2022-01-14
«Il Parlamento cede sovranità a un presidente sempre più forte»
Lo storico: «La cosiddetta costituzione materiale ha visto uno spostamento netto del baricentro in favore del Quirinale rispetto a Chigi. E lo sbandamento delle forze politiche va incontro a un partito unico articolato».Luciano Canfora, uno fra gli storici più celebri e autorevoli d’Italia, ha appena pubblicato un nuovo libro dai contenuti ardenti. S’intitola La democrazia dei Signori (Laterza), e suggerisce numerose riflessioni sul nostro sistema politico.Professore, lei scrive che «da oltre trent’anni» l’Italia vede attuarsi «soluzioni irregolari» alle crisi politiche, e fa riferimento ai casi di Ciampi, Monti e Draghi. Che cosa c’è di irregolare e perché accade tutto ciò?«Per rispondere adeguatamente servirebbe un breve corso di storia contemporanea italiana. Mettiamola così: è chiaro che l’ordinamento previsto dalla Costituzione, checché se ne dica, è incardinato sul principio della rappresentanza parlamentare e della preminenza del legislativo sull’esecutivo. Questo è l’Abc della Costituzione, e si spiega facilmente perché sia stata scritta in quel modo: era una reazione alle varie fasi della storia del fascismo, che hanno avuto come filo conduttore il potenziamento dell’esecutivo. Mussolini non per nulla usava spesso la formula “capo del governo”: alludeva alla forza che s’intendeva dare al ruolo, non solo rispetto al Parlamento addomesticato, ma pure rispetto al re. Insomma, col fascismo prevaleva l’esecutivo, mentre l’ordinamento attuale vorrebbe la prevalenza del legislativo».La realtà appare diversa.«Nella nostra vicenda recente, per ragioni varie il processo è stato di segno contrario rispetto a ciò che prevede la Carta. Abbiamo avuto figure di presidenti della Repubblica molto forti già a partire da Sandro Pertini. Poi è arrivato Francesco Cossiga, il quale negli ultimi tempi sembrava mostrare la volontà di ridiscutere l’ordinamento italiano».Cioè, la prevalenza del legislativo è andata perdendosi.«Hanno giocato un ruolo la crisi economica e politica, i partiti sempre più fragili, la centralità dell’ordinamento europeo rispetto a quelli nazionali, la volontà degli organismi europei di pilotare le vicende dei Paesi considerati deboli… Ricordo i tempi di Mario Monti: Alan Friedman parlò addirittura di colpo di Stato. Ecco, quello fu un evidente caso in cui un potere molto più forte - gli organismi direttivi europei - dettava la linea a cui obbedire attraverso il capo dello Stato. È avvenuto allora e direi che sia avvenuto anche all’inizio del 2021. In questi trent’anni de facto la cosiddetta costituzione materiale ha visto uno spostamento netto del baricentro verso il Quirinale rispetto alla presidenza del Consiglio».Leggendo il suo libro sembra di intuire che il governo Draghi-Mattarella sia in qualche modo il più irregolare di tutti.«Sì, forse sì. Anche perché c’è stato un forte sbandamento dei partiti politici. Mi ricordo che l’attuale ministro Orlando ebbe a dire qualcosa come “Draghi mai e poi mai”. Idem i 5 stelle, i quali sembrava dovessero fare barricate contro Draghi, poi invece gli hanno votato la fiducia, lo hanno sorretto e hanno dovuto ingurgitare una serie di rospi. Anche la Lega sembrava lontana anni luce da Draghi ma poi… Insomma, all’interventismo del presidente della Repubblica si è aggiunto lo sbandamento dei partiti e questo ha reso tutto ancora più clamoroso».Lei sostiene che questo governo potrebbe costituire un tornante nella storia politica italiana. Perché?«Gli storici hanno il difetto di fare previsioni che vengono poi smentite. A me pare che d’ora in poi sia destinato a cambiare come dire… lo stile. Si tenteranno combinazioni politiche le più acrobatiche. È proprio un cambio di passo, non oso dire irreversibile ma di sicuro molto profondo. Poi, certo, restano delle incognite, a partire dall’esito della partita del Quirinale».Se Draghi dovesse salire al Colle, di che segnale si tratterebbe?«Alla luce del fatto che la Costituzione materiale dà sempre più forza al presidente della Repubblica, indicherebbe una notevole presa sul funzionamento della politica da parte di Draghi. Proviamo a immaginare uno scenario possibile. Draghi va al Quirinale. Dopo un certo tempo si vota, e mettiamo che prevalga il centrodestra. Inevitabilmente si creerebbe una contrapposizione: quella fra la linea bruxellense che Draghi incarna (e questo potrebbe anche essere un bene qualora dovesse riuscire a rompere la gabbia d’acciaio in cui ci troviamo) e un governo che in teoria non dovrebbe essere disposto a fare da mero esecutore delle indicazioni arrivate dall’alto».Questa eventuale contrapposizione che cosa comporterebbe?«Nell’ordinamento tradizionale, il presidente della Repubblica è una figura di garanzia, la politica si fa nel Parlamento il quale esprime il governo. Parliamo di uno scenario molto diverso».Le sembra possibile un Mattarella bis?«C’è il precedente di Napolitano che pesa parecchio. Temo che questa sia per Mattarella un’angoscia, non certo per ragioni di salute, ma per altri motivi. Dopo aver operato a inizio 2021 la forzatura di cui abbiamo detto, potrebbe correre il rischio di andare incontro a una delusione fortissima: che si faccia il suo nome ma che non venga rieletto. Sarebbe una umiliazione tremenda. Credo che sia una delle ragioni per cui è così rigido nel dire no». Nel quadro che abbiamo disegnato il Parlamento che fine fa? Appare svuotato…«È una tendenza che va avanti da un pezzo. Una delle cause del fenomeno è il fatto che molta della legislazione proviene dall’esterno. Quante direttive europee vanno direttamente alle Regioni? Molte. Quindi la cessione di sovranità determina inevitabilmente l’appassire dell’istituto parlamentare».Soffrono anche i partiti. Andiamo verso una sorta di «partito unico del presidente» diviso in fazioni?«Un partito unico del presidente diviso in partiti… Sembra un paradosso, ma ho già utilizzato la formula del partito unico articolato, che può non essere felicissima ma significa che i vertici dei partiti politici sono tra loro molto meno lontani di quanto non siano le rispettive basi. Nella storia succede sempre così, in realtà. Siccome i vertici non sono lontani e sono questi vertici a decidere, e inoltre i partiti sono diventati un po’ esangui, la vicinanza di forze che sembravano lontanissime è all’ordine del giorno. E credo sarà così anche in futuro. Come sempre rischio di essere smentito, e c’è ancora l’incognita del Quirinale e del risultato delle future politiche. Se il centrodestra dovesse vincere e avesse voti sufficienti, non avrebbe alcun bisogno di imbarcare il Pd. Ma se invece non avesse consensi sufficienti, allora entrerà in campo il partito unico articolato, con tutto ciò che ne consegue, ad esempio tagliare gli estremi e così via. Nel frattempo, l’elettorato si restringe e l’astensionismo aumenta, e a me sembra un segnale preoccupante».Questa «democrazia dei signori», così lei la definisce, nasce in ultima analisi dal disprezzo verso il popolo?«Sì, quel disprezzo c’è. Dopo averci molto riflettuto, ho messo all’inizio del libro pagine polemiche contro l’uso e l’abuso del termine populismo, che io aborro. È una parola usata poco scientificamente, prescindendo dalla storia del termine. Si parla di populismo per dire - riducendo all’osso la questione - che assecondare il popolo non va bene. Solo che questo concetto non si può dire in maniera esplicita. Quindi parlare di populismo è fare un uso improprio di una parola nobile per esprimere un’idea non nobile. E cioè che il volgo non abbia la maturità necessaria».Lei non utilizza toni molto dolci nei confronti dei giornalisti. Hanno incensato troppo il presidente del Consiglio?«L’autocensura, certi articoli di fondo che sono in sostanza una sorta di coro, addirittura il servilismo personale… Le racconto questo. Un amico che vive in America mi ha fatto notare che il New York Times è sempre stato devoto a Obama. Poi è venuto fuori che l’uso dei droni autorizzato da Obama ha provocato un’infinità di vittime innocenti, e da allora il New York Times martella su questo tema. Ecco, credo che questo sia un giornale che fa il suo mestiere. Il compito della stampa è di essere critica: meglio un eccesso di critica che un eccesso di servilismo».In questi tempi di «mobilitazione totale», i critici sono stati trattati da traditori.«Credo fosse vero fino a due o tre mesi fa, ora sta un po’ scemando. In particolare da quando Draghi ha fatto il passo falso della scoperta autocandidatura, poi in parte ritirata. I giornali hanno pensato che forse, dopo tutto, non era poi l’uomo forte e irresistibile che credevano. Prima chi dissentiva era un nemico. Adesso rinascono gli spiriti critici… Non è un bello spettacolo».
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