2019-08-14
Programma e facce (di bronzo)
del governo senza vergogna
Le nozze grillopiddine aprirebbero ad adozioni gay e eutanasia. Poi sì allo ius soli e salasso sulla casa per la manovra in deficit. Nell'esecutivo horror si salva Giovanni Tria. Dentro Roberto Fico, Roberto Giachetti e Marco Minniti. Per i veti incrociati, nessun big Pd e M5s. Il Colle chiederebbe garanzie per Enzo Moavero Milanesi. Lo speciale comprende due articoli. La mossa di Matteo Salvini mira a spiazzare i 5 stelle. Votiamo il taglio dei parlamentari subito, la prossima settimana, e poi tutti a casa e a votare. Il 22 è già stata fissata la seduta, che da un lato allungherà i tempi e dall'altro - agli occhi della Lega - porterebbe alla prima spaccatura nel partito dell'inciucio. Tra le fila del Pd diviso solo Matteo Renzi, invertita all'improvviso la rotta, si è detto favorevole. Il resto del partito non ne vuole sapere. Da ultima, l'ha ribadito l'ex ministro della Difesa, Roberta Pinotti. Ma ad oggi le possibilità che l'entrata a gamba tesa della Lega riesca nel suo intento non sono tantissime. E sullo sfondo resta un governo di scopo o «istituzionale», come l'ha chiamato il senatore semplice di Scandicci. Un mega inciucio che, se mai dovesse superare le diversità di vedute sul taglio dei parlamentari e sull'avvio della Tav, potrà dare il via a un programma di governo orrorifico. Qualcosa che solo a pensarci fa venire la pelle d'oca, perché unirà l'atteggiamento anti impresa tipico dei 5 stelle, con la visione socialdemocratica e filo gender del Pd a cui si aggiunge un collante europeista di matrice quirinalizia. I punti in comune diventerebbero una leva per il pronto smantellamento del decreto Sicurezza e l'avvio dell'iter di legge per lo ius soli. Tutte e due le anime del Pd l'hanno sempre appoggiato, e una volta messo da parte Luigi Di Maio, avrebbe la meglio Roberto Fico che più volte ha spiegato di essere favorevole all'estensione della cittadinanza senza se e senza ma. D'altronde pure Beppe Grillo a momenti alterni ha speso parole positive per il progetto che farebbe la gioia di politici come Laura Boldrini ed Emma Bonino. Prima ancora di tale misura choc, l'alleanza Pd-5 stelle già a settembre potrebbe calendarizzare la legge sull'eutanasia. Lo scorso 31 luglio la commissione Giustizia e affari sociali aveva stoppato l'iter, lasciando comunque scoperto il fianco a una eventuale sentenza della Corte costituzionale che entro ottobre si dovrà pronunciare a seguito delle pendenze penali di Marco Cappato. Non è difficile immaginare gli effetti del combinato disposto dell'eco del caso Dj Fabo e di una maggioranza pro eutanasia. Così come non è difficile immaginare la gioia di Monica Cirinnà, che potrà mettere nel cestino il decreto Pillon e portare avanti le adozioni gay. Senza contare le altre tematiche relative al sostegno dei figli e alla procreazione assistita. Una coalizione così fatta d'altronde potrebbe avere anche un ministro della famiglia come Vincenzo Spadafora che certo di punti di vista in comune con l'ex titolare Lorenzo Fontana ne ha ben pochi. Unica differenza, un tale dicastero Pd-5 stelle potrebbe invece portare a casa la benedizione di padre Antonio Spadaro, direttore di La Civiltà Cattolica e indirettamente di parte della Cei, a indicare che il maxi inciucio su tutti i temi etici, gender e dell'immigrazione sarebbe con ogni probabilità spalleggiato dal Vaticano. A quel punto se la mossa di Salvini - lo ribadiamo - non dovesse portare al voto immediato, la futura coalizione sarebbe ovviamente chiamata a gestire la legge Finanziaria. I 5 stelle non potrebbero mai rinunciare al reddito di cittadinanza, anzi per sottolineare il valore del cambio di passo cercherebbero di allargarne la portata. I renziani, per non essere da meno, estenderebbero a loro volta gli 80 euro con cui l'ex sindaco di Firenze ottenne il 40% di voti. Da quanto risulta alla Verità, Bruxelles sarebbe disposta ad accettare che il deficit di un simile esecutivo arrivi al 2,9%, dall'attuale 2. Si tratterebbe di una capacità di spesa a debito pari a circa 15 miliardi. Renzi e il resto del Pd (come più volte ha dichiarato il M5s) non lasceranno salire l'Iva, e quindi potranno usare questa concessione per non disinnescare le clausole di salvaguardia. Il resto delle misure dovrà essere coperto da nuove tasse. Sinistra e grillini hanno in comune (oltre a quanto abbiamo già elencato) l'odio per la ricchezza altrui. Basterà applicare su mandato europeo una patrimoniale sulle rendite immobiliari e aumentare i capital gain (già al 26%). Il motto sarà: se il debito pubblico è alto, usiamo la ricchezza privata. Nulla di nuovo: basta leggere tutti i paper del Fmi e dei centri studi tedeschi, che da sempre suggeriscono la super patrimoniale per risolvere i guai dell'Italia. Ci sarebbero proteste di piazza? Che importa. A quel punto il mega inciucio avrà le spalle coperte dall'asse franco tedesco e potrà azzerare la legge leghista sul golden power (che se non viene approvata entro fine settembre scade) e aprire le danze alla vendita di asset del Paese. Non pensiate sia un'esagerazione. Parigi attende il semaforo verde per fare shopping a super sconto nel settore della Difesa, e la Cina aspetta l'ok per gestire il 5G. Le aziende di Pechino porteranno inizialmente qualche miliardo d'investimento sulla banda ultra veloce, ma ci faranno tagliare i ponti una volta per tutte con gli Stati Uniti. Si realizzerebbe così il sogno di chi sta cercando di mettere in pista il papocchio. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-papocchio-regala-patrimoniale-gender-e-addio-sicurezza-2639805773.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nellesecutivo-horror-si-salva-tria-dentro-fico-giachetti-e-minniti" data-post-id="2639805773" data-published-at="1758063572" data-use-pagination="False"> Nell’esecutivo horror si salva Tria. Dentro Fico, Giachetti e Minniti Un governo anti-elettorale, che passeggia come un fantasma, per i corridoi del Senato. Alle sei di sera, finalmente, un ministro della Lega, off the record, mi dice: «Stanno provando a fregarci, ma noi siamo più furbi di loro». Il fantasma del governo ha scavato così, come una talpa il suo tunnel nella crisi. E il ministro leghista continua: «Noi lo sappiamo. Loro hanno già pronto il loro “governo del niente". A questo punto facciamo una contromossa, e se andiamo all'opposizione», chiude il ministro «per loro sarà il Vietnam. Io sono già pronto». Dopodiché tutto ciò che era accaduto fino a quel momento è improvvisamente invecchiato. Ad esempio, la conferenza stampa di Matteo Renzi, che secondo qualcuno doveva annunciare una scissione, e che alla fine ha partorito il topolino di qualche dichiarazione. Nessuno poteva muoversi dal tavolo, perché nessuno era in grado di prevedere cosa sarebbe accaduto. Cosi soltanto questo governo che si è manifestato ieri nei corridoi del Senato, come una fantasma e come una certezza, spiega la «contromossa» teatrale di Matteo Salvini. E il punto in fondo è questo. Dentro il Pd, una corrente vicina al Quirinale pressava sempre di più per un nuovo esecutivo, e acquistava forza con il passare delle ore: a tessere questa tela c'è Dario Franceschini, ex pupillo del Presidente della Repubblica, sostenitore storico dell'accordo con i pentastellati e ovviamente futuro ministro di peso di questo ipotetico programma. Oggi più forte di ieri. Ma qualcosa accade anche fuori dal Pd, dove l'opinione pubblica di sinistra ha iniziato a gridare contro il voto anticipato «che regala l'Italia a Salvini». Uomini preziosi nel Palazzo, come la vecchia volpe Luigi Zanda, hanno iniziato a tessere la tela dei rapporti istituzionali e a tenere aggiornato il pallottoliere. Quale? Quello dei senatori che seguirebbero Matteo Renzi in caso di addio. Quanti? «Non più di venti, forse meno», spiegava Zanda al suo segretario, come un capo di stato maggiore che aggiorna un bollettino di guerra. E così anche Nicola Zingaretti si è convinto che la via proposta dal suo mentore, Goffredo Bettini («Un governo può essere solo di respiro») poteva mettere fuori gioco sia il pericoloso nemico interno, Matteo Renzi, sia l'avversario con interessi convergenti, Matteo Salvini. A questo punto il leader leghista ha fiutato l'aria e ha provato a far saltare il tavolo. In una trattativa che correva sotto traccia, ma di cui affioravano tracce sui giornali, sulle agenzie, e soprattutto nei corridoi già si iniziava a delineare chi era dentro e chi fuori. La trattativa del governo Pd-M5s: perché sotto la cornice dell'esecutivo «istituzionale» per «mettere in sicurezza i conti» c'è anche un meno aulico intreccio di veti, di calcoli, di caselle da riempire. E un totonomi di ministri che per tutto ieri, prima del guizzo salviniano, han continuato a rimbalzare e forse ricomincerà da oggi. E allora, eccolo: dentro Elisabetta Trenta e dentro Giovanni Tria e Alfonso Bonafede, quelli che Salvini voleva decapitare. E dentro l'ala sinistra del movimento, Fico e Di Battista. Perché? Perché il Pd non si fidava, e voleva i big del Movimento, quindi con ogni probabilità anche Stefano Patuanelli, decisivo per manovrare bene il gruppo al Senato in questa fase. Sperava, il Pd, di poter porre un veto su Luigi Di Maio, ma non poteva porlo su Giuseppe Conte, referente diretto del Quirinale in queste ore delicate per il Movimento: perfino Renzi ieri è stato meno spietato del solito con l'«avvocato del popolo». Restavano ovviamente i tecnici vicini al Colle, oltre ai già citati c'era anche Enzo Moavero Milanesi. E con queste caratteristiche si arrivava a un patto ammanettato capace di dare l'unica garanzia su cui il Pd non può cedere: un vero governo di legislatura. Ma anche il M5s poneva i suoi veti: non Matteo Renzi, ovviamente. No a Luca Lotti, ovviamente. Non Maria Elena Boschi, senza nemmeno il bisogno di chiedere il perché. E alla fine, se il Pd avesse davvero fatto questo passo, l'unico della componente di minoranza che avrebbe potuto superare il fuoco di sbarramento era soltanto uno: Roberto Giachetti. Via libera, invece, per i pontieri di queste ore: Bettini su tutti, ma anche Marco Minniti. Ma se tu arrivi a discutere le pregiudiziali, di gradimenti, e le ipotesi, in realtà tu stai già discutendo di fare un governo. E questo tavolo di discussione, che è stato quantomeno rallentato ieri per la mossa di Salvini, non è ancora saltato. La discussione sul calendario, e quella sulla sfiducia, diventano giocoforza del fatti parlamentari che disegnano dentro le camere il profilo di una nuova maggioranza. La partita si allunga, e il governo di legislatura continuo a camminare, come un fantasma, nei corridoi del palazzo. E anche il totoministri del governo Pd-M5s, che da ieri è un po' meno probabile ma non per questo morto prima del concepimento.