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2022-09-02
Nessun aiuto sulle bollette. Solo tagli al riscaldamento
Roberto Cingolani (Ansa)
L’Italia si prepara alla tempesta perfetta, quella della crisi energetica, con misure che almeno per il momento appaiono più che altro un pannicello caldo. Caldo ma non troppo: ieri in cdm il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha illustrato al premier, Mario Draghi, e ai colleghi il piano di risparmio sul gas. L’unica misura praticamente certa, che verrà messa nero su bianco nei prossimi giorni, è la riduzione di un grado (da 20 a 19) e lo spegnimento degli impianti di riscaldamento un’ora prima del solito a partire dal mese di ottobre nelle abitazioni private e negli uffici pubblici, mentre è esclusa la dad per gli studenti.
Singolare, per non dire tragicomica, l’ipotesi che invece vedrebbe la riduzione di due gradi di temperatura e di due ore al giorno dei riscaldamenti nelle aree del Paese dove il clima è meno rigido: praticamente al Sud e nelle isole gli italiani dovrebbero affrontare un inverno più gelido rispetto ai compatrioti del Centro e del Nord, anche se il Meridione d’Italia, ma forse questo Cingolani non lo sa, è pieno di centri abitati situati in montagna o in collina, dove il freddo punge eccome.
Per le imprese, a quanto apprende La Verità da fonti di governo, si prevede di vendere pacchetti di energia a prezzi calmierati a quelle più esposte, le cosiddette energivore e gasivore, a forte consumo di energia elettrica e gas. Questi pacchetti consisterebbero in energia prodotta in Italia e rinnovabili. Niente smart working per le aziende, niente spegnimenti delle vetrine, niente razionamenti: l’Italia, che secondo Cingolani ha un ottimo livello di stoccaggio di gas, all’81%, e che ha ridotto la sua dipendenza dal gas russo dal 40% al 18%, sceglie una linea molto soft, basata più che altro su una campagna di comunicazione che verrà realizzata attraverso degli spot. Prepariamoci quindi a vedere in tv e ascoltare in radio qualche Vip che ci invita a fare meno docce, a spegnere le lampadine o a utilizzare quelle a basso consumo, a non lasciare la tv accesa e altri suggerimenti di questo genere, suggerimenti che le nostre nonne ci hanno abituati ad ascoltare fin da bambini, ma che sono sostanzialmente il nulla rispetto alla gigantesca crisi che incombe.
Il piano verrà inviato a Bruxelles per essere vagliato dalla Commissione europea, entro la scadenza del 15 ottobre, e contiene anche le previsioni nel caso in cui la situazione dovesse precipitare: ad esempio, se la Russia dovesse ridurre ulteriormente o addirittura interrompere le forniture di gas ai Paesi europei. A mettere a rischio il piano di Cingolani, anche l’eventuale ritardo nella realizzazione del rigassificatore di Piombino: se non si procederà in maniera spedita, in primavera la situazione potrebbe precipitare.
«Il piano», aggiunge alla Verità un’altra fonte di governo, «è basato su due gambe. La prima: la prossima settimana interverremo con un provvedimento molto importante per il sostegno all’economia, il ministro Daniele Franco sta lavorando per reperire le risorse. La cifra non è ancora stata stabilita ma una cosa si può dire: non ci sarà alcuno scostamento di bilancio. Lo stesso Giulio Tremonti», argomenta la nostra fonte, «ha dichiarato di essere contrario. La seconda gamba è il piano di risparmio energetico, che Cingolani ha illustrato in Consiglio dei ministri in maniera sintetica, e che verrà messo a punto nei prossimi giorni. Un piano basato sulle buone pratiche: basta veramente un piccolo sacrificio, come usare lampadine a basso consumo, stare attenti a non sprecare ettolitri di acqua calda, abbassare di un minimo il riscaldamento, per risparmiare una enorme quantità di energia».
Siamo, come appare evidente, di fronte a una non scelta, probabilmente dettata da una precisa strategia politica, quella di lasciare al probabile futuro governo di centrodestra il peso di decisioni più drastiche e impopolari. Il piano di Cingolani è infatti costellato di contraddizioni, paradossi, lacune. Iniziamo dalla riduzione della temperatura dei riscaldamenti e dello spegnimento anticipato degli stessi: chi controllerà che le misure vengano rispettate? Nel caso dei condomini a impianto centralizzato verrà responsabilizzato l’amministratore, ma chi ha un riscaldamento autonomo dovrà essere convinto dalla campagna di comunicazione, poiché controllare sarà impossibile. Per quel che riguarda poi i fantomatici pacchetti di energia a prezzi calmierati per le imprese, siamo di fronte a una mera dichiarazione di intenti: dove verrà reperito il gas da vendere sottocosto? Di quanto sarà ridotto il prezzo dell’energia? Chi deciderà quali imprese avranno diritto a questa agevolazione e quali no? Tutte domande senza risposta. Anche se il Mite pensa positivo e arriva a prevedere «risparmi variabili tra 3 e 6 miliardi di metri cubi di gas in un anno» grazie al razionamento dei riscaldamenti, l’uso di combustibili alternativi e l’ottimizzazione dell’utilizzo dell’energia.
Come se non bastasse, ieri è arrivato uno stop al rigassificatore di Piombino, pilastro del piano: l’amministrazione comunale ha inviato alla Regione Toscana il primo parere sulla collocazione del rigassificatore nel porto piombinese. «È un parere negativo», spiega il sindaco Francesco Ferrari in una nota, «che, per la parte tecnica redatta dalla task force del Comune, si basa sull’aspetto urbanistico della vicenda, riservandoci di sollevare successivamente le tante questioni in merito alla sicurezza e all’ambiente. Le criticità legate a quel progetto sono innumerevoli e variegate e faremo tutto quanto in nostro potere per farle emergere all’interno dei procedimenti autorizzativi».
Settimana prossima il dl anti rincari. Lega e M5s spingono lo scostamento
La borsa o la vita. L’ennesimo scostamento di bilancio o il precipizio. Oppure, chissà. C’è poco da giraci attorno. Per mitigare il caro bollette serve un’altra vagonata di miliardi. «Trenta» quantifica il leader della Lega, Matteo Salvini, che evoca unità nazionale: «Questi soldi servono adesso, mettiamoci d’accordo». E poco importa se, come ricorda Giorgia Meloni, da premier in pectore, «negli ultimi 15 mesi il debito pubblico italiano è cresciuto di 116 miliardi». Un puntiglio che condivide con il primo ministro ancora in carica: Mario Draghi. L’ex presidente della Bce tiene duro. Per fronteggiare la pandemia, sono stati già approvati sei scostamenti di bilancio. Ma intervenire immediatamente resta comunque imperativo. Il governo invece porterà in Consiglio dei ministri l’attesissimo decreto contro i salassi causati dal prezzo del gas solo la prossima settimana. «Un ampio piano» per sostenere le imprese e abbassare il costo dell’energia promette il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.
Rimane un dirimente tema: con quali risorse? La politica si accapiglia. Anche nel centrodestra, mentre la Lega non pone limiti alla provvidenza statale, Fratelli d’Italia sembra inflessibile. O quasi. «Un ulteriore debito per questa nazione è l’extrema ratio» dice Meloni. «Siamo quelli nel mondo occidentale che si sono già indebitati di più con i soldi del Pnrr». Visto che però le priorità sono cambiate, aggiunge, «quei miliardi dovrebbero essere concentrati sulla priorità delle bollette». Giorgia contro Matteo, dunque. E il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, nel mezzo: «Il governo in carica può e deve intervenire subito con un decreto. Se ci sono i margini per farlo senza ricorrere a un nuovo scostamento di bilancio, ovviamente questo è preferibile per tutti. Ma, in ogni caso, non possiamo assolutamente stare fermi».
L’unico a pensarla come Salvini è il presidente dei 5 stelle: Giuseppe Conte, il Mélenchon foggiano, l’italico emulo del leader dell’estrema sinistra francese. Giuseppón, già due mesi fa, in tempi meno sospetti, scriveva a Draghi: «Signor presidente, la crisi in atto richiede un intervento straordinario, ampio e organico, a favore di famiglie e imprese». Conte, indispettito, aggiungeva: «Le abbiamo chiesto più volte uno scostamento di bilancio». Una richiesta che adesso, in pienissima campagna elettorale, diventa l’ennesima arma propagandistica: «Il caro energia e il caro bollette ci stanno strangolando e stanno strangolando le imprese e le famiglie. Quello che ci fa rabbia è che siamo stati inascoltati».
Terzista, ovviamente, la posizione dei terzisti. In un’intervista al Corriere della Sera, Carlo Calenda, alla guida dell’egotico centrino, premette: sarebbe meglio evitare lo scostamento di bilancio. Eppure, gli tocca ammettere: «I margini di manovra sono limitatissimi». Dunque? «L’impatto sui conti possiamo gestirlo solo se i partiti si impegneranno a rispettare, una volta al governo, la disciplina di bilancio». Al fu breve alleato, Enrico Letta, segretario del Pd, tocca invece prendere a prestito le parole della stigmatizzata Meloni: anche per lui, lo scostamento è «l’extrema ratio». Da discutere con gli altri Paesi europei, chiarisce: «Le nostre scelte devono essere per una conclamata emergenza. Se le facciamo per campagna elettorale, lo paghiamo in tassi interesse che salgono».
La sofisticata posizione lettiana sembra però isolata nel centrosinistra, o quel che ne resta. La fondatrice di +Europa, Emma Bonino, scrive su Twitter che non riesce «a capire la disinvoltura con cui le altre forze politiche continuano a parlare dello scostamento di bilancio». I partiti, annota, «dovrebbero dire la verità ai giovani: il debito pubblico, che già ora si attesta a 2.700 miliardi, “lo pagherete voi”». Anche la premiata coppia Europa verde&Sinistra italiana è contrarissima. L’ecologista fondamentalista Angelo Bonelli spiega che Draghi «ha ragione nel dire no»: le risorse per tagliare le bollette andrebbero reperite dagli extraprofitti. Concorda, da sinistrissima, Nicola Fratoianni: piuttosto che togliere altri soldi ai cittadini, ragiona, bisogna disintegrare i «fenomeni speculativi». Le aziende energetiche italiane, intima, restituiscano il maltolto: nientemeno che 50 miliardi, calcola.
A dispetto delle magre percentuali accreditate a Impegno civico, interviene pure Luigi Di Maio. Il titolare degli Esteri conferma che la prossima settimana il decreto arriverà finalmente in Consiglio dei ministri: «Un intervento necessario per supportare nell’immediato le nostre famiglie». Quindi, propone: lo Stato paghi l’80% delle bollette a tutte le imprese. Già, ma con quali danari? «Il tema non è lo scostamento di bilancio» spiega stentoreo Di Maio. «Quello è diventato solo un modo per fare notizia». Ah, sì? «Non abbiamo la preoccupazione di dove reperire i soldi» assicura Giggino. Ha le idee chiare, beato lui. Peccato per lo 0,7% dei sondaggi.
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In cdm il ministro Roberto Cingolani annuncia i piani di razionamento per case e uffici pubblici: ancora niente sul vero nodo, cioè le aziende. Rinviato invece a settimana prossima il decreto per sterilizzare i costi.Lo speciale comprende due articoli.L’Italia si prepara alla tempesta perfetta, quella della crisi energetica, con misure che almeno per il momento appaiono più che altro un pannicello caldo. Caldo ma non troppo: ieri in cdm il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha illustrato al premier, Mario Draghi, e ai colleghi il piano di risparmio sul gas. L’unica misura praticamente certa, che verrà messa nero su bianco nei prossimi giorni, è la riduzione di un grado (da 20 a 19) e lo spegnimento degli impianti di riscaldamento un’ora prima del solito a partire dal mese di ottobre nelle abitazioni private e negli uffici pubblici, mentre è esclusa la dad per gli studenti. Singolare, per non dire tragicomica, l’ipotesi che invece vedrebbe la riduzione di due gradi di temperatura e di due ore al giorno dei riscaldamenti nelle aree del Paese dove il clima è meno rigido: praticamente al Sud e nelle isole gli italiani dovrebbero affrontare un inverno più gelido rispetto ai compatrioti del Centro e del Nord, anche se il Meridione d’Italia, ma forse questo Cingolani non lo sa, è pieno di centri abitati situati in montagna o in collina, dove il freddo punge eccome.Per le imprese, a quanto apprende La Verità da fonti di governo, si prevede di vendere pacchetti di energia a prezzi calmierati a quelle più esposte, le cosiddette energivore e gasivore, a forte consumo di energia elettrica e gas. Questi pacchetti consisterebbero in energia prodotta in Italia e rinnovabili. Niente smart working per le aziende, niente spegnimenti delle vetrine, niente razionamenti: l’Italia, che secondo Cingolani ha un ottimo livello di stoccaggio di gas, all’81%, e che ha ridotto la sua dipendenza dal gas russo dal 40% al 18%, sceglie una linea molto soft, basata più che altro su una campagna di comunicazione che verrà realizzata attraverso degli spot. Prepariamoci quindi a vedere in tv e ascoltare in radio qualche Vip che ci invita a fare meno docce, a spegnere le lampadine o a utilizzare quelle a basso consumo, a non lasciare la tv accesa e altri suggerimenti di questo genere, suggerimenti che le nostre nonne ci hanno abituati ad ascoltare fin da bambini, ma che sono sostanzialmente il nulla rispetto alla gigantesca crisi che incombe. Il piano verrà inviato a Bruxelles per essere vagliato dalla Commissione europea, entro la scadenza del 15 ottobre, e contiene anche le previsioni nel caso in cui la situazione dovesse precipitare: ad esempio, se la Russia dovesse ridurre ulteriormente o addirittura interrompere le forniture di gas ai Paesi europei. A mettere a rischio il piano di Cingolani, anche l’eventuale ritardo nella realizzazione del rigassificatore di Piombino: se non si procederà in maniera spedita, in primavera la situazione potrebbe precipitare. «Il piano», aggiunge alla Verità un’altra fonte di governo, «è basato su due gambe. La prima: la prossima settimana interverremo con un provvedimento molto importante per il sostegno all’economia, il ministro Daniele Franco sta lavorando per reperire le risorse. La cifra non è ancora stata stabilita ma una cosa si può dire: non ci sarà alcuno scostamento di bilancio. Lo stesso Giulio Tremonti», argomenta la nostra fonte, «ha dichiarato di essere contrario. La seconda gamba è il piano di risparmio energetico, che Cingolani ha illustrato in Consiglio dei ministri in maniera sintetica, e che verrà messo a punto nei prossimi giorni. Un piano basato sulle buone pratiche: basta veramente un piccolo sacrificio, come usare lampadine a basso consumo, stare attenti a non sprecare ettolitri di acqua calda, abbassare di un minimo il riscaldamento, per risparmiare una enorme quantità di energia».Siamo, come appare evidente, di fronte a una non scelta, probabilmente dettata da una precisa strategia politica, quella di lasciare al probabile futuro governo di centrodestra il peso di decisioni più drastiche e impopolari. Il piano di Cingolani è infatti costellato di contraddizioni, paradossi, lacune. Iniziamo dalla riduzione della temperatura dei riscaldamenti e dello spegnimento anticipato degli stessi: chi controllerà che le misure vengano rispettate? Nel caso dei condomini a impianto centralizzato verrà responsabilizzato l’amministratore, ma chi ha un riscaldamento autonomo dovrà essere convinto dalla campagna di comunicazione, poiché controllare sarà impossibile. Per quel che riguarda poi i fantomatici pacchetti di energia a prezzi calmierati per le imprese, siamo di fronte a una mera dichiarazione di intenti: dove verrà reperito il gas da vendere sottocosto? Di quanto sarà ridotto il prezzo dell’energia? Chi deciderà quali imprese avranno diritto a questa agevolazione e quali no? Tutte domande senza risposta. Anche se il Mite pensa positivo e arriva a prevedere «risparmi variabili tra 3 e 6 miliardi di metri cubi di gas in un anno» grazie al razionamento dei riscaldamenti, l’uso di combustibili alternativi e l’ottimizzazione dell’utilizzo dell’energia.Come se non bastasse, ieri è arrivato uno stop al rigassificatore di Piombino, pilastro del piano: l’amministrazione comunale ha inviato alla Regione Toscana il primo parere sulla collocazione del rigassificatore nel porto piombinese. «È un parere negativo», spiega il sindaco Francesco Ferrari in una nota, «che, per la parte tecnica redatta dalla task force del Comune, si basa sull’aspetto urbanistico della vicenda, riservandoci di sollevare successivamente le tante questioni in merito alla sicurezza e all’ambiente. Le criticità legate a quel progetto sono innumerevoli e variegate e faremo tutto quanto in nostro potere per farle emergere all’interno dei procedimenti autorizzativi».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-piano-gas-di-cingolani-nasce-monco-case-al-freddo-sulle-imprese-si-vedra-2658004118.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="settimana-prossima-il-dl-anti-rincari-lega-e-m5s-spingono-lo-scostamento" data-post-id="2658004118" data-published-at="1662059563" data-use-pagination="False"> Settimana prossima il dl anti rincari. Lega e M5s spingono lo scostamento La borsa o la vita. L’ennesimo scostamento di bilancio o il precipizio. Oppure, chissà. C’è poco da giraci attorno. Per mitigare il caro bollette serve un’altra vagonata di miliardi. «Trenta» quantifica il leader della Lega, Matteo Salvini, che evoca unità nazionale: «Questi soldi servono adesso, mettiamoci d’accordo». E poco importa se, come ricorda Giorgia Meloni, da premier in pectore, «negli ultimi 15 mesi il debito pubblico italiano è cresciuto di 116 miliardi». Un puntiglio che condivide con il primo ministro ancora in carica: Mario Draghi. L’ex presidente della Bce tiene duro. Per fronteggiare la pandemia, sono stati già approvati sei scostamenti di bilancio. Ma intervenire immediatamente resta comunque imperativo. Il governo invece porterà in Consiglio dei ministri l’attesissimo decreto contro i salassi causati dal prezzo del gas solo la prossima settimana. «Un ampio piano» per sostenere le imprese e abbassare il costo dell’energia promette il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Rimane un dirimente tema: con quali risorse? La politica si accapiglia. Anche nel centrodestra, mentre la Lega non pone limiti alla provvidenza statale, Fratelli d’Italia sembra inflessibile. O quasi. «Un ulteriore debito per questa nazione è l’extrema ratio» dice Meloni. «Siamo quelli nel mondo occidentale che si sono già indebitati di più con i soldi del Pnrr». Visto che però le priorità sono cambiate, aggiunge, «quei miliardi dovrebbero essere concentrati sulla priorità delle bollette». Giorgia contro Matteo, dunque. E il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, nel mezzo: «Il governo in carica può e deve intervenire subito con un decreto. Se ci sono i margini per farlo senza ricorrere a un nuovo scostamento di bilancio, ovviamente questo è preferibile per tutti. Ma, in ogni caso, non possiamo assolutamente stare fermi». L’unico a pensarla come Salvini è il presidente dei 5 stelle: Giuseppe Conte, il Mélenchon foggiano, l’italico emulo del leader dell’estrema sinistra francese. Giuseppón, già due mesi fa, in tempi meno sospetti, scriveva a Draghi: «Signor presidente, la crisi in atto richiede un intervento straordinario, ampio e organico, a favore di famiglie e imprese». Conte, indispettito, aggiungeva: «Le abbiamo chiesto più volte uno scostamento di bilancio». Una richiesta che adesso, in pienissima campagna elettorale, diventa l’ennesima arma propagandistica: «Il caro energia e il caro bollette ci stanno strangolando e stanno strangolando le imprese e le famiglie. Quello che ci fa rabbia è che siamo stati inascoltati». Terzista, ovviamente, la posizione dei terzisti. In un’intervista al Corriere della Sera, Carlo Calenda, alla guida dell’egotico centrino, premette: sarebbe meglio evitare lo scostamento di bilancio. Eppure, gli tocca ammettere: «I margini di manovra sono limitatissimi». Dunque? «L’impatto sui conti possiamo gestirlo solo se i partiti si impegneranno a rispettare, una volta al governo, la disciplina di bilancio». Al fu breve alleato, Enrico Letta, segretario del Pd, tocca invece prendere a prestito le parole della stigmatizzata Meloni: anche per lui, lo scostamento è «l’extrema ratio». Da discutere con gli altri Paesi europei, chiarisce: «Le nostre scelte devono essere per una conclamata emergenza. Se le facciamo per campagna elettorale, lo paghiamo in tassi interesse che salgono». La sofisticata posizione lettiana sembra però isolata nel centrosinistra, o quel che ne resta. La fondatrice di +Europa, Emma Bonino, scrive su Twitter che non riesce «a capire la disinvoltura con cui le altre forze politiche continuano a parlare dello scostamento di bilancio». I partiti, annota, «dovrebbero dire la verità ai giovani: il debito pubblico, che già ora si attesta a 2.700 miliardi, “lo pagherete voi”». Anche la premiata coppia Europa verde&Sinistra italiana è contrarissima. L’ecologista fondamentalista Angelo Bonelli spiega che Draghi «ha ragione nel dire no»: le risorse per tagliare le bollette andrebbero reperite dagli extraprofitti. Concorda, da sinistrissima, Nicola Fratoianni: piuttosto che togliere altri soldi ai cittadini, ragiona, bisogna disintegrare i «fenomeni speculativi». Le aziende energetiche italiane, intima, restituiscano il maltolto: nientemeno che 50 miliardi, calcola. A dispetto delle magre percentuali accreditate a Impegno civico, interviene pure Luigi Di Maio. Il titolare degli Esteri conferma che la prossima settimana il decreto arriverà finalmente in Consiglio dei ministri: «Un intervento necessario per supportare nell’immediato le nostre famiglie». Quindi, propone: lo Stato paghi l’80% delle bollette a tutte le imprese. Già, ma con quali danari? «Il tema non è lo scostamento di bilancio» spiega stentoreo Di Maio. «Quello è diventato solo un modo per fare notizia». Ah, sì? «Non abbiamo la preoccupazione di dove reperire i soldi» assicura Giggino. Ha le idee chiare, beato lui. Peccato per lo 0,7% dei sondaggi.
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Veniamo al profeta, Pellegrino Artusi, il Garibaldi della cucina tricolore. Scrivendo il libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891), l’uomo di Forlimpopoli trapiantato a Firenze creò un’identità gastronomica comune nel Paese da poco unificato, raccogliendo le ricette tradizionali delle varie Regioni - e subregioni - italiane valorizzando le tipicità e diffondendone la conoscenza. È così che suscitò uno slancio di orgoglio nazionale per le diverse cucine italiane che, nei secoli, si sono caratterizzate ognuna in maniera diversa, attraverso i vari coinvolgimenti storici, la civiltà contadina, la cucina di corte (anche papale), quella borghese, le benefiche infiltrazioni e contaminazioni di popoli e cucine d’oltralpe e d’oltremare, e, perché no, anche attraverso la fame e la povertà.
Orio Vergani, il custode, giornalista e scrittore milanese (1898-1960), è una figura di grande rilievo nella storia della cucina patria. Fu lui insieme ad altri innamorati a intuire negli anni Cinquanta del secolo scorso il rischio che correvano le buone tavole del Bel Paese minacciate dalla omologazione e dall’appiattimento dei gusti, insidiate da una cucina industriale e standardizzata. Fu lui a distinguere i pericoli nel turismo di massa e nell’alta marea della modernizzazione. Il timore e l’allarme sacrosanto di Vergani erano dettati dalla paura di perdere a tavola l’autenticità, la qualità e il legame col territorio della nostra tradizione gastronomica. Per combattere la minaccia, l’invitato speciale fondò nel 1953 l’Accademia italiana della cucina sottolineando già nel nome la diversità dell’arte culinaria nelle varie parti d’Italia.
L’Accademia, istituzione culturale della Repubblica italiana, continua al giorno d’oggi, con le sue delegazioni in sessanta Paesi del mondo e gli 8.000 soci, a portare avanti il buon nome della cucina italiana. Non è un caso se a sostenere il progetto all’Unesco siano stati tre attori, due dei quali legati al «profeta» romagnolo e al «custode» milanese: la Fondazione Casa Artusi di Forlimpopoli e l’Accademia italiana della cucina nata, appunto, dall’intuizione di Orio Vergani. Terzo attore è la rivista La cucina Italiana, fondata nel 1929. Paolo Petroni, presidente dell’Accademia, commenta: «Il riconoscimento dell’Unesco rappresenta una grandissima medaglia al valore, per noi. La festeggeremo il terzo giovedì di marzo in tutte le delegazioni del mondo e nelle sedi diplomatiche con una cena basata sulla convivialità e sulla socialità. Il menu? Libero. Ogni delegazione lo rapporterà al territorio e alla tradizione.
L’Unesco ha riconosciuto la cucina italiana patrimonio immateriale andando oltre alle ricette e al semplice nutrimento, considerandola un sistema culturale, rafforzando il ruolo dell’Italia come ambasciatrice di un modello culturale nel mondo in quanto la nostra cucina è una pratica sociale viva, che trasmette memoria, identità e legame con il territorio, valorizzando la convivialità, i rituali, la condivisione famigliare, come il pranzo della domenica, la stagionalità e i gesti quotidiani, oltre a promuovere inclusione e sostenibilità attraverso ricette antispreco tramandate da generazione in generazione. Il riconoscimento non celebra piatti specifici come è stato fatto con altri Paesi, ma l’intera arte culinaria e culturale che lega comunità, famiglie e territori attraverso il cibo. Riconosce l’intelligenza delle ricette tradizionali nate dalla povertà contadina, che insegnano a non sprecare nulla, un concetto di sostenibilità ancestrale. Incarna il legame tra la natura, le risorse locali e le tradizioni culturali, riflettendo la diversità dei paesaggi italiani».
Peccato che non tutti la pensino così, vedi l’attacco del critico e scrittore britannico di gastronomia Giles Coren sul Times. Dopo aver bene intinto la penna nell’iperbole, nella satira e nell’insulto, Coren è partito all’attacco alla baionetta contro, parole sue, il riconoscimento assegnato dall’Unesco, riconoscimento prevedibile, servile, ottuso e irritante. Dice l’opinionista prendendosela anche con i suoi connazionali snob: «Da quando scrivo di ristoranti, combatto contro la presunta supremazia del cibo italiano. Perché è un mito, un miraggio, una bugia alimentata da inglesi dell’alta borghesia che, all’inizio degli anni Novanta, trasferirono le loro residenze estive in Toscana».
Risponde Petroni: «Credo che l’articolo di Coren sia una burla, lo scherzo di uno che in fondo, e lo ha dimostrato in altri articoli, apprezza la cucina italiana. Per etichettare il tutto come burla, basta leggere la parte in cui elogia la cucina inglese candidandola al riconoscimento Unesco per il valore culturale del “toast bruciato appena prima che scatti l’allarme antincendio”, gli “spaghetti con il ketchup”, il “Barolo britannico”, i “noodles cinesi incollati alla tovaglia” e altre perle di questo genere. C’è da sottolineare, invece, che la risposta dell’Unesco è stata unanime: i 24 membri del comitato intergovernativo per la salvaguardia del Patrimonio culturale immateriale hanno votato all’unanimità in favore della cucina italiana. Non c’è stato nemmeno un astenuto. La prima richiesta fu bocciata. Nel 2023 l’abbiamo ripresentata. È la parola “immateriale” che ci bloccò. È difficile definire una cucina immateriale senza cadere nel materiale. Per esempio l’Unesco non ha dato il riconoscimento alla pizza in quanto pizza, ma all’arte napoletana della pizza. Il cammino è stato molto difficile ma, alla fine, siamo riusciti a unificare la pratica quotidiana, i gesti, le parole, i rituali di una cucina variegata e il risultato c’è stato. La cucina italiana è la prima premiata dall’Unesco in tutta la sua interezza».
Se Coren ha scherzato, Alberto Grandi, docente all’Università di Parma, autore del libro La cucina italiana non esiste, è andato giù pesante nell’articolo su The Guardian. Basta il titolo per capire quanto: «Il mito della cucina tradizionale italiana ha sedotto il mondo. La verità è ben diversa». «Grandi è arrivato a dire che la pizza l’hanno inventata gli americani e che il vero grana si trova nel Wisconsin. Che la cucina italiana non risalga al tempo dei Romani lo sanno tutti. Prima della scoperta dell’America, la cucina era un’altra cosa. Quella odierna nasce nell’Ottocento da forni e fornelli borghesi. Se si rimane alla civiltà contadina, si rimane alle zuppe o poco più. Le classi povere non avevano carne da mangiare». Petroni conclude levandosi un sassolino dalla scarpa: l’esultanza dei cuochi stellati, i «cappelloni», come li chiama, è comprensibile ma loro non c’entrano: «Sono contento che approvino il riconoscimento, ma sia chiaro che questo va alla cucina italiana famigliare, domestica».
A chi si deve il maggior merito del riconoscimento Unesco? «A Maddalena Fossati, la direttrice de La cucina italiana. È stata lei a rivolgersi all’Accademia e alla Fondazione Casa Artusi. Il documento l’abbiamo preparato con il prezioso aiuto di Massimo Montanari, accademico onorario, docente all’Università di Bologna, e presentato con il sostegno del sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi».
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Gianluigi Cimmino (Imagoeconomica)
Yamamay ha sempre scelto testimonial molto riconoscibili. Oggi il volto del brand è Rose Villain. Perché questa scelta?
«Negli ultimi tre anni ci siamo avvicinati a due canali di comunicazione molto forti e credibili per i giovani: la musica e lo sport. Oggi, dopo il crollo del mondo degli influencer tradizionali, è fondamentale scegliere un volto autentico, coerente e riconoscibile. Gran parte dei nostri investimenti recenti è andata proprio in questa direzione. Rose Villain rappresenta la musica, ma anche una bellezza femminile non scontata: ha un sorriso meraviglioso, un fisico prorompente che rispecchia le nostre consumatrici, donne che si riconoscono nel brand anche per la vestibilità, che riteniamo tra le migliori sul mercato. È una voce importante, un personaggio completo. Inoltre, il mondo musicale oggi vive molto di collaborazioni: lo stesso concetto che abbiamo voluto trasmettere nella campagna, usando il termine «featuring», tipico delle collaborazioni tra artisti. Non a caso, Rose Villain aveva già collaborato con artisti come Geolier, che è stato nostro testimonial l’anno scorso».
I volti famosi fanno vendere di più o il loro valore è soprattutto simbolico e di posizionamento del brand?
«Oggi direi soprattutto posizionamento e coerenza del messaggio. La vendita non dipende più solo dalla pubblicità: per vendere bisogna essere impeccabili sul prodotto, sul prezzo, sull’assortimento. Viviamo un momento di consumi non esaltanti, quindi è necessario lavorare su tutte le leve. Non è che una persona vede lo spot e corre subito in negozio. È un periodo “da elmetto” per il settore retail».
È una situazione comune a molti brand, in questo momento.
«Assolutamente sì. Noi non possiamo lamentarci: anche questo Natale è stato positivo. Però per portare le persone in negozio bisogna investire sempre di più. Il traffico non è più una costante: meno persone nei centri commerciali, meno in strada, meno negli outlet. Per intercettare quel traffico serve investire in offerte, comunicazione, social, utilizzando tutti gli strumenti che permettono soprattutto ai giovani di arrivare in negozio, magari grazie a una promozione mirata».
Guardando al passato, c’è stato un testimonial che ha segnato una svolta per Yamamay?
«Sicuramente Jennifer Lopez: è stato uno dei primi casi in cui una celebrità ha firmato una capsule collection. All’epoca era qualcosa di totalmente nuovo e ci ha dato una visibilità internazionale enorme. Per il mondo maschile, Cristiano Ronaldo ha rappresentato un altro grande salto di qualità. Detto questo, Yamamay è nata fin dall’inizio con una visione molto chiara».
Come è iniziata questa avventura imprenditoriale?
«Con l’incoscienza di un ragazzo di 28 anni che rescinde un importante contratto da manager perché vuole fare l’imprenditore. Ho coinvolto tutta la famiglia in questo sogno: creare un’azienda di intimo, un settore che ho sempre amato. Dico spesso che ero già un grande consumatore, soprattutto perché l’intimo è uno dei regali più fatti. Oggi posso dire di aver realizzato un sogno».
Oggi Yamamay è un marchio internazionale. Quanti negozi avete nel mondo?
«Circa 600 negozi in totale. Di questi, 430 sono in Italia e circa 170 all’estero».
Il vostro è un settore molto competitivo. Qual è oggi il vostro principale elemento di differenziazione?
«Il rapporto qualità-prezzo. Abbiamo scelto di non seguire la strada degli aumenti facili nel post Covid, quando il mercato lo permetteva. Abbiamo continuato invece a investire su prodotto, innovazione, collaborazioni e sostenibilità. Posso dire con orgoglio che Yamamay è uno dei marchi di intimo più sostenibili sul mercato. La sostenibilità per noi non è una moda né uno strumento di marketing: è un valore intrinseco. Anche perché abbiamo in casa una delle massime esperte del settore, mia sorella Barbara, e siamo molto attenti a non fare greenwashing».
Quali sono le direttrici di crescita future?
«Sicuramente l’internazionale, più come presenza reale che come notorietà, e il digitale: l’e-commerce è un canale dove possiamo crescere ancora molto. Inoltre stiamo investendo tantissimo nel menswear. È un mercato in forte evoluzione: l’uomo oggi compra da solo, non delega più alla compagna o alla mamma. È un cambiamento culturale profondo e la crescita sarà a doppia cifra nei prossimi anni. La società è cambiata, è più eterogenea, e noi dobbiamo seguirne le evoluzioni. Penso anche al mondo Lgbtq+, che è storicamente un grande consumatore di intimo e a cui guardiamo con grande attenzione».
Capodanno è un momento simbolico anche per l’intimo. Che consiglio d’acquisto dai ai vostri clienti per iniziare bene l’anno?
«Un consiglio semplicissimo: indossate intimo rosso a Capodanno. Mutande, boxer, slip… non importa. È una tradizione che non va persa, anzi va rafforzata. Il rosso porta amore, ricchezza e salute. E le tradizioni belle vanno rispettate».
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