2020-08-30
Il Pd di Zingaretti sventola le mascherine
I dem lanciano su Twitter una foto che vorrebbe essere politicamente corretta, ma che in realtà richiama il pasticcio esploso in Regione Lazio sui sistemi di protezione pagati e mai consegnati. Uno scandalo milionario su cui il segretario continua a tacere.Ecco dove sono finite le mascherine sparite nel Lazio. Poteva dirlo subito, Nicola Zingaretti, che le aveva fatte mettere sul pennone come simbolo del partito. Invece il presidente dal triplo incarico - che da segretario del Pd in maggioranza ne aveva legiferato l'uso obbligatorio e da numero uno della Regione Lazio le aveva ordinate per un investimento da 36 milioni di euro a un'azienda di Frascati -, da parlamentare si è sempre negato in question time, si è trincerato per mesi dietro uno sdegnato silenzio, accampando irrinunciabili impegni per non rispondere alla più banale delle domande: perché nessuno ha mai visto né i dispositivi di protezione, né i 13 milioni anticipati con superficialità alla EcoTech?I maligni cominciavano a temere lo scandalo e a notare una certa differenza di trattamento con le regioni a gestione centrodestra, massacrate per molto meno dall'esercito dei media compiacenti. L'opposizione torni a cuccia, quelle mascherine ci sono: garriscono al vento sui manifesti del Pd Lazio, simboli azzurrini di tnt del partito di Antonio Gramsci e Goffredo Bettini, metafora della palude italiana. Per rendere ancora più esplicito il messaggio e farlo metabolizzare anche alle anime semplici come Chef Rubio, Sandro Veronesi e Claudio Mazzanti (l'assessore di Bologna che ha diagnosticato il Covid a Flavio Briatore come «punizione divina»), accanto al pennone mascherinato campeggia la scritta: «La nostra bandiera della responsabilità». Se non ci fosse la foto su Twitter stenteremmo a credere a un simile picco di originalità. Non era facile dare con una sola immagine il senso di mediocrità, di passività, di meschinità di un governo che solo sull'emergenza esibita e sulla paura si sorregge per perpetuare la propria esistenza. Il Pd c'è riuscito benissimo ed è pensabile che il fulgido esempio di Street art abbia un futuro anche alla prossima Biennale Arte di Venezia, rivaleggiando con la nave di Banksy per il premio Banal Grande 2020. Effettivamente la foto colpisce, il messaggio dardeggia, anche il grande Joe Rosenthal ne sarebbe ammirato. Lui che a Iwo Jima nel 1945 fece rifare lo scatto immortale ai marines sulla collina della vittoria, mai avrebbe immaginato la Mascherina flag. Al Pd devono avere organizzato un pool di esperti con a capo Domenico Arcuri chiesto in prestito a Palazzo Chigi. C'è da capire l'imbarazzo primigenio: avendo un pennone con il pomo, cosa ci mettiamo? La bandiera italiana mai, la storia della sinistra lo vieta: o russa o cinese. Quella europea no, per non dare troppo nell'occhio con la sudditanza da camerieri. Rimanevano il tanga di pizzo per enfatizzare l'inclinazione ad allearsi con chiunque pur di alimentare il poltronificio; la solita calza bucata dell'assistenzialismo a debito; la maglietta con l'effigie di Michele Serra al posto del Che (ma si sarebbe offeso Gianrico Carofiglio). Laura Boldrini avrebbe proposto un pannolino sul pennone, idea bocciata dalla direzione per non suscitare l'invidia degli alleati a 5Stelle. Ed ecco, con un colpo di genio dell'art director (qui Oliviero Toscani ci cova), le mascherine scomparse. Il partito delle mascherine, la metafora dell'epidemia, della sciagura. Il messaggio è in linea con l'intera politica del centrosinistra. Eppure avrebbe dovuto essere un'operazione simpatia portata avanti con una campagna di comunicazione affidata a giovani attori. Titolo: #Mask Lazio. Slogan allegato: Su la maschera, giù i contagi. Una cosa un po' giuliva, del tipo «Una mascherina è per sempre», «Una mascherina da Tiffany». Come se gli italiani a fine agosto stessero aspettando i consigli dei professionisti degli apericena solidali di marzo (Beppe Sala, Giorgio Gori, lo Zingaretti medesimo) per vivere con prudenza, con distanziamento e con quel pur cupo e ospedaliero oggetto sul volto. Difficile interpretare il senso più intimo dell'iniziativa: superficialità congenita o goffo tentativo di trasformare il simbolo di un incubo nazionale come la pandemia in un'allegra pochette da naso? La mascherina che sventola sul pennone del Pd riesce ad essere al tempo stesso il segnale di resa del partito davanti ai problemi concreti del Paese (la scuola non riparte, l'economia è al collasso, i soldi dell'Europa non arrivano, la politica estera e quella del lavoro non esistono) e il simbolo dello scandalo in cui è politicamente implicato il governatore Zingaretti, quello delle mascherine destinate a medici, infermieri, ospedali. Vaporizzate come un contagioso starnuto assieme ai 13 milioni affidati a un'azienda con un capitale sociale di 10.000 euro. Mai arrivate come altre forniture, per esempio le tute protettive turche. Gli scheletri negli armadi cominciano ad essere numerosi.Mentre questi dispositivi sparivano, in tutta Italia era difficile reperirli e sul fronte del Nord (il più duro, il più abbandonato, il più tradito dalla sinistra e dai media) c'era chi era costretto ad allestire una filiera alternativa - per esempio la Regione Lombardia - per produrre 900.000 pezzi al giorno. Veri, concreti, salvavita. La mascherina del Pd laziale, così azzurrina da sembrare quella di Ciro Immobile, ci ricorda che il presidente-segretario finora non l'ha usata solo per respirare. Ma anche per tacere.