2019-09-26
Il Papa condanna la xenofobia immaginaria
Francesco elogia il meticciato e la mescolanza di culture. Che però conduce al «neutro» che lui stesso ha criticato. Poi sostiene che i sovranisti hanno «paura del diverso». Ma opporsi all'immigrazione di massa non significa affatto avere timori irrazionali.Tocca difendersi anche dalle parole. Perché la grande manipolazione, oggi, avviene in maniera sottile: attraverso la perversione del linguaggio si pervertono i pensieri e si creano enormi menzogne. Un esempio perfetto di questo modo d'agire è l'intervista a papa Francesco realizzata da padre Antonio Spadaro di cui ieri Repubblica ha pubblicato ampi stralci. Bergoglio, il 5 settembre scorso, ha incontrato in Mozambico un gruppo di gesuiti e dal dialogo con costoro è nato l'articolo che il giornale di Carlo Verdelli ha titolato in maniera spumeggiante: «La xenofobia distrugge anche il popolo di Dio». Nell'intervista, il pontefice ripete concetti piuttosto discutibili, a cui però siamo (purtroppo abituati). «Oggi siamo tentati da una forma di sociologia sterilizzata», spiega. «Sembra che si consideri un Paese come se fosse una sala operatoria, dove tutto è sterilizzato: la mia razza, la mia famiglia, la mia cultura, come se ci fosse la paura di sporcarla, macchiarla, infettarla». Ovviamente, nessuno si sognerà di rimproverare il Papa per l'utilizzo del termine «razza», che se fosse stato utilizzato da un sovranista a caso avrebbe suscitato uno scompiglio micidiale. Ma andiamo avanti. Bergoglio sostiene che con questa «sociologia sterilizzata» si vuole «bloccare quel processo così importante che dà vita ai popoli e che è il meticciato. Mescolare ti fa crescere, ti dà nuova vita. Sviluppa incroci, mutazioni e conferisce originalità Il meticciato è quello che abbiamo sperimentato, ad esempio, in America Latina. Da noi c'è tutto: lo spagnolo e l'indio, il missionario e il conquistatore, la stirpe spagnola e il meticciato. Costruire muri significa condannarsi a morte. Non possiamo vivere asfissiati da una cultura da sala operatoria, asettica e non microbica». Si potrebbe ricordare com'è stato ottenuto il meraviglioso meticciato dell'America Latina: sulla pelle degli indios sterminati in massa dai conquistadores e poi, successivamente, relegati per lo più ai margini della società. E si potrebbe pure notare che, in realtà, il meticciato non è automaticamente generatore di ricchezza. Anche due culture che non si ibridano possono tranquillamente scambiarsi stimoli, idee, suggestioni senza per questo annullarsi nel calderone multiculti. Il meticciato, per lo più, si traduce nell'imposizione della cultura del neutro, dell'indistinto, la stessa che proprio Francesco ha duramente contestato qualche tempo fa. Insomma, sui contenuti - anche piuttosto banali - di questa intervista si potrebbe discettare a lungo. Alle tirate buoniste, dicevamo, siamo però abituati. Il punto interessante del testo uscito su Repubblica è un altro, precisamente quello in cui il Pontefice si esprime a proposito della xenofobia. Padre Spadaro gli pone una domanda: «Che cosa pensa di questa xenofobia dilagante?». E Bergoglio risponde: «Le xenofobia e l'aporofobia (paura dei poveri, ndr) sono parte di una mentalità populista che non lascia sovranità ai popoli. La xenofobia distrugge l'unità di un popolo, anche quella del popolo di Dio. E il popolo siamo tutti noi: quelli che sono nati in un medesimo Paese, non importa che abbiano radici in un altro luogo siano di etnie differenti». Ed eccoci al punto. Secondo la Treccani, la xenofobia è un «sentimento di avversione generica e indiscriminata per gli stranieri e per ciò che è straniero, che si manifesta in atteggiamenti e azioni di insofferenza e ostilità verso le usanze, la cultura e gli abitanti stessi di altri Paesi». Insomma, è la paura del diverso. Secondo Spadaro, la xenofobia sarebbe «dilagante». Ma è falso. I «populisti» e i «sovranisti» non hanno affatto «paura del diverso» o degli altri popoli. Gli italiani contrari all'immigrazione di massa non temono lo straniero in sé. Temono, piuttosto, le conseguenze di un modello di convivenza che ha conseguenze devastanti a livello sociale oltre che politico. Se la critica all'invasione viene identificata con la paura del diverso, si compie una perversione pericolosa. Si afferma, cioè, che la critica è irrazionale, negativa (perché la paura è un sentimento identificato come negativo) e dunque va eliminata. Si creano, così, i presupposti per un pensiero totalitario, che non ammette voci discordanti. La xenofobia, i varie circostanze, può in effetti rivelarsi dannosa (anche se spesso è solo spinta all'autoconservazione). Il problema è che quella espressa dai «sovranisti» non è xenofobia. Spadaro confonde le acque, mistifica, e orienta il discorso del Papa verso un approdo preciso, che è tutto politico: un attacco (l'ennesimo) alle destre. Forse, in fondo, ad avere realmente paura è una parte delle gerarchie ecclesistiche. E interviste come quella del gesuita lo dimostrano.