
Scagionato l'ex consigliere regionale Giovanni Donzelli. La storia dello strano prestito al padre di Matteo Renzi raccontata nel libro di Maurizio Belpietro.Nel 2015, in consiglio regionale della Toscana, e in pieno governo di Matteo Renzi, aveva accusato Marco Lotti, papà di Luca, di aver concesso prestiti quale direttore della Banca di credito cooperativo di Pontassieve alla Chil Post, società di babbo Tiziano Renzi, impresa che sarebbe fallita poco dopo. E nel corso del suo intervento collegò anche la vicenda all'assunzione del figlio Luca a Palazzo Vecchio quando Matteo Renzi era sindaco. Lesa maestà. Scattò la querela di papà Lotti che è costata un procedimento giudiziario per Giovanni Donzelli, ora deputato di Fratelli d'Italia e all'epoca dei fatti consigliere regionale. L'altro giorno è arrivata l'assoluzione. Donzelli non ha diffamato papà Lotti, perché le sue dichiarazioni rientravano nelle funzioni di consigliere regionale. Donzelli scoprì anche che parte del prestito fu coperto con i soldi pubblici garantiti da Fidi Toscana. «E mai restituiti», sottolinea il deputato. Dopo la denuncia, la Regione, ammessa l'anomalia, chiese a Fidi Toscana la revoca della garanzia. «La mia azione», sostiene Donzelli, «è stata a tutela di soldi dei cittadini utilizzati in modo indebito. E avevo chiesto io ai magistrati d'indagare presentando un esposto».Il giudice monocratico del Tribunale di Firenze, Laura Bonelli, ha quindi dichiarato il non luogo a procedere, accogliendo le eccezioni presentate dai difensori di Donzelli, gli avvocati Francesco Michelotti e Benedetta Bindi, secondo cui, per l'articolo 122 della Costituzione, «i consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni». Il Tribunale ha quindi riconosciuto il nesso funzionale tra le dichiarazioni fatte nell'assemblea della Toscana e l'attività politica di Donzelli. Caso chiuso. Ma la storia del prestito a babbo Renzi doveva essere proprio un nervo scoperto per il Giglio magico. Fu ricostruita dal direttore Maurizio Belpietro, che pubblicò in solitudine le carte dell'inchiesta, e poco dopo anche i retroscena di quella vicenda finirono nel libro I segreti di Renzi (Sperling e Kupfer, 2016). Ad esempio, portò alla luce che la Chil Post è fallita con in pancia un debito di quasi 700.000 euro con la Banca di Pontassieve. E che mesi prima di diventare presidente della Provincia di Firenze, Renzi junior venne assunto da Renzi senior come dirigente della Chil Post a 7.000 euro di stipendio al mese, un salario che, appena il neomanager prese le redini da presidente della Provincia, costrinse l'ente a sostituirsi a babbo Renzi nel versamento dei contributi per via della legge sull'aspettativa per incarichi politici. Quel 17 settembre, oltre a Giampaolo Angelucci (che chiamò Belpietro alla 7.30 del mattino e gli intimò «a Maurì, ma a che gioco stai a giocà?», prima di metterlo in panchina), saltò sulla sedia anche Luca Lotti che, come raccontato nel libro, lesse per la prima volta sulla stampa il nome di suo padre collegato all'approvazione del finanziamento bancario alla Chil Post della famiglia Renzi (che non verrà mai restituito). Si trattava di un prestito di 497.000 euro, più 100.000 euro di affidamenti. E in quell'occasione Lotti lesse anche la ricostruzione della sua assunzione da parte di Renzi a Palazzo Vecchio, quando era un semplice ex allenatore di una squadra di calcio femminile di paese. «L'assunzione», scrisse Belpietro, «è avvenuta il giorno dopo che papà Lotti, da dirigente della Bcc di Pontassieve, ha firmato l'autorizzazione per la concessione del finanziamento bancario alla Chil Post».L'ennesima curiosa coincidenza.
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