2023-01-26
Il Papa su Ratzinger: «Schiavo del sistema»
In un’intervista all’Ap, Francesco dipinge Benedetto XVI come costretto nella parte dell’«emerito»: «Non era del tutto libero». E dopo aver bollato le critiche che riceve («eruzioni cutanee»), spiega che l’omosessualità «non è un crimine, ma un peccato».Parla ancora Francesco in un’intervista, questa volta, concessa all’Associated press. La prima dopo la morte di Benedetto XVI, avvenuta lo scorso 31 dicembre, e dopo le critiche e i libri che hanno messo a nudo una convivenza tra due papi umanamente cordiale, quanto discontinua rispetto alla linea con cui si sono rivolti ai temi principali che attraversano la chiesa.Francesco dice che le critiche gli sono apparse «come un’eruzione cutanea», qualcosa che «ti dà un po’ di fastidio», ma preferisce «che lo facciano, perché questo significa che c’è libertà di parola». Come un’orticaria, insomma, gli devono essere sembrate le cose emerse dai libri di monsignor Georg Gänswein, storico segretario di Joseph Ratzinger, del cardinale ex prefetto del Sant’Uffizio, Gerhard Muller e, infine, il durissimo articolo del cardinale George Pell, morto a inizio gennaio, sul sinodo tedesco e il pamphlet a lui attribuito che definiva il papato in corso «una catastrofe». All’inizio, la sua elezione è stata accolta con un senso di «sorpresa» per un Papa sudamericano, poi è arrivato il disagio «quando hanno iniziato a vedere i miei difetti e non gli sono piaciuti». «L’unica cosa che chiedo», ha detto Francesco all’Ap, «è che me le dicano in faccia, perché è così che cresciamo tutti, giusto?». Sul caso del cardinale Pell e del pamphlet circolato tra i cardinali a firma Demos e che, appunto, è stato attribuito postumo al cardinale australiano, Francesco ha detto che «sebbene dicano che mi ha criticato, bene, ne ha il diritto. La critica è un diritto umano». Ma Pell «era un grande». Per lui, papa Benedetto è stato come «un papà», anche se altre volte aveva parlato di «nonno». Sulla vexata quaestio delle dimissioni papali e relativa ambiguità, emersa con Benedetto XVI che si faceva chiamare emerito, vestiva di bianco e abitava dentro le mura leonine, Francesco pare non preoccuparsi troppo di quello che canonisti, vescovi e cardinali, invocano da tempo, ovvero una definizione di norme per regolare questa situazione. Francesco ha detto che il suo predecessore «ha aperto la porta» a future dimissioni e che anche lui potrebbe prendere in considerazione la possibilità di dimettersi. In questo caso, vorrebbe farsi chiamare vescovo emerito di Roma e vivrebbe nella residenza per sacerdoti in pensione della diocesi di Roma. Secondo papa Bergoglio, la scelta di Benedetto XVI di vivere in un monastero nei Giardini vaticani è stata una «buona soluzione intermedia», ma che i futuri successori di Pietro in pensione potrebbero voler fare le cose in modo diverso. «Era ancora schiavo come Papa, no?», ha detto Francesco. «Della visione di un Papa, di un sistema. Schiavo nel senso buono della parola: in quanto non era del tutto libero, perché avrebbe voluto tornare nella sua Germania e continuare a studiare teologia». Pare di capire che, per Francesco, la presenza dentro le mura leonine di un Papa «emerito» non sia una gran soluzione e che, forse, sarebbe stato meglio che Ratzinger fosse andato a passare il suo tempo in un monastero in qualche landa della Foresta nera. In ogni modo, di regole per definire una situazione oggettivamente di difficile interpretazione non se ne parla, Francesco pare non avere intenzione di regolamentare lo statuto dell’«emerito»: il Vaticano, afferma, ha bisogno di più esperienza prima di nuove regole sul tema.Conferma di non aver in mente, per ora, di dimettersi, anche se la cosa la ritiene possibile. La sua salute «è normale», sebbene la diverticolosi abbia rialzato la testa dopo l’operazione al colon subita nel 2021. Il Pontefice ha anche rivelato di avere avuto una piccola frattura ossea al ginocchio dovuta a una caduta. «Potrei morire domani, ma è sotto controllo. Sono in buona salute».Sempre nell’intervista, Francesco ha affrontato il tema di leggi che criminalizzano le persone con tendenze omosessuali, sostenendo, senza specificare di quali Paesi stesse parlando, che tali norme sono «ingiuste». «Essere omosessuali non è un crimine», ha detto. «Siamo tutti figli di Dio e Dio ci ama così come siamo e per la forza che ciascuno di noi combatte per la propria dignità». Ha anche definito «peccato» quello dei vescovi che sostengono leggi che criminalizzano l’omosessualità o discriminano la comunità gay. «Questi vescovi devono fare un processo di conversione», senza specificare a pastori di quali Paesi si riferisse, anche se è lecito pensare che pensasse a presuli africani dove sono in vigore leggi di questo tipo.Ha quindi specificato che l’omosessualità «non è un crimine. Ma è peccato».Sul tema dei rapporti Cina-Vaticano, il Papa ha mostrato di difendere il discusso accordo segreto rinnovato da poco, dicendo che bisogna «camminare con pazienza». Molto più duro, invece, su un nervo scoperto del suo pontificato, quello che riguarda il cammino sinodale tedesco, in cui avanzano strappi forti sia per la comunione ecclesiale, sia per il deposito della fede. Ha detto che il processo, fino a oggi, è stato guidato dall’«élite» perché non coinvolge «tutto il popolo di Dio» e ha parlato di posizioni «ideologiche».Ma proprio in questi giorni i sussurri di Oltretevere parlano della possibile nomina a nuovo prefetto della Dottrina della fede del monsignore tedesco Heiner Wilmer, vescovo di Hildesheim, uno che, quanto ad aperture e progresso, non è secondo a nessuno. Questa nomina potrebbe dire molto di più di un’intervista.
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