2020-09-09
Il piano anti Covid negato e oscurato è un boomerang contro Speranza
Altro che «studio in itinere» e «valutazioni ipotetiche». Il dossier di 40 pagine del governo definiva tre scenari e imponeva alle Regioni di obbedire a Roma. Allarme dei medici: «Senza protezioni è impossibile vaccinare».No, decisamente non ha rimediato un figurone il ministro Roberto Speranza. Descritto da più parti come il volto dialogante e rassicurante del governo, anzi addirittura come uno dei pochi professionisti della buona politica in mezzo ai dilettanti, il ministro della Salute si ritrova invece protagonista del secondo clamoroso autogol in pochissimo tempo, di un ulteriore pesante infortunio in un fazzoletto di giorni. Roba - in tempi normali e in Paesi più rigorosi - da dimissioni, senza stare troppo a discutere. Il primo episodio è stato svelato poco tempo fa da uno scoop della Verità, confermato (fonte insospettabile e non certo ostile a Speranza) proprio dal ministero della Salute dopo l'accurata inchiesta di Antonio Grizzuti: diversamente dai roboanti annunci, il ministero non ha sottoscritto alcun contratto con la società farmaceutica Astrazeneca per una megafornitura di vaccini. La trattativa è stata devoluta a Bruxelles, con il piccolo «dettaglio» che però la Commissione Ue sta negoziando con i giganti farmaceutici una sorta di più estesa immunità legale. Come spiegare dunque il passo indietro italiano? Se tutto fosse stato nel miglior interesse del paziente, il ministro della Salute avrebbe fatto bene a spiegarlo. Se invece - come c'è da temere - la retromarcia italiana e il passo avanti Ue sono funzionali al fatto che Bruxelles si prepara a offrire un superscudo legale ai giganti farmaceutici, il governo di Roma si è già assunto una grave responsabilità.Mentre questa ferita non era stata ancora chiusa, è arrivato il secondo sbrego, quello di questi ultimi giorni. A proposito del piano di emergenza anti Covid, il ministro ha di fatto tentato di depotenziare e derubricare la questione, dapprima provando ad accreditare la tesi che si trattasse solo di studi ipotetici, poi polemizzando con Matteo Salvini, e infine cercando di fare scaricabarile sul Comitato tecnico scientifico e addirittura sul rappresentante della Lombardia in quel consesso. Mosse tutte infelici: una specie di maldestra arrampicata sugli specchi. Intanto, perché non si trattava di studi ipotetici, ma di elementi essenziali per capire l'approccio di Cts e governo nella gestione della pandemia e dei suoi eventuali sviluppi. In secondo luogo, perché era abbastanza surreale pretendere che l'opposizione non facesse domande su temi così rilevanti. E infine perché appare patetico che il decisore politico (Speranza) dia anche solo la sensazione di attribuire a un organo meramente consultivo (il Comitato) la scelta ultima sulla riservatezza di alcune carte, laddove il Cts poteva solo suggerire, non certo disporre. Né è in alcun modo significativo, come Speranza ha impapocchiato alla festa del Fatto, che lui stesso sia stato informato da un delegato lombardo: la questione non è chi e quando abbia informato Speranza, ma chi e quando non abbia informato gli italiani, e soprattutto perché ciò sia accaduto. In più, ieri, è stato un articolo del Corriere della Sera a far crollare il castello di carte della ricostruzione di Speranza, dando conto delle reali caratteristiche di questo piano. Altro che «studio in itinere», altro che valutazioni «ipotetiche e aleatorie». Al contrario, si trattava di un documento articolato. Ben 40 pagine, con tre scenari differenziati (e crescenti per gravità) di rischio: un documento che - a questo punto - si può ritenere che il governo abbia consapevolmente deciso di secretare e celare ai media e all'opinione pubblica. Tra l'altro, in quel documento, colpisce l'approccio centralizzatore e antiautonomia regionale. Nel testo si parla esplicitamente dell'attivazione di un «coordinamento nazionale che opera secondo un modello decisionale centrale ben definito». Di più: c'è un espresso richiamo alle Regioni a uniformarsi alle direttive di Roma, nella parte in cui si legge che «le regioni e le province autonome devono superare le regole, i principi e le attuali differenze programmatiche che derivano dall'adozione di modelli organizzativi fortemente differenti». Insomma, una chiara centralizzazione su Roma e sul governo, a detrimento del margine di scelta delle Regioni: su queste basi, ad esempio, sarebbe stato pressoché impossibile per il Veneto realizzare l'efficace politica di tamponi a tappeto (e anche agli asintomatici) decisa a inizio pandemia in controtendenza rispetto alle indicazioni romane. E attenzione: siccome non c'è due senza tre, all'orizzonte si profila già un terzo scoglio per il titolare della Salute. L'allarme, in un colloquio con l'Adnkronos, l'ha lanciato Silvestro Scotti, segretario generale della Federazione italiana medici di medicina generale. Il tema è quello della campagna vaccinale contro l'influenza ordinaria, iniziativa che però quest'anno, per evidenti ragioni, assume un'importanza particolare. Secondo Scotti, «i medici di famiglia non hanno ancora avuto di dispositivi di protezione» e a queste condizioni «è impossibile partire con le vaccinazioni». E ancora: «Nell'ultima ordinanza è scritto nero su bianco che ai medici vanno consegnati i dispositivi di protezione “secondo i fabbisogni eccedenti a quelli dell'Asl". Al Nord c'è una distribuzione standardizzata mentre al Sud se ne fregano. Così non può andare». Stavolta il governo a chi cercherà di dare la colpa?