2020-08-18
Il potere diffonde paura per restare dov’è
Spiaggia affollata( Stephane Cardinale - Corbis:Corbis via Getty Images)
Non si capisce se il Covid-19 sia nemico o complice involontario di un governo che in realtà non ha la minima idea di cosa fare se non puntare sul terrore sanitario che oggi va di moda e anche di decreto. Generando ansia e insicurezza, le patologie più diffuse. Perché le autorità sanitarie incaricate di tutelare il nostro benessere ci vogliono spaventare? Cos'altro vuole infatti, se non questo, il professor Francesco Vaia, (tra gli altri), direttore sanitario dell'Istituto malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, quando parlando dei positivi dichiara al Corriere della Sera: «Sono terrorizzato»? Lui sarebbe lì per tutelare la salute, e quindi anche l'equilibrio psicologico, degli italiani. Se per caso fosse davvero terrorizzato, almeno non dovrebbe dichiararlo al Corriere della Sera, né a nessun altro media (noi compresi). Lo scienziato deve conservare la calma, non moltiplicare lo spavento. Diffondere la paura (anzi il terrore) con il peso della propria autorità tecnico-scientifica è un'azione altamente lesiva della salute pubblica. Con effetto terroristico, come il lapsus conferma. Va da sé che non è certo il povero professor Vaia il responsabile del terrorismo sanitario che appesantisce l'esistenza degli italiani nello straniante Ferragosto post-Covid. Però il suo grido dal palcoscenico mediatico, assieme ai molti altri che l'hanno preceduto, accompagnato e seguito (ahimè, spesso, da camici bianchi), ci fa capire una cosa importante: che molti, pur essendo medici non sanno che la paura fa male. Ed è un bel guaio per la popolazione loro affidata. Perché, come la medicina ha sempre saputo fin dai suoi inizi, la paura è in sé una manifestazione morbosa, che peggiora tutte le altre. Il suo fondatore, il greco Ippocrate, così descriveva chi ne è vittima: «L'ansietà lo tormenta; egli sfugge dalla luce e dalle persone, ama le tenebre: è in preda alla paura«. (Come blindato in un lock-in). È così che il pauroso/terrorizzato diventa anche preda preferita delle malattie infettive, perché paura e terrore diminuiscono le difese immunitarie da virus e batteri, oltre alla lucidità nelle analisi e comportamenti. Quando non si viene fin da piccoli addestrati a difendersi dalla paura e nell'irrazionalità, da cittadini adulti si scivola poi nella depressione. La paura è dunque cosa pessima, debilitante, e toglie ogni forza a chi vi cede, o addirittura la celebra, come oggi va di moda e anche di decreto. Lo raccontava già Plutarco (Sulla superstizione), storico e fedele cronista dell'età classica: «La paura, oltre a essere illogica è vigliacca, unisce all'irrazionalità l'inerzia, l'incapacità di trovare mezzi o risorse. Perciò chiamiamo timore e spavento ciò che paralizza l'anima ed insieme la agita». Paralisi e agitazione prendono così gradualmente il potere nel corpo e psiche posseduti dalla paura. Quando ciò accade, le persone sembrano spesso agitarsi in modo quasi convulso, incerti tra opzioni opposte; ma in fondo sono fermi. Come confessano all'analista diversi pazienti: «Per la prima volta nella mia vita non farò vacanza. Gli amici mi propongono una cosa o quell'altra. Ma la paura di infettarmi mi tiene inchiodato a casa». Purtroppo non sono pochi in questa condizione. Ed usano le varie fasi dell'azione antivirus come alibi per stare fermi, anche perché da come queste vengono presentate sembrano fatte apposta per lasciare al primo posto sempre lui: il Covid 19. Non si capisce se grande nemico o complice involontario di un potere che in realtà non ha la minima idea di dove andare se non restare dov'è.Intanto, però, fa largo alla paura, come se fosse una virtù. Ma non è così. La sua diffusione rivela invece la mancanza di una virtù autentica; impegnativa, ma tuttavia indispensabile alla vita: il coraggio. Senza il quale la vita si inceppa, diventa un peso insopportabile. L'esperienza di questo coronavirus ci ha mostrato fino in fondo quanto il coraggio sia diventato raro, e in fondo non sia neppure particolarmente apprezzato dal sistema con le sue autorità e istituzioni. Anzi viene accusato di vitalismo, aggressività; un mostro intermedio tra l'odio fascista e il fascismo odioso. Intendiamoci, non si pretende poi una cosa eroica, «da leone», basterebbe il vecchio normale coraggio di chi scopre che la vita lo richiede comunque sempre, e quindi anche se non ce l'hai è meglio che te lo fai venire perché l'esistenza prima o poi lo esige. Sempre. Perché il coraggio ha poi a che fare con una cosa che riguarda tutti: la fine della vita. Un passaggio con cui è meglio sviluppare una certa dimestichezza, piuttosto che fuggirlo come se fosse un fantasma che basta guardare da un'altra parte e scompare. Anche perché la fuga dal solo pensiero della morte, con le ansie, le insicurezze e le paure che procura, è oggi diventata una delle patologie più diffuse. Qual è il terapeuta che non ha mai avuto qualche paziente (giovane ma neppure giovanissimo) che gli dichiarasse candidamente «Ma sa, io forse potrei anche non morire"? E alla domanda su come mai lo pensasse, visto che a quanto se ne sa tutti prima o poi muoiono, rispondesse: «Con i grandi progressi che sta facendo la scienza, potrebbe essere che il problema venga sistemato prima». Il fatto è che il lato debole della scienza (che non rappresenta tutti gli scienziati, ma purtroppo esiste), quello che si sente in competizione con Dio, vive la morte come una terrificante sconfitta, e non riesce ad assumere un atteggiamento equilibrato verso di essa e verso la malattia. Suscitando così (a volte anche per ragioni commerciali) aspettative irrealizzabili nei confronti della scienza, e creando attorno al «pericolo di vita» un'atmosfera da thriller scalcinato che non giova a nessuno, tranne a chi la vuole utilizzare per fini personali di potere e di guadagno. Come molte sette, ma non solo loro.La mia generazione, che almeno un pezzettino di guerra è riuscita a vederla, è stata in questo privilegiata, nel senso che ha spesso con la morte un rapporto realistico: c'è, meglio se viene tardi, ma non è una tragedia. È un aspetto della vita. E così la malattia. Da piccoli, vaccini non ce n'erano quasi, tranne difterite, tetano e polio; i nostri bravi pediatri avevano insegnato alle mamme che la febbre va lasciata salire almeno fino a 39 perché «fa immunità« e solo dopo si poteva dare l'antibiotico. Quindi le malattie infantili si sono fatte tutte; febbroni bestiali, qualche minidelirio; ma in effetti tutta salute: siamo ancora qui in tanti. Nessuno però convinto del ridicolo paragone «Covid uguale guerra«, smascherato in ogni paese da anziani editorialisti furibondi che hanno protestato: «Ma per favore! Sapete cos'erano i bombardamenti, gli allarmi notturni, i rifugi dove correre come topi, a rischio di non uscirne mai? E i 54 milioni di morti?«. Incazzatissimi anche, i vecchi irriducibili, per chi chiede i lockdown no stop per «rispetto verso i nostri vecchi». «Non parlate in nome mio! (Not in my name)« ha tuonato sul Daily Telegraph una decana del giornalismo britannico. «Si è fatta la guerra per la libertà, e adesso dovremmo chiudere in casa tutti per un pezzo di vita più! Chi dice questo non sa neppure cosa sia, la vita». Infatti.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson