
Il fiorentino conta su 14 senatori e 26 deputati. Tra di loro c'è la trentina Donatella Conzatti, che dice addio a Fi e avvisa: «Molti altri a disagio». Il pd Tommaso Cerno tira il bidone all'ultimo. Gruppo alla Camera possibile con Maria Elena Boschi capo.La scissione di Matteo Renzi scatena il caos nel Pd, provoca preoccupazione nel M5s, mentre il premier Giuseppe Conte fa bene, anzi benissimo, a non stare sereno. La giornata di ieri è stata caratterizzata dalla assoluta confusione in cui è precipitato il Partito democratico, confusione aggravata dal fatto che nessuno riesce a prevedere quali saranno le prossime mosse dell'ex Rottamatore. L'obiettivo di convincere «una quarantina» di parlamentari ad aderire a Italia viva è raggiunto, grazie anche all'aiutino di Donatella Conzatti, senatrice di Forza Italia trentina, ex Scelta Civica, che ha ufficializzato l'addio ai berluscones: «Ho deciso», ha detto ieri la Conzatti, che già non aveva partecipato al voto di fiducia al governo, «di accettare l'invito che mi ha rivolto Matteo Renzi di partecipare sin dal principio, senza attese e tatticismi, alla fondazione di Italia viva». E poi ha aggiunto sibillina: «Altri colleghi sono a disagio». Pensare che Silvio Berlusconi da Strasburgo aveva assicurato: «Nessuno lascerà Forza Italia». Ieri pomeriggio erano 14 (Renzi incluso) i senatori passati con Italia Viva: Donatella Conzatti, Teresa Bellanova, Francesco Bonifazi, Eugenio Comincini, Leonardo Grimani, Giuseppe Cucca, Davide Faraone, Nadia Ginetti, Ernesto Magorno, Laura Garavini, Valeria Sudano, Mauro Maria Marino e Daniela Sbrollini. Gli scissionisti non potranno formare un gruppo autonomo, ma dovranno confluire nel misto, poiché Italia viva non si è presentata alle elezioni politiche del marzo 2018: servirebbe una deroga da parte del presidente di Palazzo Madama, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ed è in corso un dialogo con l'unico senatore del Partito Socialista Italiano, Riccardo Nencini, per verificare se ci sono i presupposti per una convergenza dei renziani, in modo tale da poter formare un gruppo unico.Alla Camera, invece, siamo a quota 26, cosa che consente la creazione di un gruppo: Lucia Annibali, Michele Anzaldi, Maria Elena Boschi(quasi certo capogruppo), Nicola Carè, Matteo Colaninno, Camillo D'Alessandro, Vito De Filippo, Mauro Del Barba, Marco Di Maio, Cosimo Ferri (inseguito dallo scandalo del Csm), Silvia Fregolent, Maria Chiara Gadda, Roberto Giachetti, Gianfranco Librandi, Luigi Marattin, Gennaro Migliore, Mattia Mor, Sara Moretto, Luciano Nobili, Lisa Noja, Raffaella Paita, Fabio Portas, Ettore Rosato, Ivan Scalfarotto, Gabriele Toccafondi e Massimo Ungaro. Ieri Renzi ha dovuto registrare un inaspettato «no grazie», quello del senatore Tommaso Cerno, che ha ufficializzato attraverso una nota la sua permanenza nel Pd. Un altro segnale dello sbandamento che pervade sia i Dem che i «vivaisti», come un buontempone ha già ribattezzato i seguaci di Renzi.Sbandamento: è questo il termine utilizzato dalle fonti che la Verità ha interpellato per comprendere le reazioni al colpo di scena di Renzi. I più furibondi sono proprio i renziani doc, anzi ex, come Luca Lotti e Lorenzo Guerini, che avevano cercato di evitare fino all'ultimo istante la scissione. La convinzione diffusa tra gli ex fedelissimi di Renzi è che la sua manovra sia stata dettata più dall'istinto che da una logica politica. I più smaliziati tra i parlamentari del Pd pensano che l'unico obiettivo di Matteo sia riconquistare una visibilità come leader di qualcosa, di qualunque cosa. Una operazione puramente mediatica, televisiva, in vista della prossima tornata elettorale politica. «Nel momento in cui», ha detto ieri Renzi, «prendiamo l'impegno di garantire che la legislatura arrivi almeno fino all'elezione del presidente della Repubblica, nel 2022, noi non faremo quelli che fanno il controcanto quotidiano». Una frase che ha fatto tremare giustamente le vene ai polsi al premier Conte. Renzi non parla della durata del governo, ma di quella della legislatura, non escludendo quindi che l'esecutivo Pd-M5s-Leu-Italia viva possa naufragare nel medio periodo, più o meno nella prossima primavera. Non solo: Renzi, che fu l'artefice dell'elezione al Quirinale di Sergio Mattarella, nel 2015, rompendo il patto del Nazareno con Silvio Berlusconi, avvisa tutti di voler essere protagonista della partita che si giocherà intorno al successore di Mattarella (o alla sua eventuale riconferma).Anche nel M5s c'è tensione. Renzi viene giudicato inaffidabile, politicamente schizofrenico, e quindi aumentano ora dopo ora i timori sulla tenuta del governo. «Che succederà», si chiede un esponente grillino di primo piano, «sulla finanziaria? Renzi alzerà la posta con proposte per noi irricevibili?». «Bisogna riconoscere», ha detto il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, a Rai Radio 1, «una semplice verità: se si vuole fermare Salvini c'è bisogno di un grande Pd, baricentro di un'alleanza più larga. Ho cercato di tutto per fare un partito inclusivo e se davvero stiamo lavorando per allargare il campo bisogna scommettere sul rinnovamento, ma non si combatte Salvini con le cerbottane».Quello che è certo è che Renzi ha messo nel mirino Forza Italia e i suoi gruppi parlamentari. Per adesso, l'iniziativa di Mara Carfagna, che ha riunito una cinquantina di parlamentari azzurri che non digeriscono il modello di centrodestra a trazione sovranista capitanato da Matteo Salvini, sta fungendo da camera di compensazione dei malumori interni, evitando quindi che la calamita centrista di Renzi possa attrarre deputati e senatori berlusconiani. È evidente che le elezioni regionali in Emilia Romagna saranno il crocevia della politica italiana. Se la il centrodestra a trazione leghista vincerà, il governo Conte andrà in enorme difficoltà, soprattutto se anche alle regionali Pd e M5s saranno alleati. Se invece dovesse vincere la sinistra, allora a deflagrare sarà il centrodestra, ed è preventivabile una fuga di massa di eletti ed elettori di Forza Italia verso Renzi.
Dario Fabbri (Ansa)
L’esperto Dario Fabbri: «Se l’Ucraina in futuro cambiasse regime, diventerebbe un cavallo di Troia dei russi. La corruzione? A quelle latitudini è normale. Putin ha ottenuto solo vittorie tattiche, adesso gli serve la caduta di Zelensky».
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 17 novembre con Flaminia Camilletti
Benjamin Netanyahu (Ansa)
Colpi sulle forze Onu in Libano. Gerusalemme: «Abbiamo confuso i soldati per sospetti a causa del maltempo». E l’esercito avverte: «Se necessario operazioni a Gaza».
Ennesimo attacco alle stazioni Unifil in Libano da parte dell’Idf, ennesimo rimpallo di responsabilità. «Le forze israeliane (Idf) hanno aperto il fuoco contro peacekeeper di Unifil da un tank Merkava nei pressi di una postazione allestita da Israele in territorio libanese» ha denunciato Unifil ieri mattina, precisando che «i colpi sono arrivati a circa cinque metri dai peacekeeper, che erano a piedi» e sono stati costretti a mettersi al riparo. «I caschi blu hanno chiesto alle Idf di cessare il fuoco tramite i canali di collegamento di Unifil. Sono riusciti ad allontanarsi in sicurezza circa trenta minuti dopo, quando il carro armato Merkava si è ritirato all'interno della postazione delle Idf. Fortunatamente nessuno è rimasto ferito». Poco dopo l’Idf si è difeso chiarendo di non aver «sparato deliberatamente» contro le forze di pace delle Nazioni Unite in Libano. Hanno affermato di aver scambiato i soldati per «sospetti» a causa «delle cattive condizioni meteorologiche».
Un volo breve, un dirottatore Naif e un mistero ancora irrisolto. Ecco la storia del terrorista a bordo di Northwest 305.






