2022-04-06
Il processo all’Eni e la débacle dei pm vendicatori
Nel libro di Alessandro Da Rold, «L’assalto», la ricostruzione di come Piero Amara e Vincenzo Armanna abbiano ingannato le toghe a Milano.Questo non è un libro sull’Eni e non è neppure il racconto di un processo che ha visto sul banco degli imputati i manager che negli ultimi vent’anni sono stati alla guida dell’ente idrocarburi. No. L’inchiesta di Alessandro Da Rold è la minuziosa analisi di come per anni due imbroglioni sono riusciti a prendere in giro la crème della Giustizia. Già, da Mani pulite in poi, la Procura di Milano ha goduto di uno straordinario consenso. Agli occhi dell’opinione pubblica, i pm del capoluogo lombardo erano i magistrati con la M maiuscola, ossia pubblici ministeri che non avevano timore di nessuno.Primi a mettere nel mirino i potenti della Repubblica, primi a trascinare nel fango gli stessi colleghi, smentendo il detto che cane non mangia cane, primi a indagare senza riguardi anche i più ricchi del Paese. [...] Sul petto dei pm, nel corso degli anni, si sono appuntate le condanne di Bettino Craxi, insieme a quelle dei protagonisti di mezza prima Repubblica, poi è arrivato Silvio Berlusconi e le inchieste per riuscire ad appioppargli, sulle spalle, alcuni anni di carcere sono state una partita a scacchi che è andata avanti per vent’anni. [...] Sì, per anni le toghe del capoluogo lombardo hanno interpretato agli occhi di gran parte degli italiani il ruolo dei vendicatori, contro un sistema corrotto e corruttibile. Ma poi sono arrivati A & A, ovvero Piero Amara e Vincenzo Armanna, una strana copia di collaboratori di giustizia. Due rei confessi che hanno fatto fessi i pm. E che abbiano raccontato balle ai pubblici ministeri, i quali se le sono bevute, ormai è chiaro, perché a metterlo nero su bianco è stata la stessa magistratura giudicante, con alcune sentenze definitive che hanno demolito anni di indagini. Amara e Armanna sono due ex collaboratori del gruppo Eni. Il primo era un legale che per conto dell’ente si occupava di processi legati all’ambiente. Entrato dalla porta di servizio, cioè dal petrolchimico in Sicilia, per problemi connessi all’impatto ambientale dell’impianto, in pochi anni era riuscito a costruire un complessa rete di relazioni all’interno del gigante petrolifero. Il secondo invece era un manager che, dopo aver lavorato per le Ferrovie dello Stato e aver concluso in maniera burrascosa il rapporto, si era trasformato in esperto di barili e idrocarburi. A & A si conoscevano, e anche molto bene, e, come si scoprirà in seguito, a un certo punto hanno deciso di rovesciare addosso ai vertici dell’Eni non il petrolio, ma una materia più maleodorante. È lo stesso Armanna a dirlo, durante una conversazione registrata per caso e finita agli atti di un altro processo, ma che, inspiegabilmente, i pm del caso Eni decisero di ignorare.Anzi, di non portare all’attenzione né della difesa, né del tribunale, preferendo usare le deposizioni di A & A come se non esistesse una prova che smonta va il castello di accuse costruito dai due. Mi sono chiesto perché A & A abbiano voluto trascinare nel fango i vertici del più grande gruppo italiano, perché un giorno abbiano deciso di costruire una storia di corruzione internazionale, con tangenti miliardarie, e l’unica spiegazione che so darmi è che nell’oceano di affari che un gigante come Eni realizza ogni anno, a un certo punto anche loro hanno pensato di sguazzare.Probabilmente volevano la loro parte. In qualche modo, hanno pensato che l’oro nero potesse far ricchi anche loro. Tuttavia, se loro hanno un movente, o per lo meno qualche cosa che ai miei occhi giustifica le loro balle, risulta incomprensibile perché i pm ci siano cascati. Come è possibile che investigatori esperti in reati finanziari si siano bevuti le frottole di A & A senza rendersi conto che non stavano in piedi? Perché hanno sottovalutato dei segnali inequivocabili, come il famoso video in cui la strana coppia si prefiggeva di spazzare via i vertici dell’ente, dimostrando di avere un disegno preordinato oltre che degli interessi precisi? Il libro di Da Rold cerca di rispondere a tutte queste domande. Soprattutto prova a spiegare come si siano spesi decine di milioni per istruire un processo che si è rivelato sgangherato fin dalle sue prime battute. Come dimenticare, infatti, la montagna di soldi che sarebbe stata caricata su un aereo mentre una perizia ha dimostrato che, per il peso delle banconote, il velivolo non avrebbe mai neppure potuto spiccare il volo? Quanto è stata incredibile la sfilata di testimoni nigeriani che, uno dopo l’altro, negavano di essere testimoni e, quasi quasi, pure di essere nigeriani? [...] No, quello che state per leggere non è il resoconto del processo all’Eni, ma semmai la ricostruzione di un processo in cui la magistratura inquirente ha perso la verginità e soprattutto quell’aura di infallibilità e autorevolezza che negli ultimi vent’anni l’ha circondata. [...] A & A, una coppia alla Totò e Peppino, pronta a vendere ai pm ciò che i pm, per ansia da prestazione e desiderio di successo, volevano sentirsi dire. Una fontana di Trevi venduta alla Procura, che poi alla Procura è costata una serie di accuse, tra le quali quelle di aver nascosto delle prove a discarico, di aver omesso atti di ufficio, di aver provocato una fuga di notizie e perfino, di recente, di aver chiuso gli occhi su certi reati, sottovalutando una serie di fatti. Sì, sul banco degli imputati, alla fine, ci sono i magistrati. [...]Il capo della Procura, oggi, è in pensione, ma il suo addio non è stato accompagnato dalle fanfare. Molti dei suoi collaboratori sono sotto inchiesta e altri hanno già fatto richiesta di trasferimento, mettendo agli atti la definitiva fine del Pool. No, quella che avete tra le mani non è la storia del processo Eni e non è forse nemmeno la storia di due imbroglioni che hanno messo nei guai alcuni tra i pm più celebrati. Il libro è il racconto di come funziona (o meglio: non funziona) la Giustizia e di come [...], se non avete avvocati e mezzi per appurare la vostra estraneità ai fatti, alla fine, anche se siete innocenti, la Giustizia vi può stritolare. Se c’era un modo per rendere popolare presso l’opinione pubblica la necessità di una profonda riforma del sistema sanzionatorio dei magistrati (cioè l’urgenza di cambiare il Csm affinché il principio che chi sbaglia paga, valga anche per le toghe), beh, questa storia e questo libro ne sono la prova.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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