2018-08-30
Il piano del jihadista, niente espulsione grazie al figlio avuto dalla moglie italiana
Era arrivato a Ravenna e voleva far partorire qui la donna. Così, grazie a una legge assurda, avrebbe evitato la cacciata.Ravenna si conferma la capitale dei Foreing fighters. Peccato che ora non si tratti più di aspiranti jihadisti radicalizzati in Italia e in partenza per i teatri di guerra dell'Isis, ma di fedeli di Allah che, dopo aver combattuto nelle truppe del Califfo, sono intenzionati a rientrare. L'ultimo, in ordine di tempo, è stato rintracciato nei giorni scorsi, in provincia di Ravenna. Albanese, 28 anni, era da poco arrivato in Italia insieme alla compagna in avanzato stato di gravidanza.Il piano era semplice: la donna di origine albanese, ma già cittadina italiana, avrebbe dato alla luce qui il bambino. E, appena nato, il pargolo, sarebbe immediatamente diventato, come noto, la migliore garanzia anti espulsione per il padre jihadista.Ma qualcosa nei piani della famigliola è andato storto. La lunga esperienza ha fatto suonare subito un campanello di allarme nella testa degli agenti della questura di Ravenna, da tempo avvezzi a trattare con i radicalizzati. L'uomo è finito immediatamente sotto osservazione anche se inquadrare la sua personalità e l'effettivo rischio che si trattasse di un potenziale estremista, non è stato semplice.Nessun profilo Facebook, poche attività social, modi chiusi e riservati. Dal giorno del suo arrivo, lo scorso giugno, aveva cercato di passare inosservato. Un paio di lavoretti in nero e la sua vita era tutta casa e lavoro. Non frequentava amici né la moschea della città, non dava segni palesi delle proprie convinzioni. Proprio questo atteggiamento austero e quasi isolato dal mondo esterno, unito a qualche rimprovero di troppo ai colleghi di lavoro sorpresi ogni tanto a bere birra, hanno insospettito gli agenti, che anno avviato serrate indagini sul passato del ventottenne.Per approfondire, la sezione investigativa della Digos si è avvalsa della collaborazione di un team di ricercatori universitari, esperti in estremismo religioso oltre che del servizio di contrasto al terrorismo di Roma e, in poche settimane, intorno al presunto jiadista è scatta una rete di intelligence che non gli ha lasciato scampo. Appostamenti, pedinamenti e soprattutto la raccolta di tante testimonianze, come raccontano i giornali locali, che hanno portato in breve gli inquirenti a tracciare un profilo preciso.L'albanese è risultato essere stato già operativo, armi in mano, nei teatri della jihad tra la Siria e l'Iraq, prima nelle fila delle organizzazioni terroristiche di Al Nusra e, poi, direttamente in quella dell'Isis. Il suo nome era tra quelli segnalati a livello internazionale dalla rete di cooperazione per la lotta al terrorismo islamico, mentre lo zio e il cognato, fratello della moglie, erano stati arrestati a Brescia nel 2015 sempre dalla Digos.L'operazione risalente alla primavera di quell'anno aveva portato all'arresto di tre persone, tra cui i due parenti dell'albanese e un ventenne italiano di origine marocchina, residente in provincia di Torino, indagato per apologia di delitti di terrorismo, aggravata dall'uso di internet.La cellula di estremisti islamici, secondo le indagini, era dedita al reclutamento di aspiranti combattenti e si rivolgeva soprattutto a giovanissimi utenti della rete.A quanto pare i tre, con una intensa attività, diffondevano materiale di propaganda jihadista e in particolare video con uomini che stracciano passaporti, bambini preparati con dure tecniche di combattimento, addestrati a suon di botte e istruiti con la violenza all'uso delle armi, oltre ai classici adulti in tenuta militare nera intenti a sparare qua e là, sventolando la bandiera dell'Isis.Ma non era tutto qui: la rete sarebbe stata in contatto con le alte sfere della jihad pronte a motivare direttamente, con viaggi in Italia appositamente organizzati, gli aspiranti combattenti e tra il 2013 e il 2015 avrebbe messo a segno colpi importanti, stabilendo un contatto diretto con un giovanissimo italo marocchino partito per le terre del califfato (dalle indagini è risultato che i tre erano in contatto con lui su Facebook e via telefono nel periodo in cui si stava radicalizzando) e convincendo un altro giovane ad avvicinarsi pericolosamente alla sfera del Califfo. Quali intenzioni avesse, questa volta, il ventottenne arrivato a giugno non è chiaro. Certo è che, dopo la nascita del bambino, i due genitori avrebbero avviato la procedura di regolarizzazione dello status dell'uomo in Italia, che in quanto padre avrebbe a breve ottenuto il permesso di soggiorno. Diventando, sostanzialmente, un intoccabile.Come noto, infatti, l'espulsione di un irregolare non è possibile qualora questo sia genitore di minori residenti in Italia, nemmeno se accusato di aver commesso un reato. Vero è che se si tratta di soggetti vicini al terrorismo la procedura supera anche l'ostacolo della famiglia (come è successo all'imam predicatore di Lecco rimandato in Kosovo lo scorso novembre nonostante la presenza in Italia della moglie e di cinque figlie), ma certamente le cose si complicano all'inverosimile.Senza troppo tergiversare, invece, a due mesi dal suo arrivo l'albanese, padre mancato, è stato rispedito al mittente.Ritenendo che ci fossero i presupposti di pericolosità per l'ordine a la sicurezza pubblica, è stata avviata la procedura e all'alba del 23 agosto il soggetto è stato prelevato nella sua abitazione di Castelbolognese e imbarcato, con biglietto di sola andata, su un volo Bologna-Tirana.
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