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2019-01-12
Il Pd ha aperto la strada alla cyber insicurezza
Ansa
Aver adottato la direttiva europea Nis (Network and information security) per migliorare le capacità di cyber security dei singoli Stati, aumentando il livello di cooperazione e di comunicazione all'interno dell'Ue, potrebbe aver minato la nostra autonomia nazionale. Per di più con il rischio concreto che il controllo governativo serva solo a garantire strumenti sia legislativi sia tecnici per attuare una sorveglianza di massa. Sono pareri che circolano nei settori dell'intelligence italiana. E che dovrebbero essere di dibattito pubblico alla vigilia delle prossime elezioni europee - con il nuovo piano d'azione contro la disinformazione sui social media varato dalla Ue. Se ne dovrebbe parlare soprattutto dopo la notizia data ieri dalla
Verità sui file pubblicati da Anonymous sull'operazione Integrity initiative, un programma di monitoraggio e controinformazione da 2 milioni di dollari realizzato in Gran Bretagna, con sponde in ambienti militari della Nato, avente l'obiettivo di contrastare le fake news russe. Ieri Jacopo Iacoboni della Stampa, uno dei giornalisti che compaiono nei leak pubblicati dagli hacker, ha accusato su Twitter il nostro giornale di averlo diffamato, nonostante avessimo chiesto a lui un commento che abbiamo riportato correttamente nell'articolo. Il file «cluster Italy» è di libero accesso a tutti, basta andare su questo link (https://fdik.org/Integrity_Initiative/). Il fatto che ci possa essere un'influenza esterna sui nostri giornali o sui nostri social media da parte di Stati esteri dovrebbe rappresentare un campanello d'allarme nel nostro Paese. Non solo. L'attenzione maggiore dovrebbe essere anche sui software di controllo aziendale e di infrastrutture critiche, spesso prodotti all'estero e su cui sorvegliano i nostri servizi segreti. L'ultimo attacco hacker ai politici tedeschi ha creato diverse polemiche in Germania, in particolare sul ruolo della Bsi, agenzia indipendente tedesca per la sicurezza informatica, da poco nominata come punto di contatto per la Nis a Berlino.
Secondo alcune fonti diplomatiche il modo in cui l'Italia ha recepito la Nis, invece, potrebbe rappresentare un cavallo di troia dell'Ue, presupposto per consegnare loro informazioni sensibili e per creare una forza di polizia europea in un settore delicato e strategico come quello della sicurezza informatica che getterà le basi per l'economia dei prossimi anni. Il primo atto in questa direzione fu fatto da
Mario Monti nel 2013 e proseguito fino alla scorsa primavera dall'ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Ma sono stati i governi di centrosinistra ad aver istituito il Dis (Dipartimento informativo sicurezza), come punto di contatto per la direttiva Nis. Per quale motivo? Il Bsi tedesco è una agenzia nata negli anni Ottanta che si occupa esclusivamente di aspetti legati alla sicurezza delle comunicazioni. In Francia esiste dal 2002 l'Anssi che ha le stesse competenze, agenzia indipendente dall'intelligence o dalle forze di polizia che si occupa esclusivamente di cyber. In Italia, anziché creare una struttura indipendente si è deciso di dare queste competenze ai servizi segreti. La Ue ci controlla direttamente. Da noi non esistono enti terzi certificatori. In questo modo le pubbliche amministrazioni sono piene di prodotti stranieri che nessuno ha controllato. Se ci sono perplessità su Huawei perché non possono essercene sul software Fireeye americano? Per di più la maggior parte del denaro pubblico investito in cyber sicurezza finisce all'estero, considerato che il nostro Paese non produce materiale dedicato a questo settore: la sicurezza passa anche attraverso la produzione e l'utilizzo di propri apparati. Perché l'ex ministro dell'Interno Marco Minniti, da sempre in ottimi rapporti con gli Stati Uniti, ha deciso di impostare in questo modo la struttura cyber? Da noi nel frattempo sono state tolte competenze alla polizia postale o al Cnaipc (Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche). Senza dimenticare che siamo insieme alla Germania l'unico Paese europeo ad avere due centri di ascolti Nsa (National security agency), uno a Milano e uno a Roma.
Soros ci provò con il vice Juncker per fare arrivare la Troika a Roma
Voleva stringere il cappio al collo dell'Italia, quel gran bell'esemplare di filantropo ottantottenne di George Soros, e per far sì che la Commissione europea bocciasse la manovra finanziaria, aprendo la procedura di infrazione dalle conseguenze catastrofiche per il nostro Paese, arrivò a sollecitare in questo senso il primo vicepresidente della Commissione, l'olandese Frans Timmermans, esponente dei socialdemocratici europei e Spitzenkandidat, ovvero candidato alla presidenza della stessa Commissione in caso di vittoria del gruppo S&D (Socialisti e democratici) alle prossime elezioni europee. Per fortuna Timmermans rispose che non sarebbe stato possibile accontentare le richieste di Soros, e così la trattativa tra Unione europea e governo italiano è andata avanti e si è poi conclusa, come sappiamo, con un accordo.
L'incontro tra Soros e Timmermans avvenne a Bruxelles, alla fine dello scorso novembre. La notizia in Italia fu pubblicata, lo scorso 3 dicembre, solo da Ivo Caizzi, protagonista in questi giorni di un'imbarazzante polemica con i vertici del suo giornale, il Corriere della sera. Uno scoop di primissimo piano, quello di Caizzi, che il Corriere però seminascose nella rubrica che il giornalista cura sul supplemento economico del lunedì, con il titolo «Imbarazzo a Bruxelles per la visita di Soros». La notizia dell'incontro scatenò il M5s: «Abbiamo inoltrato alla Commissione europea», disse il 30 novembre l'europarlamentare pentastellata Isabella Adinolfi, «una interrogazione per rendere pubblici i contenuti dell'incontro tra il primo vicepesidente della Commissione Frans Timmermans e George Soros, che come riportato dalla Commissione stessa, si sarebbe tenuto lo scorso 26 novembre. Per noi la trasparenza è un valore fondamentale. Ecco perché Timmermans, che è anche lo Spitzenkandidat del gruppo dell'Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici, dovrebbe dichiarare se ha ricevuto in passato finanziamenti da parte delle Open society foundations di Soros. Chiediamo che questa trasparenza», concluse Adinolfi, «sia estesa anche ai finanziamenti per la prossima campagna delle elezioni europee». Alcuni giornalisti chiesero alla portavoce della Commissione, Natasha Bertaud, se della manovra italiana si fosse stato discusso nel colloquio tra Soros e lo Spitzenkandidat socialista. «Non posso né confermare, né smentire», fu la evasiva risposta della Bertaud.
Dell'incontro è tornato a occuparsi Italia Oggi, che rivela il contenuto della conversazione «riservata» tra Soros e Timmermans, avvenuta mentre era in pieno svolgimento la trattativa tra il governo italiano e la Commissione sulla manovra finanziaria. Il quotidiano rivela ciò che ha appreso da una fonte confidenziale «vicina a Timmermans»: non solo la manovra italiana fu uno dei principali argomenti del colloquio, ma Soros chiese esplicitamente al vice di Jean Cluade Juncker di «attivarsi perché la Commissione Ue bocciasse la manovra italiana, aprendo la strada alla Troika. Il terreno sui mercati, con il rialzo dello spread, era già stato preparato. Mancava solo il colpo finale». Soros , secondo la ricostruzione del quotidiano, voleva che Timmermans convincesse i commissari e i parlamentari europei socialdemocratici a spingere affinché Bruxelles bocciasse la legge di bilancio italiana, così che sul nostro Paese si scatenasse la tempesta finanziaria con tanto di arrivo della Troika, confidando sul fatto che, scrive Italia Oggi, «la componente socialdemocratica della Commissione Ue, insieme a quella del Parlamento europeo, poteva giocare un ruolo decisivo, vuoi per la propria collocazione anti populista e anti sovranista rispetto al governo di Roma, ma anche perché debitrice a Soros e alla sua Open Society Foundation di un sostegno generoso, quanto dichiarato: è noto infatti che in un recente bilancio della Open society era compreso un elenco di 226 eurodeputati (sui 751 dell'attuale Parlamento europeo) definiti “alleati affidabili", per lo più facenti parte del gruppo S&D». Timmermans, però, rispose picche, spiegando al finanziere ungherese che la bocciatura della manovra italiana avrebbe aperto una crisi finanziaria drammatica, con ripercussioni in tutta l'Europa, a partire da Germania e Francia.
Timmermans avrebbe dunque detto a Soros che Angela Merkel e Emmanuel Macron non avrebbero mai avallato una mossa del genere, alle prese come erano in quel momento con crisi interne molto gravi: le due più importanti banche tedesche erano in difficoltà, mentre a Parigi si studiavano misure di spesa per fronteggiare la rivolta dei gilet gialli, che avrebbero comportato uno sforamento del rapporto deficit/pil ben superiore rispetto al 2,4% all'epoca messo nero su bianco dal governo italiano, poi sceso al 2,04% dopo la trattativa con l'Europa. Così, Soros se ne tornò a casa con le pive nel sacco, per la seconda volta in pochi anni. Già nel 2012, il finanziere chiese all'allora premier, Mario Monti, di far arrivare la Troika a Roma. Lo stesso Monti rivelò la circostanza, e raccontò di aver detto di no. In sostanza, possiamo dire che Soros, in tarda età, ha sviluppato due ossessioni: l'Italia e la Troika.
Carlo Tarallo
I giornalisti nascondono lo scandalo. E sulla privacy violata fanno ridere
«In 30 anni non ricordo un'altra notizia “che non c'è" simile, in quella collocazione sul Corriere». Non sembrava solo un vago chiarimento sulla linea editoriale (roba da cena al Rigolo fra colleghi di «lunga») quello chiesto da Ivo Caizzi, corrispondente da Bruxelles, al direttore Luciano Fontana. Ruggente, circostanziata, la lettera inviata in redazione il 31 dicembre somigliava più a una puntigliosa requisitoria con domande retoriche; all'appassionata difesa di un lavoro sottovalutato, quasi misconosciuto sulla trattativa Italia-Ue riguardo alla manovra del governo, mentre in prima pagina imperversava l'euroentusiasta Federico Fubini sulla procedura d'infrazione pronta. Somigliava a un'invettiva in guanti bianchi, invece era «una richiesta di chiarimento». Almeno così fa sapere il Comitato di redazione del Corriere della Sera, che a 11 giorni da quel grido nel vuoto e a 70 dai fatti, ha deciso di uscire allo scoperto per prendere posizione. E lo ha fatto con sobrietà tendente al criptico, un trafiletto al piede di pagina 23 (neanche fosse un pezzo di Caizzi), che non spiega minimamente di cosa si sta parlando. Eccolo.
«Negli ultimi giorni un documento interno al Corriere della Sera, una mail di un collega che chiedeva chiarimenti sulla linea editoriale, è stato usato all'esterno per un deplorevole attacco strumentale sull'autonomia del giornale» scrive il Cdr. «Un attacco che ha dato il via ad analisi fantasiose e ad accuse infondate. Tutto ciò per la redazione è inaccettabile. Non consentiremo a nessuno di mettere in dubbio, persino con insulti e minacce, la competenza e la buona fede dei giornalisti che ogni giorno lavorano per assicurare ai lettori un'informazione corretta e rigorosa. Né di mettere in discussione l'autorevolezza e l'indipendenza del Corriere della Sera».
Reazione comprensibile, a Fort Apache è buona strategia compattarsi attorno alla bandiera e alla palpitante retorica della missione democratica. Lo farebbe chiunque. Ma il passante si domanda: il Cdr ha difeso il collega o il direttore? Tutti e due. Perché, in nome del vecchio e mai troppo rimpianto cerchiobottismo mielista, ha trovato un colpevole terzo: chi ha pubblicato la lettera, chi ha osato parlare dell'argomento e divulgare la scottante missiva interna. E qui, noi reprobi che peccammo, ci arrendiamo.
Premesso che quella lettera era così interna da poter essere consultata e condivisa sul sito sindacale Senza Bavaglio e su un buon numero di chat in WhatsApp - nel senso che anche se non volevi leggerla te la tiravano dietro -, è davvero singolare che dei giornalisti censurino la pratica giornalistica suprema, nota anche ai corrieristi: non esistono documenti interni, esterni o da patio come le tende. Esistono le notizie, che di solito si pubblicano. Esattamente come abbiamo fatto noi per primi e pochi altri dopo. Se così non fosse, il Cdr avrebbe dovuto sollevare un polverone quando proprio il quotidiano di via Solferino pubblicò una mail privata di Paolo Savona con critiche al capo dello Stato, Sergio Mattarella, cosa che gli precluse il dicastero dell'Economia. Allora non ci fu nulla da deplorare.
Ma quali chiarimenti? Quando Caizzi scrive: «Per fortuna il direttore può sottovalutare e dare poco spazio a notizie certe, ma non eliminarle», sembra avere le idee già molto chiare di suo. E quando sottolinea: «Il Corriere di Fontana unico, fra i maggiori quotidiani, a non mettere in pagina un pezzo da Bruxelles quando la Commissione Ue ha ufficializzato l'esito positivo nella trattativa con l'Italia sulla manovra», non mostra interrogativi ancestrali, ma granitiche certezze. Nessuno vuole mettere in discussione l'indipendenza del Corriere della Sera (vaste programme), anche perché ci è riuscito da solo.
Giorgio Gandola
Continua a leggereRiduci
L'Italia, per colpa dei dem, non ha un'agenzia indipendente. Questo, con la nuova norma Ue, è un problema. Durante i giorni della trattativa con l'Ue, il finanziere incontrò in segreto il socialista Frans Timmermans. Il guru delle Ong spingeva perché la nostra manovra fosse bocciata. Un'ossessione che lo insegue dai tempi di Monti. Per il Cdr la denuncia di censura di Ivo Caizzi è solamente una «richiesta di chiarimenti» Averla diffusa è stato «deplorevole». Detto da chi pubblicò le mail private di Paolo Savona... Lo speciale contiene tre articoli Aver adottato la direttiva europea Nis (Network and information security) per migliorare le capacità di cyber security dei singoli Stati, aumentando il livello di cooperazione e di comunicazione all'interno dell'Ue, potrebbe aver minato la nostra autonomia nazionale. Per di più con il rischio concreto che il controllo governativo serva solo a garantire strumenti sia legislativi sia tecnici per attuare una sorveglianza di massa. Sono pareri che circolano nei settori dell'intelligence italiana. E che dovrebbero essere di dibattito pubblico alla vigilia delle prossime elezioni europee - con il nuovo piano d'azione contro la disinformazione sui social media varato dalla Ue. Se ne dovrebbe parlare soprattutto dopo la notizia data ieri dalla Verità sui file pubblicati da Anonymous sull'operazione Integrity initiative, un programma di monitoraggio e controinformazione da 2 milioni di dollari realizzato in Gran Bretagna, con sponde in ambienti militari della Nato, avente l'obiettivo di contrastare le fake news russe. Ieri Jacopo Iacoboni della Stampa, uno dei giornalisti che compaiono nei leak pubblicati dagli hacker, ha accusato su Twitter il nostro giornale di averlo diffamato, nonostante avessimo chiesto a lui un commento che abbiamo riportato correttamente nell'articolo. Il file «cluster Italy» è di libero accesso a tutti, basta andare su questo link (https://fdik.org/Integrity_Initiative/). Il fatto che ci possa essere un'influenza esterna sui nostri giornali o sui nostri social media da parte di Stati esteri dovrebbe rappresentare un campanello d'allarme nel nostro Paese. Non solo. L'attenzione maggiore dovrebbe essere anche sui software di controllo aziendale e di infrastrutture critiche, spesso prodotti all'estero e su cui sorvegliano i nostri servizi segreti. L'ultimo attacco hacker ai politici tedeschi ha creato diverse polemiche in Germania, in particolare sul ruolo della Bsi, agenzia indipendente tedesca per la sicurezza informatica, da poco nominata come punto di contatto per la Nis a Berlino. Secondo alcune fonti diplomatiche il modo in cui l'Italia ha recepito la Nis, invece, potrebbe rappresentare un cavallo di troia dell'Ue, presupposto per consegnare loro informazioni sensibili e per creare una forza di polizia europea in un settore delicato e strategico come quello della sicurezza informatica che getterà le basi per l'economia dei prossimi anni. Il primo atto in questa direzione fu fatto da Mario Monti nel 2013 e proseguito fino alla scorsa primavera dall'ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Ma sono stati i governi di centrosinistra ad aver istituito il Dis (Dipartimento informativo sicurezza), come punto di contatto per la direttiva Nis. Per quale motivo? Il Bsi tedesco è una agenzia nata negli anni Ottanta che si occupa esclusivamente di aspetti legati alla sicurezza delle comunicazioni. In Francia esiste dal 2002 l'Anssi che ha le stesse competenze, agenzia indipendente dall'intelligence o dalle forze di polizia che si occupa esclusivamente di cyber. In Italia, anziché creare una struttura indipendente si è deciso di dare queste competenze ai servizi segreti. La Ue ci controlla direttamente. Da noi non esistono enti terzi certificatori. In questo modo le pubbliche amministrazioni sono piene di prodotti stranieri che nessuno ha controllato. Se ci sono perplessità su Huawei perché non possono essercene sul software Fireeye americano? Per di più la maggior parte del denaro pubblico investito in cyber sicurezza finisce all'estero, considerato che il nostro Paese non produce materiale dedicato a questo settore: la sicurezza passa anche attraverso la produzione e l'utilizzo di propri apparati. Perché l'ex ministro dell'Interno Marco Minniti, da sempre in ottimi rapporti con gli Stati Uniti, ha deciso di impostare in questo modo la struttura cyber? Da noi nel frattempo sono state tolte competenze alla polizia postale o al Cnaipc (Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche). Senza dimenticare che siamo insieme alla Germania l'unico Paese europeo ad avere due centri di ascolti Nsa (National security agency), uno a Milano e uno a Roma. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-pd-ha-aperto-la-strada-alla-cyber-insicurezza-2625756249.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="soros-ci-provo-con-il-vice-juncker-per-fare-arrivare-la-troika-a-roma" data-post-id="2625756249" data-published-at="1765388015" data-use-pagination="False"> Soros ci provò con il vice Juncker per fare arrivare la Troika a Roma Voleva stringere il cappio al collo dell'Italia, quel gran bell'esemplare di filantropo ottantottenne di George Soros, e per far sì che la Commissione europea bocciasse la manovra finanziaria, aprendo la procedura di infrazione dalle conseguenze catastrofiche per il nostro Paese, arrivò a sollecitare in questo senso il primo vicepresidente della Commissione, l'olandese Frans Timmermans, esponente dei socialdemocratici europei e Spitzenkandidat, ovvero candidato alla presidenza della stessa Commissione in caso di vittoria del gruppo S&D (Socialisti e democratici) alle prossime elezioni europee. Per fortuna Timmermans rispose che non sarebbe stato possibile accontentare le richieste di Soros, e così la trattativa tra Unione europea e governo italiano è andata avanti e si è poi conclusa, come sappiamo, con un accordo. L'incontro tra Soros e Timmermans avvenne a Bruxelles, alla fine dello scorso novembre. La notizia in Italia fu pubblicata, lo scorso 3 dicembre, solo da Ivo Caizzi, protagonista in questi giorni di un'imbarazzante polemica con i vertici del suo giornale, il Corriere della sera. Uno scoop di primissimo piano, quello di Caizzi, che il Corriere però seminascose nella rubrica che il giornalista cura sul supplemento economico del lunedì, con il titolo «Imbarazzo a Bruxelles per la visita di Soros». La notizia dell'incontro scatenò il M5s: «Abbiamo inoltrato alla Commissione europea», disse il 30 novembre l'europarlamentare pentastellata Isabella Adinolfi, «una interrogazione per rendere pubblici i contenuti dell'incontro tra il primo vicepesidente della Commissione Frans Timmermans e George Soros, che come riportato dalla Commissione stessa, si sarebbe tenuto lo scorso 26 novembre. Per noi la trasparenza è un valore fondamentale. Ecco perché Timmermans, che è anche lo Spitzenkandidat del gruppo dell'Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici, dovrebbe dichiarare se ha ricevuto in passato finanziamenti da parte delle Open society foundations di Soros. Chiediamo che questa trasparenza», concluse Adinolfi, «sia estesa anche ai finanziamenti per la prossima campagna delle elezioni europee». Alcuni giornalisti chiesero alla portavoce della Commissione, Natasha Bertaud, se della manovra italiana si fosse stato discusso nel colloquio tra Soros e lo Spitzenkandidat socialista. «Non posso né confermare, né smentire», fu la evasiva risposta della Bertaud. Dell'incontro è tornato a occuparsi Italia Oggi, che rivela il contenuto della conversazione «riservata» tra Soros e Timmermans, avvenuta mentre era in pieno svolgimento la trattativa tra il governo italiano e la Commissione sulla manovra finanziaria. Il quotidiano rivela ciò che ha appreso da una fonte confidenziale «vicina a Timmermans»: non solo la manovra italiana fu uno dei principali argomenti del colloquio, ma Soros chiese esplicitamente al vice di Jean Cluade Juncker di «attivarsi perché la Commissione Ue bocciasse la manovra italiana, aprendo la strada alla Troika. Il terreno sui mercati, con il rialzo dello spread, era già stato preparato. Mancava solo il colpo finale». Soros , secondo la ricostruzione del quotidiano, voleva che Timmermans convincesse i commissari e i parlamentari europei socialdemocratici a spingere affinché Bruxelles bocciasse la legge di bilancio italiana, così che sul nostro Paese si scatenasse la tempesta finanziaria con tanto di arrivo della Troika, confidando sul fatto che, scrive Italia Oggi, «la componente socialdemocratica della Commissione Ue, insieme a quella del Parlamento europeo, poteva giocare un ruolo decisivo, vuoi per la propria collocazione anti populista e anti sovranista rispetto al governo di Roma, ma anche perché debitrice a Soros e alla sua Open Society Foundation di un sostegno generoso, quanto dichiarato: è noto infatti che in un recente bilancio della Open society era compreso un elenco di 226 eurodeputati (sui 751 dell'attuale Parlamento europeo) definiti “alleati affidabili", per lo più facenti parte del gruppo S&D». Timmermans, però, rispose picche, spiegando al finanziere ungherese che la bocciatura della manovra italiana avrebbe aperto una crisi finanziaria drammatica, con ripercussioni in tutta l'Europa, a partire da Germania e Francia. Timmermans avrebbe dunque detto a Soros che Angela Merkel e Emmanuel Macron non avrebbero mai avallato una mossa del genere, alle prese come erano in quel momento con crisi interne molto gravi: le due più importanti banche tedesche erano in difficoltà, mentre a Parigi si studiavano misure di spesa per fronteggiare la rivolta dei gilet gialli, che avrebbero comportato uno sforamento del rapporto deficit/pil ben superiore rispetto al 2,4% all'epoca messo nero su bianco dal governo italiano, poi sceso al 2,04% dopo la trattativa con l'Europa. Così, Soros se ne tornò a casa con le pive nel sacco, per la seconda volta in pochi anni. Già nel 2012, il finanziere chiese all'allora premier, Mario Monti, di far arrivare la Troika a Roma. Lo stesso Monti rivelò la circostanza, e raccontò di aver detto di no. In sostanza, possiamo dire che Soros, in tarda età, ha sviluppato due ossessioni: l'Italia e la Troika. Carlo Tarallo <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-pd-ha-aperto-la-strada-alla-cyber-insicurezza-2625756249.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="i-giornalisti-nascondono-lo-scandalo-e-sulla-privacy-violata-fanno-ridere" data-post-id="2625756249" data-published-at="1765388015" data-use-pagination="False"> I giornalisti nascondono lo scandalo. E sulla privacy violata fanno ridere «In 30 anni non ricordo un'altra notizia “che non c'è" simile, in quella collocazione sul Corriere». Non sembrava solo un vago chiarimento sulla linea editoriale (roba da cena al Rigolo fra colleghi di «lunga») quello chiesto da Ivo Caizzi, corrispondente da Bruxelles, al direttore Luciano Fontana. Ruggente, circostanziata, la lettera inviata in redazione il 31 dicembre somigliava più a una puntigliosa requisitoria con domande retoriche; all'appassionata difesa di un lavoro sottovalutato, quasi misconosciuto sulla trattativa Italia-Ue riguardo alla manovra del governo, mentre in prima pagina imperversava l'euroentusiasta Federico Fubini sulla procedura d'infrazione pronta. Somigliava a un'invettiva in guanti bianchi, invece era «una richiesta di chiarimento». Almeno così fa sapere il Comitato di redazione del Corriere della Sera, che a 11 giorni da quel grido nel vuoto e a 70 dai fatti, ha deciso di uscire allo scoperto per prendere posizione. E lo ha fatto con sobrietà tendente al criptico, un trafiletto al piede di pagina 23 (neanche fosse un pezzo di Caizzi), che non spiega minimamente di cosa si sta parlando. Eccolo. «Negli ultimi giorni un documento interno al Corriere della Sera, una mail di un collega che chiedeva chiarimenti sulla linea editoriale, è stato usato all'esterno per un deplorevole attacco strumentale sull'autonomia del giornale» scrive il Cdr. «Un attacco che ha dato il via ad analisi fantasiose e ad accuse infondate. Tutto ciò per la redazione è inaccettabile. Non consentiremo a nessuno di mettere in dubbio, persino con insulti e minacce, la competenza e la buona fede dei giornalisti che ogni giorno lavorano per assicurare ai lettori un'informazione corretta e rigorosa. Né di mettere in discussione l'autorevolezza e l'indipendenza del Corriere della Sera». Reazione comprensibile, a Fort Apache è buona strategia compattarsi attorno alla bandiera e alla palpitante retorica della missione democratica. Lo farebbe chiunque. Ma il passante si domanda: il Cdr ha difeso il collega o il direttore? Tutti e due. Perché, in nome del vecchio e mai troppo rimpianto cerchiobottismo mielista, ha trovato un colpevole terzo: chi ha pubblicato la lettera, chi ha osato parlare dell'argomento e divulgare la scottante missiva interna. E qui, noi reprobi che peccammo, ci arrendiamo. Premesso che quella lettera era così interna da poter essere consultata e condivisa sul sito sindacale Senza Bavaglio e su un buon numero di chat in WhatsApp - nel senso che anche se non volevi leggerla te la tiravano dietro -, è davvero singolare che dei giornalisti censurino la pratica giornalistica suprema, nota anche ai corrieristi: non esistono documenti interni, esterni o da patio come le tende. Esistono le notizie, che di solito si pubblicano. Esattamente come abbiamo fatto noi per primi e pochi altri dopo. Se così non fosse, il Cdr avrebbe dovuto sollevare un polverone quando proprio il quotidiano di via Solferino pubblicò una mail privata di Paolo Savona con critiche al capo dello Stato, Sergio Mattarella, cosa che gli precluse il dicastero dell'Economia. Allora non ci fu nulla da deplorare. Ma quali chiarimenti? Quando Caizzi scrive: «Per fortuna il direttore può sottovalutare e dare poco spazio a notizie certe, ma non eliminarle», sembra avere le idee già molto chiare di suo. E quando sottolinea: «Il Corriere di Fontana unico, fra i maggiori quotidiani, a non mettere in pagina un pezzo da Bruxelles quando la Commissione Ue ha ufficializzato l'esito positivo nella trattativa con l'Italia sulla manovra», non mostra interrogativi ancestrali, ma granitiche certezze. Nessuno vuole mettere in discussione l'indipendenza del Corriere della Sera (vaste programme), anche perché ci è riuscito da solo.Giorgio Gandola
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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