è riconosciuta globalmente come una delle tecnologie più affidabili e sostenibili: in Cile, Islanda, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Filippine e molti altri Paesi questa filiera sta sviluppandosi vigorosamente. Ma è in Italia – e più precisamente in Toscana – che questa storia ha mosso i suoi primi passi.
La presenza dei soffioni boraciferi nel territorio di Larderello (Pisa), da sempre caratterizzato da manifestazioni naturali come vapori, geyser e acque termali, ha fatto intuire il valore energetico di quella forza invisibile. Già nel Medioevo erano attive piccole attività produttive basate sul contenuto minerale dei fluidi geotermici, ma è nel 1818 – grazie all’ingegnere francese François Jacques de Larderel – che avviene il primo utilizzo industriale. Il passaggio decisivo c’è però nel 1904, quando Piero Ginori Conti, sfruttando il vapore naturale, accende a Larderello le prime cinque lampadine: è la prima produzione elettrica geotermica al mondo, anticipando la nascita nel 1913 della prima centrale geotermoelettrica al mondo. Da allora questa tecnologia non ha mai smesso di evolversi, fino a diventare un laboratorio internazionale di ricerca e innovazione.
Attualmente, la Toscana rappresenta il cuore della geotermia nazionale: tra le province di Pisa, Grosseto e Siena Enel gestisce 34 centrali, per un totale di 37 gruppi di produzione che garantiscono una potenza installata di quasi 1.000 MW. Questi impianti generano ogni anno tra i 5,5 e i quasi 6 miliardi di kWh, pari a oltre un terzo del fabbisogno elettrico regionale e al 70% della produzione rinnovabile della Toscana.
Si tratta anche di uno dei più avanzati siti produttivi dal punto di vista tecnologico, che punta non allo sfruttamento ma alla coltivazione di questi giacimenti di energia. Nelle moderne centrali geotermiche, il vapore che ha già azionato le turbine – chiamato tecnicamente «vapore esausto» – non viene disperso nell'atmosfera, ma viene convogliato nelle torri refrigeranti, che con un processo di condensazione ritrasformano il vapore in acqua e lo reimmettono nei serbatoi naturali sotterranei attraverso pozzi di reiniezione.
Accanto alla dimensione produttiva, la geotermia toscana si distingue per la sua capacità di integrarsi nel tessuto sociale ed economico locale. Il calore geotermico residuo – dopo aver alimentato le turbine dell’impianto di generazione - è ceduto gratuitamente o a costi agevolati per alimentare reti di teleriscaldamento che raggiungono oltre 13.000 utenze, scuole, palazzetti, piscine e edifici pubblici, riducendo le emissioni e i consumi di combustibili fossili. Lo stesso calore sostiene attività agricole e artigianali, come serre per la coltivazione di fiori e ortaggi e aziende alimentari, che utilizzano questo calore «di scarto» invece di bruciare gas o gasolio. Persino la produzione di birra artigianale può beneficiare di questa fonte termica sostenibile!
Ma c’è dell’altro, perché questa integrazione tra energia e territorio si riflette anche sul turismo. Le zone geotermiche della cosiddetta «Valle del Diavolo», tra Larderello, Sasso Pisano e Monterotondo Marittimo, attirano ogni anno migliaia di visitatori. Musei, percorsi guidati e la possibilità di osservare da vicino fenomeni naturali e impianti di produzione, rendono il distretto un caso unico al mondo, dove la tecnologia convive con una geografia dominata da vapori e sorgenti naturali che affascinano da secoli viaggiatori e studiosi, creandoun’offerta turistica che vive grazie alla sinergia tra Enel, soggetti istituzionali, imprese, tessuto associativo e consorzi turistici.
Così, oltre un secolo dopo le prime lampadine illuminate dal vapore di Larderello, la geotermia continua ad essere una storia italiana che unisce ingegneria e paesaggio, sostenibilità e comunità. Una storia che prosegue guardando al futuro della transizione energetica, con una risorsa che scorre sotto ai nostri piedi e che il Paese ha imparato per primo a trasformare in energia e opportunità.
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A Bruxelles c’è nervosismo: l’Italia ha smesso di dire sempre sì. Su Ucraina, fondi russi e accordo Mercosur, Roma alza la voce e rimette al centro interessi nazionali, imprese e agricoltori. Mentre l’UE spinge, l’Italia frena e negozia. Risultato? L’Italia è tornata a contare. E in Europa se ne sono accorti.