2022-08-24
Le immagini, l’ipocrisia e l’insicurezza delle città
Gli atti violenti dilagano ovunque perché manca l’effetto deterrente di leggi e pene certe.Vorrei tornare a occuparmi della vittima dello stupro di Piacenza, la donna ucraina, cinquantacinquenne, residente da anni in Italia, violentata nel pieno centro di Piacenza, da un richiedente asilo, quel delinquente ventisettenne, Sekou Souware, originario della Guinea, e che dovrebbe essere stato espulso da tempo dall’Italia, poiché il 20 giugno la commissione territoriale di Trieste gli aveva negato il diritto all’accoglienza. Fatto molto importante, perché quel criminale, lì, a Piacenza non doveva esserci.Ma la discussione si è fatta calda sulla diffusione del video dello stupro e soprattutto sul fatto che lo abbia fatto circolare anche Giorgia Meloni. Su tutto questo voglio fare tre considerazioni. La prima. La questione è ovviamente molto delicata e ieri la vittima ha rilasciato una dichiarazione molto dura, che non può lasciare indifferenti: «Sono disperata, mi hanno riconosciuta da quel video». Chissà, ho pensato, che reazione avrebbe provocato in me la visione di quel video se avesse riguardato qualche persona a me vicina a diverso titolo. Forse mi sarei arrabbiato come un bufalo. Legittimo. Quindi si può discutere e si deve farlo sull’uso di questo tipo di video, ma non può diventare quello l’argomento esclusivo della discussione, tra l’altro senza considerare gli infiniti altri video non troppo diversi che abbiamo visto per mesi e sui quali nessuno ha avuto da ridire. La vittima, per me, ha sempre ragione e quello che dice ha precedenza su tutto, su questo non ci piove, quindi la sua reazione ci deve far pensare e molto.La seconda. È vero tutto quanto ho già detto, ma che ora la Meloni, su un giornale online, ieri, sia stata messa al pari dello stupratore, questo francamente mi sembra almeno irragionevole e comunque eccessivo. Si può discutere - come ho ampiamente detto sopra - di tutto e con ragione, ma quando si fanno questo tipo di accuse allora vuol dire che si è superato il limite della decenza anche da parte di chi mette in discussione il fatto. Anche perché per mesi ci siamo ritrovati l’immagine di Aylan, il piccolo profugo siriano bambino morto sulla spiaggia, a faccia in giù, annegato nel 2015 davanti alla spiaggia di Bodrum, in Turchia. Ancora con la maglietta rossa, i pantaloncini scuri e le scarpe ancora allacciate. Si disse allora che non era sensazionalismo, ma una decisione da parte dei media di guardare in faccia la realtà, senza ipocrisie, la crudezza del dramma provocato dai problemi legati all’immigrazione. Poi è stata la volta - solo per fare due esempi - di George Perry Floyd, un uomo afroamericano, era il 25 maggio 2020, e un commesso di un negozio aveva sospettato che George avesse potuto usare una banconota da venti dollari contraffatta. Fu ucciso da un poliziotto a Minneapolis, nel Minnesota. L’agente di polizia Derek Chauvin lo tenne immobilizzato tenendo il suo ginocchio sul collo dell’afroamericano per 9 minuti e 58 secondi. «I can’t breathe» (Non posso respirare), divenne in un attimo il simbolo della violenza e del non rispetto dei diritti da parte delle forze dell’ordine degli Stati Uniti. E vogliamo ricordare il video dell’omicidio di Civitanova Marche, che ha mostrato in tutta la sua brutalità l’aggressione da parte di un italiano squilibrato ai danni di Alika Ogorchukwu, nigeriano di 39 anni? Nel filmato abbiamo visto tutto, un assassinio a suon di botte in diretta. È circolato ovunque quel filmato, per giorni e giorni. Certo, in questi casi stiamo parlando di morti, ma nessuno obiettò che poteva anche bastare. Anche in quei casi, comunque, c’erano dei vivi, i genitori, i parenti, gli amici, le persone comuni. Anche in quei casi c’era una sorta di rispetto del defunto della quale si poteva discutere. Ecco, insomma l’impressione è che quei casi, dove c’erano di mezzo l’immigrazione e le mele marce presenti nelle forze dell’ordine (temi considerati caldi a sinistra) indignino più che uno stupro, una violenza, anche nel caso in cui siano a danno delle donne.Infine, la terza considerazione. C’è o non c’è un problema di sicurezza nelle nostre città che riguarda spesso le donne, ma non solo, e che questa estate ha letteralmente infestato la cronaca nazionale, ma spesso solo locale? E a seguire: c’è o non c’è una escalation di questi atti in pieno giorno, in pieno centro delle città, anche non enormi città come Piacenza? E ci stiamo interrogando a sufficienza sul perché è stata abbandonata la notte per commettere questi reati spostandolo le azioni delittuose in pieno giorno, e nel centro nelle città, non in luoghi nascosti, come era solito avvenire anche nel recentissimo passato? Non sarà che questi criminali hanno meno paura, e cioè che condanne e pene, che spesso arrivano in ritardo o mai o sono di leggerissima portata e ce li fanno ritrovare sulle strade pochi giorni o mesi dopo i fatti, non li impauriscano più e si sentano tranquilli di agire? Si chiama mancanza dell’effetto deterrente delle leggi e delle pene, in ambedue i casi doverosamente certe. Anche nel caso di Sekou Souware.In conclusione, si può discutere del video di Piacenza, ma va fatto considerando anche i tanti altri filmati che abbiamo dovuto vedere. Si deve discutere e ci si deve anche muovere a fare qualcosa nel senso della deterrenza. Perché questi criminali sembrano agire pensando di andare incontro alla più totale impunità.