
In commissione al Senato la proposta dem per il salario minimo firmata da Mauro Laus, reuccio delle coop torinesi. Lui ne gestiva una condannata per i contratti illegittimi.Ha presentato la proposta targata Pd che prevede l'introduzione di un salario minimo di 9 euro all'ora, ma quando era presidente della cooperativa Rear i suoi dipendenti li pagava appena 5,44 euro. Lordi, per giunta. Lui è il senatore Pd, Mauro Laus, fino a un anno fa presidente del Consiglio regionale del Piemonte, balzato nel 2015, agli onori della cronaca per aver baciato sulle labbra, durante la presentazione ufficiale della manifestazione, Alessandro Battaglia, organizzatore del Gay Pride di Torino. Lo scorso maggio, da poco entrato in parlamento, e magari sperando di bruciare sul tempo i pentastellati, Laus depositò uno dei due disegni di legge sul salario minimo che sono in questi giorni all'esame delle commissioni (l'altro è a firma della senatrice M5s Nunzia Catalfo), prevedendo, per i 9 euro da garantire al lavoratore (al netto dei contributi previdenziali e assistenziali) di attingere le coperture dagli stessi fondi destinati al reddito di cittadinanza e quota 100. Si era forse dimenticato, il senatore del suo passato nel depositare la proposta? Assolutamente no. Anzi, ne aveva fatto un punto di forza. Anticipando, nel febbraio 2018, durante la campagna elettorale che lo ha portato in parlamento, la sua idea al Lingotto di Torino, aveva messo le mani avanti, ricordando la vicenda e scaricando la colpa sulle pubbliche amministrazioni e sul sistema appalti: «Quando la stazione appaltante fa appalti al prezzo più basso, chi partecipa sa che può vincere con due centesimi e l'obiettivo è il contratto più basso», aveva recitato dal palco. Ma andiamo ai fatti. La Rear, cooperativa di servizi presieduta da Laus dal 1996 al 2014, nel Cda della quale siedono tuttora il fratello, la moglie e la cognata del senatore, forniva lavoratori per il controllo delle sale, l'accoglienza e la biglietteria alla Reggia di Venaria e al Museo del Cinema di Torino. Come altre coop del settore, la Rear applicava il contratto Unci con paga base di 5,44 euro l'ora lordi e, come altrettanti fornitori, accettando di partecipare a un bando pubblico si sarebbe dovuta accollare il rischio dei tardati pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni a cui aveva scelto di fornire il personale. A quanto risulta, invece, nel giugno del 2011, proprio a causa di un ritardo nella riscossione del dovuto, l'assemblea dei soci della Rear, decise di dare una sforbiciata ulteriore alle paghe dei dipendenti tagliando i compensi di un buon 10%. La decisione, ovviamente, lasciò i giovani, quasi tutti laureati e di belle speranze, con un palmo di naso e con il portafoglio a secco. Molti protestarono e, alcuni, vennero licenziati. L'anno successivo, venuto a conoscenza della vicenda, Ken Loach rifiutò di ritirare per solidarietà con i giovani sottopagati il Gran premio Torino del Torino film festival. «Non è un imprenditore che decide quanto deve pagare, è la contrattazione collettiva (…) sono i contratti firmati da organizzazioni sindacali e da quelle datoriali», si discolpava in campagna elettorale Laus, mentre già nell'aprile 2018, come riportato dal Fatto quotidiano, la Corte di cassazione, trattando una causa intentata da uno dei dipendenti della Rear rimasto senza lavoro, aveva specificato che «il contratto da applicare non era quello Unci, meno oneroso, ma quello di Confcooperative», e aveva condannato la cooperativa a risarcire l'ex dipendente.
Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.
Ansa
Mirko Mussetti («Limes»): «Trump ha smosso le acque, ma lo status quo conviene a tutti».
Le parole del presidente statunitense su un possibile intervento militare in Nigeria in difesa dei cristiani perseguitati, convertiti a forza, rapiti e uccisi dai gruppi fondamentalisti islamici che agiscono nel Paese africano hanno riportato l’attenzione del mondo su un problema spesso dimenticato. Le persecuzioni dei cristiani In Nigeria e negli Stati del Sahel vanno avanti ormai da molti anni e, stando ai dati raccolti dall’Associazione Open Doors, tra ottobre 2023 e settembre 2024 sono stati uccisi 3.300 cristiani nelle province settentrionali e centrali nigeriane a causa della loro fede. Tra il 2011 e il 2021 ben 41.152 cristiani hanno perso la vita per motivi legati alla fede, in Africa centrale un cristiano ha una probabilità 6,5 volte maggiore di essere ucciso e 5,1 volte maggiore di essere rapito rispetto a un musulmano.






