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2019-07-17
A Bibbiano lucravano sulle terapie per i bimbi
iStock
Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, promette che «non darà tregua» a Matteo Salvini sul caso Russia. Alle vicende della Val d'Enza riguardanti affidi illeciti e abusi su minori, invece, una tregua è stata data eccome: da quando la vicenda è esplosa il Partito democratico ha fatto di tutto per far calare sull'intera storia una pesante coltre di silenzio. Zingaretti in persona ha annunciato che avrebbe fatto ricorso agli avvocati per rivalersi contro chiunque osi associare i dem ai fatti di Bibbiano. Si è persino vantato di aver ricevuto in pochi giorni centinaia di segnalazioni da parte dei suoi militanti. Pure la giunta comunale di Bibbiano ha fatto sapere di essersi dotata di assistenza legale al fine di tutelare «il buon nome» del Comune. A questo riguardo, giusto ieri il parlamentare leghista Gianluca Vinci ha presentato un esposto alla Corte dei conti, onde verificare «che il denaro dei cittadini bibbianesi sia utilizzato per finalità realmente dirette alla loro difesa e non alla difesa del buon nome degli indagati o degli appartenenti ad un partito».
Andrea Carletti, ex sindaco pd del paesone in provincia di Reggio Emilia, ha mollato la poltrona solo perché glielo ha imposto il prefetto, poi si è «autosospeso» dal partito, anche se nessuno glielo ha chiesto pubblicamente. Anzi, tutti i suoi compagni di schieramento hanno continuato e continuano a difenderlo: sia quelli nazionali che quelli locali, compresi gli amici dell'Anpi e di altre associazioni. Tutto questo nonostante l'ex primo cittadino sia indicato dal gip di Reggio Emilia come l'uomo che ha fornito ampia copertura politica agli operatori dei servizi sociali e agli psicologici che gestivano tutto il sistema emiliano.
Un sistema che ora la Regione Emilia Romagna, guidata da Stefano Bonaccini (ovviamente del Pd) promette di indagare a fondo tramite una apposita commissione di inchiesta. Che però, a quanto risulta, è quasi interamente composta da esperti che lavorano e hanno lavorato per amministrazioni rosse.
Diciamo che è piuttosto chiara l'intenzione dei cari progressisti: nascondere il caso Val d'Enza sotto al tappeto. Il fatto, però, è che i dem non possono in alcun modo negare i collegamenti con il giro bibbianese. E visto che amano fare la morale agli altri, sarebbe il caso che dessero una bella pulita anche dentro casa propria, magari chiedendo conto ai propri esponenti dei rapporti con i vari psicologi e assistenti sociali. Roberta Mori, consigliere regionale e presidente della Commissione parità, si comportava quasi come una amica di Federica Anghinolfi e delle sue sodali. Le metteva i cuoricini sotto i commenti sui social network, insieme hanno partecipato a chissà quanti convegni, alcuni dei quali patrocinati dalla Regione.
Rapporti stretti anche con Fadia Bassmaji, ex della Anghinolfi, indagata pure, regista e organizzatrice di eventi. Pure lei ha più volte condiviso il palco con la Mori. Ma in questa storia entrano anche altri esponenti Pd. Ad esempio la senatrice Vanna Iori, anche lei molto impegnata a promuovere le virtù dei servizi alla persona del Reggiano.
Ci sono dentro i singoli politici, ma pure le istituzioni: i Comuni e le giunte progressiste, la Regione. Ovvio: fare finta di niente si può (e infatti stanno agendo proprio così), ma è vergognoso.
Qualcuno, sui giornali amici, prova ad avanzare l'idea che tutta la faccenda sia frutto di una sorta di eterogenesi dei fini. Provano cioè a far passare la bufala secondo cui tutte le persone coinvolte, anche quando hanno sbagliato, erano in buona fede. Lo ha fatto, sull'Espresso, Luigi Cancrini (della cui vicinanza a Claudio Foti di «Hansel e Gretel» abbiamo scritto). Lo ha fatto ieri, tramite lettera ad Avvenire, anche Fabio Folgheraiter. «Un conto è dire che in quei Servizi siano state commesse gravi e intollerabili leggerezze», ha scritto. «Altro dire che ivi operasse una malvagia cricca di psicologi e assistenti sociali intenta a progettare scientemente il crimine. [...] Più logico pensare che qualcuno - in buona fede - stia esagerando».
Come fa Folgheraiter a essere così certo delle buone intenzioni dei protagonisti di questa sordida vicenda? Chissà. Noi, al massimo, possiamo notare alcune cosette. Questo signore è il co-fondatore delle Edizioni Centro studi Erickson. Dal 2012 al 2014, Claudio Foti ha lavorato come «relatore e formatore sul tema dell'ascolto dell'abuso sessuale sui minori» proprio per il Centro studi Erickson. Sarà una coincidenza? Sul sito delle edizioni in questioni si trova persino una bella biografia del nostro Foti. Il quale, per altro, ha partecipato pure ad alcuni convegni proprio assieme a Folgheraiter.
Quando sentiamo parlare di «buone intenzioni», quando leggiamo articoli che puntano a smorzare e a difendere, ci sorgono un po' di sospetti. Saranno stati pure bene intenzionati, ma i soldi - come racconta qui a fianco Maurizio Tortorella - giravano eccome. E, in ogni caso, commettere bestialità in nome dell'ideologia (o della politica) non è certo onorevole.
Francesco Borgonovo
«Gli assistenti sociali hanno troppo potere»
«Come può chi è parte in causa giudicare il proprio operato? La commissione tecnica messa in piedi dalla Regione, per i criteri con cui è stata istituita, sembra un collegio difensivo». Camillo Valgimigli, psichiatra e psicoterapeuta, già dirigente del servizio di Salute mentale dell'Ausl di Modena, professore a contratto presso la scuola di specialità in Neuropsichiatria dell'Università dì Modena e Reggio, giudice onorario presso la Corte d'appello di Bologna, sezione minorenni, e consulente tecnico in numerosi processi riguardanti la sottrazione dei minori alle loro famiglie, si occupa da anni dei minori allontanati dalle famiglie in Emilia Romagna. Ha collaborato con l'autore dell'inchiesta Veleno denunciando pubblicamente le storture di un sistema che ha prestato il fianco all'orrore della Val D'Enza. Dopo anni di silenzio, davanti all'evidenza portata alla luce dall'inchiesta Angeli e Demoni, con l'intenzione dichiarata di affrontare finalmente i punti deboli del sistema degli affidi, la Regione Emilia Romagna ha istituito una commissione di inchiesta sulla vicenda dei bambini rubati. È formata da otto esperti tutti attivi nell'ambito socio sanitario territoriale
Servirà a fare chiarezza?
«La Regione è referente, ultimo e politico, per i servizi socio sanitari. E dunque in questo caso è nello stesso tempo parte responsabile e parte lesa. I suoi servizi sociali e di salute mentale, presentati sempre come eccellenze a livello nazionale stanno subendo una grave caduta di immagine. L'istituzione della commissione appare più che altro come un espediente, con esperti incaricati di ridimensionare la gravità del caso, utilizzando cognizioni scientifiche, certamente corrette ma parziali per un contesto così drammatico».
Quali caratteristiche avrebbe dovuto avere per dare effettive garanzie?
«Prima di tutto là neutralità e l'indipendenza di giudizio che in questo caso mancano. Non può essere la Regione a controllare sé stessa».
Cosa intende?
«Non sono le discipline o le competenze dei professionisti incaricati in discussione, ma la prassi. Di fatto la Regione istituisce un organismo che deve giudicare in merito a fatti che coinvolgono operatori del sistema pubblico, che hanno messo in atto comportamenti gravissimi e lesivi dell'intero sistema assistenziale. E chi viene chiamato a far parte degli esperti? Tra gli altri due responsabili di servizi socio sanitari regionali…».
Un controsenso
«Sì, come spesso capita, il controllato è il controllore».
Dopo le drammatiche vicende di Veleno, l'inchiesta Angeli e Demoni. Cosa accumuna le due realtà?
«La ricerca ossessiva dei casi di abuso da parte di operatori che vantano la medesima formazione».
Si spieghi meglio.
«Per le vicende di Veleno sullo sfondo c'erano le attività di Cismai e il centro Hansel e Gretel sembra il collettore per la Val D'Enza. Con taluni psicologi e operatori operanti in entrambe le situazioni».
E anche il tribunale è sempre lo stesso…
«Il Tribunale per i Minorenni di Bologna, dove, come accade più o meno ovunque, il giudice si adegua acriticamente alle valutazioni degli operatori sociali che raccolgono le segnalazioni e rinuncia alla sua funzione che consiste nel rendere giustizia».
In che senso il giudice rinuncia alla sua funzione?
«Il giudice minorile non è un vero giudice: non è terzo imparziale. È in simbiosi con il servizio che segnala e prende in carico il bambino e si ritiene il garante dell'interesse del minore, così come individuato e indicato dal servizio».
Significa che alle ipotesi delle assistenti sociali in base alle quali viene disposto l'allontanamento del minore non esiste un contraltare?
«Di fatto è così: il giudice minorile non fa attività istruttoria ma recepisce le valutazioni delle assistenti sociali e degli operatori, rendendo gli allontanamenti meccanismi semplicissimi da mettere in atto e difficilissimi da smontare».
Eppure i tribunali sono chiamati a disporre verifiche tecniche…
«Purtroppo, però, molto spesso il rapporto tra consulenti tecnici e giudici non è del tutto trasparente».
In che senso?
«Nonostante il lungo elenco di tecnici a disposizione per gli accertamenti vengono designati più o meno sempre gli stessi consulenti, in molti casi persone che hanno costanti contatti con i giudici che li hanno nominati. Un fenomeno ben noto negli ambienti».
Lei ha più volte denunciato il business economico favorito da questo sistema.
«Da parte di molti osservatori si segnalava il fenomeno, ben prima delle inchieste che lo hanno portato alla luce. I bambini vengono allontanati dalle famiglie, collocati in contesti extra familiari di matrice sia religiosa che laica, le quali percepiscono contributi che variano da ottanta a più di duecento euro al giorno senza, di fatto, limiti temporali».
Avete denunciato questa realtà. Con quali risultati?
«Purtroppo come sta accadendo anche ora, il sistema fa resistenza e si arrocca e resta impermeabile a ogni critica, anche costruttiva».
Alessia Pedrielli
Uso la tecnica Emdr, so che funziona E se è applicata male fa gravi danni
Sui giornali nell'inchiesta «Angeli e demoni» sulla criminale follia di bambini strappati alle loro famiglie e dati in affidamento o adozione a persone certamente non idonee, per usare un termine eufemistico, si è parlato a torto di elettroshock. A Bibbiano, invece, dichiarano di aver usato invece la tecnica Emdr con l'ausilio di una stimolazione elettronica ottenuta tramite gli apparecchi Emdr prodotti dalla NeuroTek Corporation.
In che cosa consiste
La tecnica Emdr (dall'inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, cioè Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) è una tecnica psicofisica per la desensibilizzazione dei postumi dei traumi o di esperienze stressanti, basata su una stimolazione bilaterale degli emisferi ottenuta preferenzialmente mediante il movimento orizzontale degli occhi, da cui il nome.
Molto raramente è usata l'apparecchiatura NeuroTek, in Italia quasi sconosciuta. L'Emdr nasce sfruttando il movimento orizzontale degli occhi simile a quello del sonno Rem, dall'inglese Rapid Eye Movement.
Testimonio, perché la uso, che, se usata correttamente, l'Emdr può avere risultati spettacolari e velocissimi nella risoluzione del disturbo post traumatico da stress, ne ho parlato anche nella trasmissione Diritto e Rovescio su Rete 4, di qualche settimana fa. Durante l'Emdr addirittura si hanno modificazioni dell'elettroencefalogramma, è una cura vera che funziona veramente, come è una cura vera somministrare la digitale ed eseguire un intervento chirurgico, e come ogni cura vera, digitale e intervento chirurgico, se usata male può fare danni.
Deve essere usata in maniera rigorosa. Ha risultati spettacolari e veloci proprio perché causa una modificazione del cervello, l'aumento di sinapsi in alcune zone. Durante la stimolazione bilaterale il terapeuta deve restare rigorosamente in silenzio. È una fase di stimolazione cerebrale.
Meglio il silenzio
Se durante questa fase il terapeuta parla, suggerisce, inventa, può essere semplicemente fastidioso ma potrebbe creare e istillare false memorie. Una terapia e un interrogatorio devono essere fatti sempre con domande neutre e aperte (Cosa è successo? Come ti sei sentito? ), mai con domande che possano suggerire qualcosa (Qualcuno ti ha toccato? Quella persona ti ha fatto male? ) altrimenti c'è il rischio di creare false memorie. Il cervello compiacente, e quello dei bambini un po' lo è, non osa contraddire, non osa dire: «No, non è successo».
Protocollo rigoroso
L'Emdr deve essere appresa in maniera rigorosa e applicata in maniera altrettanto rigorosa.
La dottoressa Isabel Fernandez, presidente della Società Emdr, afferma che gli psicologi della Hansel e Gretel non abbiano mai fatto nemmeno il corso base di Emdr, almeno non in Italia e che non fossero iscritti all'associazione Emdr.
Gli psicologi della Onlus Hansel e Gretel sono appunto quelli che si sono occupati dei casi di Bibbiano dopo essere stati implicati nell'atroce caso della Bassa Modenese, dove, a causa di false memorie nei bambini, famiglie sono state smembrate, distrutte, innocenti sono finiti in progione e ci sono state morti per suicidio e infarto. Dopo questo spettacolare successo, già affiorato nelle cronache, la stessa Onlus è stata arruolata a Bibbiano.
I disastri
Ci sono psicologi bravi che con varie tecniche, tra cui l'Emdr sono riusciti a rendere meno urente il dolore dell'abuso subito, ci sono assistenti sociali molto brave che ricostruiscono famiglie disastrate, o levano vittime vere da sotto carnefici veri. Bibbiano ha danneggiato anche loro. E molto.
Silvana De Mari
Lucravano pure sulle ore di terapia
Gli psicologi piemontesi del Centro studi Hansel e Gretel, finiti nell'inchiesta «Angeli e demoni» della Procura di Reggio Emilia sui bambini sottratti in modo illegittimo alle loro famiglie, erano stati ingaggiati davvero a prezzo speciale dal Comune di Bibbiano e dall'Unione dei Comuni della Val d'Enza.
Secondo quanto si legge nell'ordinanza di custodia cautelare del giudice Luca Ramponi, che alla fine di giugno ha portato agli arresti domiciliari, tra gli altri, l'ideologo e fondatore del Centro, Claudio Foti, e la sua compagna, Nadia Bolognini, ogni seduta di analisi dei bambini garantiva agli psicologi «l'ingiusto profitto di 135 euro l'ora per minore, a fronte dei 60-70 euro medi di mercato, e questo nonostante l'Azienda sanitaria locale potesse usare gratuitamente i propri professionisti».
Ma ora emerge anche di peggio. Grazie a un'email del 17 giugno 2016, che è stata acquisita agli atti, si scopre che gli enti locali e gli psicologi avevano concordato che la cifra di 135 euro sarebbe rimasta la stessa anche se la durata dei colloqui con i bambini scendeva a 55, a 50 e perfino a 45 minuti.
Dagli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria, però, emerge che, «su 115 sedute monitorate la cui durata avrebbe dovuto essere di almeno 45 minuti», la psicologa Bolognini «ha concluso anticipatamente la sua prestazione in 61 incontri», quindi in oltre il 53% del totale. E malgrado questa autoriduzione ha ovviamente fatturato l'intera seduta.
La polizia giudiziaria ha intercettato le sedute degli psicologi, e proprio grazie a questo strumento propone nel suo rapporto calcoli precisi al minuto. «In particolare», si legge, «moltiplicando le 61 sedute in disamina per la durata minima (cioè i 45 minuti, ndr) che la terapeuta avrebbe dovuto svolgere per maturare i 135 euro concordati, si perviene a un totale di 2.745 minuti. Dalla somma delle effettive durate delle prestazioni svolte è emerso che la Bolognini in realtà ha svolto soltanto 2.474 minuti, ossia un 10% in meno rispetto alla prestazione fatturata». Insomma, altro che sedute di un'ora: ogni incontro durava in media non più di 40 minuti. Il tassametro, però, continuava a girare. Conclude la polizia giudiziaria: «Emerge dunque che, a fronte degli 8.235 euro pagati dall'Unione della Val d'Enza alla terapeuta Bolognini (per le 61 sedute in questione, ndr), la stessa ne aveva maturati in realtà il 10% in meno, per un totale di 823 euro, con pari danno per la pubblica amministrazione». Il rapporto aggiunge una valutazione sconfortante: «In nessun caso si rileva una durata delle prestazioni superiore ai 60 minuti concordati al fine di maturare i 135 euro».
Per l'apparente furto di minuti, forse, c'è una spiegazione di scuola psicoanalitica. Forse gli psicologi del Centro «Hansel e Gretel» aderiscono alle teorie del francese Jacques Lacan, noto per aver inventato «la seduta senza orario» contrapponendosi alla più rigida tempistica osservata dal padre della psicoanalisi, Sigmund Freud. I critici di Lacan sostengono che il terapeuta a volte entrasse nello studio, gettasse solo un'occhiata il paziente che lo aspettava sul lettino, e dopo un secondo uscisse proclamando: «La seduta è conclusa». Per questo, i censori più radicali bollano Lacan come imbroglione. Probabilmente esagerano. Ma se un processo dimostrerà che i risultati per i bambini di Bibbiano sono stati davvero quelli descritti dalla Procura di Reggio, forse sarebbe stato meglio se gli psicologi di «Hansel e Gretel» avessero fatto altrettanto.
Maurizio Tortorella
Continua a leggereRiduci
Ogni giorno si confermano i legami fra i dem e i protagonisti di «Angeli e demoni». Nicola Zingaretti tace, tuttavia i tentativi di smorzare la vicenda sono smentiti dai fatti.Lo psichiatra Camillo Valgimigli, giudice e consulente attacca: «I giudici hanno rapporti poco trasparenti con gli operatori».Gli operatori del centro Hansel e Gretel utilizzavano l'apparecchiatura NeuroTek, ma non risulta che abbiano mai frequentato, almeno in Italia, i corsi di formazione necessari. Così nascono i problemi.Gli psicologi prendevano 135 euro ogni 60 minuti di seduta con i piccoli, mentre il prezzo medio di mercato è di 60-70 euro. E il 53% delle volte lavoravano meno del previsto.Lo speciale contiene quattro articoliIl segretario del Pd, Nicola Zingaretti, promette che «non darà tregua» a Matteo Salvini sul caso Russia. Alle vicende della Val d'Enza riguardanti affidi illeciti e abusi su minori, invece, una tregua è stata data eccome: da quando la vicenda è esplosa il Partito democratico ha fatto di tutto per far calare sull'intera storia una pesante coltre di silenzio. Zingaretti in persona ha annunciato che avrebbe fatto ricorso agli avvocati per rivalersi contro chiunque osi associare i dem ai fatti di Bibbiano. Si è persino vantato di aver ricevuto in pochi giorni centinaia di segnalazioni da parte dei suoi militanti. Pure la giunta comunale di Bibbiano ha fatto sapere di essersi dotata di assistenza legale al fine di tutelare «il buon nome» del Comune. A questo riguardo, giusto ieri il parlamentare leghista Gianluca Vinci ha presentato un esposto alla Corte dei conti, onde verificare «che il denaro dei cittadini bibbianesi sia utilizzato per finalità realmente dirette alla loro difesa e non alla difesa del buon nome degli indagati o degli appartenenti ad un partito». Andrea Carletti, ex sindaco pd del paesone in provincia di Reggio Emilia, ha mollato la poltrona solo perché glielo ha imposto il prefetto, poi si è «autosospeso» dal partito, anche se nessuno glielo ha chiesto pubblicamente. Anzi, tutti i suoi compagni di schieramento hanno continuato e continuano a difenderlo: sia quelli nazionali che quelli locali, compresi gli amici dell'Anpi e di altre associazioni. Tutto questo nonostante l'ex primo cittadino sia indicato dal gip di Reggio Emilia come l'uomo che ha fornito ampia copertura politica agli operatori dei servizi sociali e agli psicologici che gestivano tutto il sistema emiliano. Un sistema che ora la Regione Emilia Romagna, guidata da Stefano Bonaccini (ovviamente del Pd) promette di indagare a fondo tramite una apposita commissione di inchiesta. Che però, a quanto risulta, è quasi interamente composta da esperti che lavorano e hanno lavorato per amministrazioni rosse. Diciamo che è piuttosto chiara l'intenzione dei cari progressisti: nascondere il caso Val d'Enza sotto al tappeto. Il fatto, però, è che i dem non possono in alcun modo negare i collegamenti con il giro bibbianese. E visto che amano fare la morale agli altri, sarebbe il caso che dessero una bella pulita anche dentro casa propria, magari chiedendo conto ai propri esponenti dei rapporti con i vari psicologi e assistenti sociali. Roberta Mori, consigliere regionale e presidente della Commissione parità, si comportava quasi come una amica di Federica Anghinolfi e delle sue sodali. Le metteva i cuoricini sotto i commenti sui social network, insieme hanno partecipato a chissà quanti convegni, alcuni dei quali patrocinati dalla Regione. Rapporti stretti anche con Fadia Bassmaji, ex della Anghinolfi, indagata pure, regista e organizzatrice di eventi. Pure lei ha più volte condiviso il palco con la Mori. Ma in questa storia entrano anche altri esponenti Pd. Ad esempio la senatrice Vanna Iori, anche lei molto impegnata a promuovere le virtù dei servizi alla persona del Reggiano. Ci sono dentro i singoli politici, ma pure le istituzioni: i Comuni e le giunte progressiste, la Regione. Ovvio: fare finta di niente si può (e infatti stanno agendo proprio così), ma è vergognoso. Qualcuno, sui giornali amici, prova ad avanzare l'idea che tutta la faccenda sia frutto di una sorta di eterogenesi dei fini. Provano cioè a far passare la bufala secondo cui tutte le persone coinvolte, anche quando hanno sbagliato, erano in buona fede. Lo ha fatto, sull'Espresso, Luigi Cancrini (della cui vicinanza a Claudio Foti di «Hansel e Gretel» abbiamo scritto). Lo ha fatto ieri, tramite lettera ad Avvenire, anche Fabio Folgheraiter. «Un conto è dire che in quei Servizi siano state commesse gravi e intollerabili leggerezze», ha scritto. «Altro dire che ivi operasse una malvagia cricca di psicologi e assistenti sociali intenta a progettare scientemente il crimine. [...] Più logico pensare che qualcuno - in buona fede - stia esagerando». Come fa Folgheraiter a essere così certo delle buone intenzioni dei protagonisti di questa sordida vicenda? Chissà. Noi, al massimo, possiamo notare alcune cosette. Questo signore è il co-fondatore delle Edizioni Centro studi Erickson. Dal 2012 al 2014, Claudio Foti ha lavorato come «relatore e formatore sul tema dell'ascolto dell'abuso sessuale sui minori» proprio per il Centro studi Erickson. Sarà una coincidenza? Sul sito delle edizioni in questioni si trova persino una bella biografia del nostro Foti. Il quale, per altro, ha partecipato pure ad alcuni convegni proprio assieme a Folgheraiter. Quando sentiamo parlare di «buone intenzioni», quando leggiamo articoli che puntano a smorzare e a difendere, ci sorgono un po' di sospetti. Saranno stati pure bene intenzionati, ma i soldi - come racconta qui a fianco Maurizio Tortorella - giravano eccome. E, in ogni caso, commettere bestialità in nome dell'ideologia (o della politica) non è certo onorevole. Francesco Borgonovo<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-pd-continua-a-insabbiare-ma-non-regge-piu-nemmeno-la-scusa-della-buona-fede-2639209995.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-assistenti-sociali-hanno-troppo-potere" data-post-id="2639209995" data-published-at="1766676199" data-use-pagination="False"> «Gli assistenti sociali hanno troppo potere» «Come può chi è parte in causa giudicare il proprio operato? La commissione tecnica messa in piedi dalla Regione, per i criteri con cui è stata istituita, sembra un collegio difensivo». Camillo Valgimigli, psichiatra e psicoterapeuta, già dirigente del servizio di Salute mentale dell'Ausl di Modena, professore a contratto presso la scuola di specialità in Neuropsichiatria dell'Università dì Modena e Reggio, giudice onorario presso la Corte d'appello di Bologna, sezione minorenni, e consulente tecnico in numerosi processi riguardanti la sottrazione dei minori alle loro famiglie, si occupa da anni dei minori allontanati dalle famiglie in Emilia Romagna. Ha collaborato con l'autore dell'inchiesta Veleno denunciando pubblicamente le storture di un sistema che ha prestato il fianco all'orrore della Val D'Enza. Dopo anni di silenzio, davanti all'evidenza portata alla luce dall'inchiesta Angeli e Demoni, con l'intenzione dichiarata di affrontare finalmente i punti deboli del sistema degli affidi, la Regione Emilia Romagna ha istituito una commissione di inchiesta sulla vicenda dei bambini rubati. È formata da otto esperti tutti attivi nell'ambito socio sanitario territoriale Servirà a fare chiarezza? «La Regione è referente, ultimo e politico, per i servizi socio sanitari. E dunque in questo caso è nello stesso tempo parte responsabile e parte lesa. I suoi servizi sociali e di salute mentale, presentati sempre come eccellenze a livello nazionale stanno subendo una grave caduta di immagine. L'istituzione della commissione appare più che altro come un espediente, con esperti incaricati di ridimensionare la gravità del caso, utilizzando cognizioni scientifiche, certamente corrette ma parziali per un contesto così drammatico». Quali caratteristiche avrebbe dovuto avere per dare effettive garanzie? «Prima di tutto là neutralità e l'indipendenza di giudizio che in questo caso mancano. Non può essere la Regione a controllare sé stessa». Cosa intende? «Non sono le discipline o le competenze dei professionisti incaricati in discussione, ma la prassi. Di fatto la Regione istituisce un organismo che deve giudicare in merito a fatti che coinvolgono operatori del sistema pubblico, che hanno messo in atto comportamenti gravissimi e lesivi dell'intero sistema assistenziale. E chi viene chiamato a far parte degli esperti? Tra gli altri due responsabili di servizi socio sanitari regionali…». Un controsenso «Sì, come spesso capita, il controllato è il controllore». Dopo le drammatiche vicende di Veleno, l'inchiesta Angeli e Demoni. Cosa accumuna le due realtà? «La ricerca ossessiva dei casi di abuso da parte di operatori che vantano la medesima formazione». Si spieghi meglio. «Per le vicende di Veleno sullo sfondo c'erano le attività di Cismai e il centro Hansel e Gretel sembra il collettore per la Val D'Enza. Con taluni psicologi e operatori operanti in entrambe le situazioni». E anche il tribunale è sempre lo stesso… «Il Tribunale per i Minorenni di Bologna, dove, come accade più o meno ovunque, il giudice si adegua acriticamente alle valutazioni degli operatori sociali che raccolgono le segnalazioni e rinuncia alla sua funzione che consiste nel rendere giustizia». In che senso il giudice rinuncia alla sua funzione? «Il giudice minorile non è un vero giudice: non è terzo imparziale. È in simbiosi con il servizio che segnala e prende in carico il bambino e si ritiene il garante dell'interesse del minore, così come individuato e indicato dal servizio». Significa che alle ipotesi delle assistenti sociali in base alle quali viene disposto l'allontanamento del minore non esiste un contraltare? «Di fatto è così: il giudice minorile non fa attività istruttoria ma recepisce le valutazioni delle assistenti sociali e degli operatori, rendendo gli allontanamenti meccanismi semplicissimi da mettere in atto e difficilissimi da smontare». Eppure i tribunali sono chiamati a disporre verifiche tecniche… «Purtroppo, però, molto spesso il rapporto tra consulenti tecnici e giudici non è del tutto trasparente». In che senso? «Nonostante il lungo elenco di tecnici a disposizione per gli accertamenti vengono designati più o meno sempre gli stessi consulenti, in molti casi persone che hanno costanti contatti con i giudici che li hanno nominati. Un fenomeno ben noto negli ambienti». Lei ha più volte denunciato il business economico favorito da questo sistema. «Da parte di molti osservatori si segnalava il fenomeno, ben prima delle inchieste che lo hanno portato alla luce. I bambini vengono allontanati dalle famiglie, collocati in contesti extra familiari di matrice sia religiosa che laica, le quali percepiscono contributi che variano da ottanta a più di duecento euro al giorno senza, di fatto, limiti temporali». Avete denunciato questa realtà. Con quali risultati? «Purtroppo come sta accadendo anche ora, il sistema fa resistenza e si arrocca e resta impermeabile a ogni critica, anche costruttiva». Alessia Pedrielli <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-pd-continua-a-insabbiare-ma-non-regge-piu-nemmeno-la-scusa-della-buona-fede-2639209995.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="uso-la-tecnica-emdr-so-che-funziona-e-se-e-applicata-male-fa-gravi-danni" data-post-id="2639209995" data-published-at="1766676199" data-use-pagination="False"> Uso la tecnica Emdr, so che funziona E se è applicata male fa gravi danni Sui giornali nell'inchiesta «Angeli e demoni» sulla criminale follia di bambini strappati alle loro famiglie e dati in affidamento o adozione a persone certamente non idonee, per usare un termine eufemistico, si è parlato a torto di elettroshock. A Bibbiano, invece, dichiarano di aver usato invece la tecnica Emdr con l'ausilio di una stimolazione elettronica ottenuta tramite gli apparecchi Emdr prodotti dalla NeuroTek Corporation. In che cosa consiste La tecnica Emdr (dall'inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, cioè Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) è una tecnica psicofisica per la desensibilizzazione dei postumi dei traumi o di esperienze stressanti, basata su una stimolazione bilaterale degli emisferi ottenuta preferenzialmente mediante il movimento orizzontale degli occhi, da cui il nome. Molto raramente è usata l'apparecchiatura NeuroTek, in Italia quasi sconosciuta. L'Emdr nasce sfruttando il movimento orizzontale degli occhi simile a quello del sonno Rem, dall'inglese Rapid Eye Movement. Testimonio, perché la uso, che, se usata correttamente, l'Emdr può avere risultati spettacolari e velocissimi nella risoluzione del disturbo post traumatico da stress, ne ho parlato anche nella trasmissione Diritto e Rovescio su Rete 4, di qualche settimana fa. Durante l'Emdr addirittura si hanno modificazioni dell'elettroencefalogramma, è una cura vera che funziona veramente, come è una cura vera somministrare la digitale ed eseguire un intervento chirurgico, e come ogni cura vera, digitale e intervento chirurgico, se usata male può fare danni. Deve essere usata in maniera rigorosa. Ha risultati spettacolari e veloci proprio perché causa una modificazione del cervello, l'aumento di sinapsi in alcune zone. Durante la stimolazione bilaterale il terapeuta deve restare rigorosamente in silenzio. È una fase di stimolazione cerebrale. Meglio il silenzio Se durante questa fase il terapeuta parla, suggerisce, inventa, può essere semplicemente fastidioso ma potrebbe creare e istillare false memorie. Una terapia e un interrogatorio devono essere fatti sempre con domande neutre e aperte (Cosa è successo? Come ti sei sentito? ), mai con domande che possano suggerire qualcosa (Qualcuno ti ha toccato? Quella persona ti ha fatto male? ) altrimenti c'è il rischio di creare false memorie. Il cervello compiacente, e quello dei bambini un po' lo è, non osa contraddire, non osa dire: «No, non è successo». Protocollo rigoroso L'Emdr deve essere appresa in maniera rigorosa e applicata in maniera altrettanto rigorosa. La dottoressa Isabel Fernandez, presidente della Società Emdr, afferma che gli psicologi della Hansel e Gretel non abbiano mai fatto nemmeno il corso base di Emdr, almeno non in Italia e che non fossero iscritti all'associazione Emdr. Gli psicologi della Onlus Hansel e Gretel sono appunto quelli che si sono occupati dei casi di Bibbiano dopo essere stati implicati nell'atroce caso della Bassa Modenese, dove, a causa di false memorie nei bambini, famiglie sono state smembrate, distrutte, innocenti sono finiti in progione e ci sono state morti per suicidio e infarto. Dopo questo spettacolare successo, già affiorato nelle cronache, la stessa Onlus è stata arruolata a Bibbiano. I disastri Ci sono psicologi bravi che con varie tecniche, tra cui l'Emdr sono riusciti a rendere meno urente il dolore dell'abuso subito, ci sono assistenti sociali molto brave che ricostruiscono famiglie disastrate, o levano vittime vere da sotto carnefici veri. Bibbiano ha danneggiato anche loro. E molto. Silvana De Mari <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-pd-continua-a-insabbiare-ma-non-regge-piu-nemmeno-la-scusa-della-buona-fede-2639209995.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="lucravano-pure-sulle-ore-di-terapia" data-post-id="2639209995" data-published-at="1766676199" data-use-pagination="False"> Lucravano pure sulle ore di terapia Gli psicologi piemontesi del Centro studi Hansel e Gretel, finiti nell'inchiesta «Angeli e demoni» della Procura di Reggio Emilia sui bambini sottratti in modo illegittimo alle loro famiglie, erano stati ingaggiati davvero a prezzo speciale dal Comune di Bibbiano e dall'Unione dei Comuni della Val d'Enza. Secondo quanto si legge nell'ordinanza di custodia cautelare del giudice Luca Ramponi, che alla fine di giugno ha portato agli arresti domiciliari, tra gli altri, l'ideologo e fondatore del Centro, Claudio Foti, e la sua compagna, Nadia Bolognini, ogni seduta di analisi dei bambini garantiva agli psicologi «l'ingiusto profitto di 135 euro l'ora per minore, a fronte dei 60-70 euro medi di mercato, e questo nonostante l'Azienda sanitaria locale potesse usare gratuitamente i propri professionisti». Ma ora emerge anche di peggio. Grazie a un'email del 17 giugno 2016, che è stata acquisita agli atti, si scopre che gli enti locali e gli psicologi avevano concordato che la cifra di 135 euro sarebbe rimasta la stessa anche se la durata dei colloqui con i bambini scendeva a 55, a 50 e perfino a 45 minuti. Dagli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria, però, emerge che, «su 115 sedute monitorate la cui durata avrebbe dovuto essere di almeno 45 minuti», la psicologa Bolognini «ha concluso anticipatamente la sua prestazione in 61 incontri», quindi in oltre il 53% del totale. E malgrado questa autoriduzione ha ovviamente fatturato l'intera seduta. La polizia giudiziaria ha intercettato le sedute degli psicologi, e proprio grazie a questo strumento propone nel suo rapporto calcoli precisi al minuto. «In particolare», si legge, «moltiplicando le 61 sedute in disamina per la durata minima (cioè i 45 minuti, ndr) che la terapeuta avrebbe dovuto svolgere per maturare i 135 euro concordati, si perviene a un totale di 2.745 minuti. Dalla somma delle effettive durate delle prestazioni svolte è emerso che la Bolognini in realtà ha svolto soltanto 2.474 minuti, ossia un 10% in meno rispetto alla prestazione fatturata». Insomma, altro che sedute di un'ora: ogni incontro durava in media non più di 40 minuti. Il tassametro, però, continuava a girare. Conclude la polizia giudiziaria: «Emerge dunque che, a fronte degli 8.235 euro pagati dall'Unione della Val d'Enza alla terapeuta Bolognini (per le 61 sedute in questione, ndr), la stessa ne aveva maturati in realtà il 10% in meno, per un totale di 823 euro, con pari danno per la pubblica amministrazione». Il rapporto aggiunge una valutazione sconfortante: «In nessun caso si rileva una durata delle prestazioni superiore ai 60 minuti concordati al fine di maturare i 135 euro». Per l'apparente furto di minuti, forse, c'è una spiegazione di scuola psicoanalitica. Forse gli psicologi del Centro «Hansel e Gretel» aderiscono alle teorie del francese Jacques Lacan, noto per aver inventato «la seduta senza orario» contrapponendosi alla più rigida tempistica osservata dal padre della psicoanalisi, Sigmund Freud. I critici di Lacan sostengono che il terapeuta a volte entrasse nello studio, gettasse solo un'occhiata il paziente che lo aspettava sul lettino, e dopo un secondo uscisse proclamando: «La seduta è conclusa». Per questo, i censori più radicali bollano Lacan come imbroglione. Probabilmente esagerano. Ma se un processo dimostrerà che i risultati per i bambini di Bibbiano sono stati davvero quelli descritti dalla Procura di Reggio, forse sarebbe stato meglio se gli psicologi di «Hansel e Gretel» avessero fatto altrettanto. Maurizio Tortorella
In alto a sinistra una «Rettungsboje» tedesca. Sotto, la boa Asr-10 inglese e i rispettivi esplosi
Nei mesi della Battaglia di Inghilterra, iniziata nel luglio 1940 dopo la rapida caduta della Francia, la guerra aerea fu l’essenza della strategia da entrambe le parti. La Luftwaffe, con i suoi 2.500 velivoli in condizioni operative, superò inizialmente la Royal Air Force, che in quel periodo iniziò un enorme sforzo industriale per cercare di ridurre il «gap» numerico e tecnologico (nacquero in quel periodo i fortissimi caccia Hawker «Hurricane» e Supermarine «Spitfire» che saranno decisivi per l’esito finale della battaglia). Se le fabbriche sfornavano centinaia di velivoli al mese (i tedeschi con i Messerschmitt Bf 109, gli Heinkel 111 e i Dornier Do17), i comandi delle due aviazioni non potevano formare altrettanti piloti in così poco tempo, rendendo la figura dell’aviatore un bene preziosissimo da preservare il più possibile viste le ingenti perdite in battaglia. Un aspetto così delicato in un momento così drammatico per l’esito della guerra fu affrontato per primo dagli alti comandi della Luftwaffe. La necessità era quella di salvare il più alto numero di equipaggi in un teatro di operazioni principalmente localizzato nello specchio di mare della Manica, sopra il quale nel picco dei combattimenti dell’agosto 1940 volavano quotidianamente oltre 1.500 aerei.
La soluzione per il salvataggio degli aviatori in caso di ammaraggio con sopravvissuti venne da un ex asso della Grande Guerra, il generale di squadra aerea Ernst Udet. L’ufficiale, secondo solamente al «Barone Rosso» Manfred von Richtofen per numero di abbattimenti, era stato da poco nominato responsabile per la logistica e gli appalti della forza aerea del Terzo Reich. Fu nel picco delle operazioni dell’estate 1940 che Udet sviluppò la sua idea: una boa «abitabile», posizionata nei tratti di mare statisticamente più soggetti agli ammaraggi e ancorata al fondale. I piloti potevano leggerne la posizione sulle carte aeronautiche in dotazione. Di forma esagonale, la «Rettungsboje» (letteralmente boa di soccorso) aveva una superficie abitabile di 4 metri quadrati. Lo scafo aveva un’altezza di 2.5 metri ed era sovrastato da una torretta finestrata di ulteriori 1,8 metri. Verniciata in giallo, presentava una visibile croce rossa (standard della Convenzione di Ginevra) sui lati della torretta. All’interno dello scafo potevano trovare alloggio sicuro quattro aviatori, con due cuccette a castello ancorate alla struttura per rimanere stabili nel mare agitato. Riscaldata da una stufa ad alcool, la boa offriva razioni d’emergenza e acqua ma anche cognac, sigarette e carte da gioco. Negli armadi erano presenti il kit di primo soccorso ed abiti asciutti, mentre le comunicazioni erano fornite da una radio ricetrasmittente. All’interno c’erano anche una pompa per eventuali falle e un canotto per raggiungere i soccorsi una volta giunti nei pressi della boa. Completavano l’equipaggiamento razzi di segnalazione e una macchina per i fumogeni di emergenza. Il personale ospitato dalle boe poteva resistere protetto dall’ipotermia e dai marosi anche per una settimana nell’attesa che un idrovolante di soccorso o una nave li raggiungesse.
Circa 50 furono le «Rettungsbuoje» dislocate nella Manica, contribuendo al salvataggio di un numero imprecisato di aviatori. Gli inglesi realizzarono un mezzo simile nello stesso periodo, seppure molto differente nella forma. La boa ASR-10 (Air Sea Rescue Float) assomigliava molto ad un motoscafo, seppur priva di propulsore. Era studiata per facilitare l’accesso da parte dei naufraghi in balia delle onde, con la poppa digradante verso l’acqua. L’equipaggiamento era molto simile a quello della boa tedesca. Dipinta in rosso e arancio vivaci, fu realizzata in 16 esemplari ancorati nel braccio di mare tra Inghilterra e Francia tra il 1940 ed il 1941. Oggi un esemplare è conservato presso lo Scottish Maritime Museum.
Le boe tedesche, dopo la fine della Battaglia di Inghilterra, furono spostate presso le Channel Islands, il piccolo arcipelago occupato temporaneamente dai tedeschi e utilizzate come punti di vedetta o di difesa dopo essere state munite di una mitragliatrice. A causa della loro vulnerabilità furono quasi tutte affondate dagli aerei della Raf. Un esemplare recuperato nel 2020 dopo essere rimasto per decenni arenato e insabbiato a Terschelling nelle isole Frisone occidentali è conservato al «Bunkermuseum» dell’isola olandese.
Ernst Udet, dopo l’esito infausto della Battaglia d’Inghilterra per la Luftwaffe, già in preda all’alcolismo cadde in depressione. Si tolse la vita a Berlino il 17 novembre 1941, forse anche per le conseguenze della pressione psicologica che Hermann Göring esercitò sull’ufficiale dell’aeronautica addossandogli la responsabilità della sconfitta.
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Stanno comparendo in diverse città italiane, graditi soprattutto alle giunte di centro sinistra e in particolare ai fanatici delle zone con limitazione di traffico a 30kmh. Basta una nottata e grazie a una serie di tasselli inseriti nell’asfalto l’installazione è fatta. Tutto bello? Non proprio: a ben guardare la normativa riguardante tale soluzione è Incompleta, poiché In Italia non sono previsti nel dettaglio dal Codice della Strada e questo rende la loro adozione più complicata sul pano della burocrazia. In pratica, per ora la loro installazione avviene solo tramite sperimentazione autorizzata dal Ministero dei Trasporti. Ci sono poi alcune questioni tecniche: andrebbero installati soltanto sulle strade con bassa densità di traffico e, appunto, laddove il limite è già 30 km/h, e questo giocoforza li rende una soluzione praticabile soltanto in alcune zone. Inoltre, i cuscini berlinesi devono essere posizionati a una distanza tale da curve e incroci per permettere ai veicoli più grandi di potersi raddrizzare completamente dopo aver effettuato la svolta prima di valicarli. Il peggio però è altro: se chi è distratto da aver superato di poco il limite, finendoci sopra rischia di danneggiare la vettura e ciò accadrà ancora di più se essa è poco rialzata da terra. Ma se la distrazione o le condizioni psicofisiche del conducente sono alterate al punto che egli non si sta rendendo conto della sua velocità, e questa è elevata, egli può facilmente perdere il controllo, ad andare bene finendo per sbattere contro altri mezzi, peggio finendo per travolgere delle persone. E non mancano neppure i problemi di manutenzione, poiché nel tempo si usurano a causa delle pressioni ma anche dell’irraggiamento solare e degli sbalzi di temperatura. Laddove sono stati applicati in modo diffuso è in Francia e nel Regno Unito, nazioni che ne hanno definito le specifiche riprendendo a loro volta quelle tedesche. Il Dipartimento per i trasporti del Regno Unito già nel 1984 aveva fissato la pendenza massima degli elementi al 12,5% per le rampe longitudinali di ingresso e di uscita dai cuscini, ed il rapporto del 25% per le rampe trasversali laterali. Stando a quanto si trova online, la Francia prevede rampe longitudinali con pendenze molto più elevate: le rampe devono essere lunghe 20 cm per cuscini alti 5 cm (con una pendenza del 25%), 25 cm per cuscini alti 7 cm (con una pendenza del 28%). Rampe così ripide devono essere adottate con cautela: indagini condotte dal Dipartimento dei trasporti britannico hanno mostrato che, con rampe longitudinali dalla pendenza maggiore del 17%, i veicoli rischiavano di toccare il con il fondo riportando seri danni: dalla distruzione dell’impianto di scarico fino alla rottura della coppa dell’olio con annesso sversamento del fluido e inquinamento. Di conseguenza essi devono essere particolarmente ben segnalati – tipicamente con verniciature gialle – ma anche tale caratteristica tende ovviamente a degradarsi con il tempo. E stante il livello di manutenzione delle nostre strade è facile prevedere che dovremo confidare nell’attenzione di chi guida e nell’illuminazione pubblica. Una delle questioni è anche come gli automobilisti reagiscono quando si accorgono in ritardo della loro presenza: frenate improvvise e repentine deviazioni di traiettoria sono all’ordine del giorno. Stando ai dati raccolti dalle municipalità che in Europa li stanno utilizzando da tempo la velocità media di superamento dei cuscini berlinesi di è di poco superiore ai 22 km/h per larghezze di 1,9 metri, mentre sale a 30 km/h per quelli più stretti, che quindi provocano nei conducenti meno apprensione per l’impatto sotto gli pneumatici. E di conseguenza illudono che l’effetto di un attraversamento accelerato sia inferiore. Invece il botto è garantito. Pur sapendo che taluni lettori non saranno d’accordo, chi scrive pensa che la sicurezza (stradale in primis), nasca dalla cultura della consapevolezza e non dalle costrizioni. E che più una strada è sgombra, più ridotto è il rischio di fare incidenti.
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Giovanni Malagò (Getty Images)
Adesso si trova in Campania, dopo esser passata tra Lazio, Umbria Toscana, Sardegna, Sicilia e Calabria. Molte regioni verranno ripercorse di nuovo, in lungo e in largo. Il 26 gennaio tornerà invece, dopo 70 anni esatti dalla Cerimonia d’Apertura dei Giochi, a Cortina d’Ampezzo e concluderà il suo tragitto a Milano facendo il suo ingresso allo Stadio di San Siro, la sera di venerdì 6 febbraio 2026. 10.000 tedofori la stanno conducendo tra volti noti e persone comuni. I primi volti noti dello spettacolo e dello sport sono il cantante Achille Lauro, Flavia Pennetta, icona del nostro tennis, vincitrice degli US Open 2015 e di 4 Billie Jean King Cup e Francesco Bagnaia, due volte campione del mondo di MotoGP e una in Moto2. Tantissimi altri ancora e altri ce ne saranno. Anche perché la storia del Viaggio della Fiamma è piena di leggende, come Muhammad Alì ad Atlanta 1996, Cathy Freeman a Sydney 2000 e poi ancora la fondista Stefania Belmondo, ultima tedofora di Torino 2006 vent’anni fa nell’ultima edizione invernale italiana, dopo le frazioni di altri campioni olimpici azzurri come Alberto Tomba, Manuela Di Centa, Silvio Fauner e Deborah Compagnoni (nella foto di copertina). Quattro anni prima, invece, l’intera squadra statunitense di hockey maschile del “Miracolo sul ghiaccio” di Lake Placid 1980 che accese il braciere di Salt Lake City 2002 tra la commozione del pubblico statunitense.
La fiamma olimpica nasce con le prime olimpiadi nell'antica Grecia, dove il fuoco sacro ardeva in onore degli dèi durante i Giochi originali. La tradizione moderna è stata reintrodotta con l'accensione del braciere ai Giochi Olimpici di Amsterdam nel 1928 e la prima staffetta della torcia a Berlino nel 1936. Le torce di #MilanoCortina2026 sono un omaggio al design italiano con uno stile che mette al centro la fiamma. Eleganti. Iconiche. Sostenibili. Si chiamano Essential e portano con sé lo spirito dei Giochi che verranno.
La fiamma paralimpica partirà invece il 24 febbraio 2026 e si concluderà il 6 marzo 2026, giorno della cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici all’Arena di Verona. Sfilerà nelle mani di 501 tedofori per 2.000 chilometri in 11 giorni. “La fiamma paralimpica verrà accesa il 24 febbraio a Stoke Mandeville in Inghilterra, storico luogo di nascita dello sport Paralitico - dichiara Maria Laura Iascone, Ceremonies Director di Fondazione Milano Cortina 2026 -. L’arrivo in Italia coinciderà con l’inizio di un viaggio che focalizzerà l’attenzione e l’entusiasmo verso le Paralimpiadi, amplificandone i messaggi di rispetto e inclusività, e generando un volano di entusiasmo, attesa e partecipazione intorno agli atleti paralimpici”. Dopo l'accensione nel Regno Unito, la fiamma paralimpica animerà 5 Flame Festival dal 24 febbraio al 2 marzo a Milano, Torino, Bolzano, Trento e Trieste, con la cerimonia di unione delle Fiamme il 3 marzo a Cortina d’Ampezzo. Dal 4 marzo, la fiamma raggiungerà Venezia e Padova, per fare il suo ingresso il 6 marzo all’Arena di Verona per la cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici.
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Tra Natale ed Epifania il turismo italiano supera i 7 miliardi di euro di giro d’affari. Crescono presenze, viaggi interni ed esperienze artigianali, con città d’arte e montagne in testa alle preferenze.
Le settimane comprese tra il Natale e l’Epifania si confermano uno dei momenti più redditizi dell’anno per il turismo italiano. Secondo le stime di Cna Turismo e Commercio, il giro d’affari generato tra feste, fine anno e Befana supera i 7 miliardi di euro. Un risultato che non fotografa soltanto l’andamento economico del settore, ma racconta anche un’evoluzione nelle scelte e nelle aspettative dei viaggiatori.
Nel periodo festivo sono attesi oltre 5 milioni di turisti che trascorreranno almeno una notte in una struttura ricettiva: circa 3,7 milioni sono italiani, mentre 1,3 milioni arrivano dall’estero. A questi si aggiunge una platea ben più ampia di persone in movimento: oltre 20 milioni di individui si sposteranno per escursioni giornaliere, soggiorni nelle seconde case o visite a parenti e amici.
Per quanto riguarda i flussi internazionali, la componente europea resta prevalente, con arrivi soprattutto da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Fuori dal continente, si segnalano presenze significative da Stati Uniti, Canada e Cina. Le preferenze delle destinazioni confermano una tendenza ormai consolidata. In cima alle scelte ci sono le città e i borghi d’arte, seguiti dalle località di montagna. Due modi diversi di vivere le vacanze natalizie: da un lato l’attrazione per il patrimonio culturale, i mercatini e le atmosfere urbane illuminate dalle feste; dall’altro la ricerca della neve, degli sport invernali e di un contatto più diretto con l’ambiente naturale.
Alla base di questo successo concorrono diversi fattori. L’Italia continua a esercitare un forte richiamo quando si parla di tradizioni natalizie: dai presepi, in particolare quelli napoletani, ai mercatini dell’arco alpino, passando per i centri storici addobbati e le celebrazioni religiose che trovano a Roma uno dei loro punti centrali. Un insieme di elementi che costruisce un’offerta culturale difficilmente replicabile. Proprio la dimensione religiosa e identitaria del Natale italiano rappresenta un elemento di attrazione per molti visitatori nordamericani e per i turisti provenienti da Paesi di tradizione cattolica, spesso alla ricerca di un’esperienza percepita come più autentica rispetto a celebrazioni considerate eccessivamente commerciali. A questo si aggiunge la varietà climatica del Paese: temperature più miti al Sud e nelle isole per chi vuole evitare il freddo, condizioni ideali sulle Alpi per gli amanti dello sci e della montagna. Un segnale particolarmente rilevante arriva dalla crescita delle cosiddette esperienze, soprattutto quelle legate all’artigianato. Sempre più viaggiatori scelgono di affiancare alla visita dei luoghi la partecipazione diretta ad attività tradizionali: dalla preparazione della pasta fresca alle lavorazioni del vetro di Murano, fino alla ceramica umbra e toscana. È un approccio che indica un cambiamento nel modo di viaggiare, meno orientato alla semplice osservazione e più alla partecipazione.
Questo interesse incrocia diverse tendenze attuali: il bisogno di autenticità in un contesto sempre più standardizzato, la volontà di riportare a casa un’esperienza che vada oltre il souvenir e l’attenzione verso il “saper fare” italiano, riconosciuto come patrimonio immateriale di valore internazionale.
Sul piano economico incidono anche fattori più generali. La ripresa del potere d’acquisto delle classi medie in Europa e negli Stati Uniti, dopo anni di incertezza, ha sostenuto la propensione alla spesa per le vacanze. Il rafforzamento del dollaro favorisce i turisti statunitensi, mentre la fase di stabilizzazione successiva alla pandemia ha contribuito a ricostruire la fiducia nei viaggi. Il periodo natalizio rappresenta inoltre uno degli esempi più riusciti di destagionalizzazione, obiettivo perseguito da tempo dagli operatori del settore. Le strutture ricettive registrano livelli di occupazione elevati in settimane che in passato erano considerate marginali. Anche i collegamenti giocano un ruolo chiave: l’espansione dei voli low cost e il miglioramento dell’offerta ferroviaria rendono più accessibili non solo le grandi città, ma anche destinazioni meno centrali, favorendo una distribuzione più ampia dei flussi.
Accanto ai dati positivi emergono però alcune criticità. La concentrazione dei visitatori rischia di mettere sotto pressione alcune mete, mentre altre restano ai margini. Il turismo di prossimità, rappresentato dai milioni di italiani che si spostano senza pernottare in alberghi o strutture ricettive, costituisce un bacino ancora parzialmente inesplorato. Allo stesso tempo, la crescente domanda di esperienze personalizzate richiede investimenti in formazione e una maggiore integrazione tra operatori locali.
Le festività di fine anno restano comunque un motore fondamentale per l’economia del turismo, in grado di coinvolgere l’intera filiera: ristorazione, artigianato, trasporti e offerta culturale. Un patrimonio che, per continuare a produrre risultati nel tempo, richiede una strategia capace di innovare senza snaturare quell’autenticità che rappresenta il vero punto di forza del sistema italiano.
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