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2020-10-25
Il Papa che benedice le famiglie gay nuovo testimonial della legge Zan
L'improvvida uscita di Bergoglio sulla necessità di un riconoscimento legale delle «unioni civili» in Italia ha rappresentato un formidabile assist per i promotori della proposta di legge Zan in tema di omolesbotransfobia. Proprio pochi giorni prima della discussione alla Camera dei deputati della tanto controversa «legge bavaglio». Un timing perfetto. Ora, è vero, come ha autorevolmente riconosciuto il cardinale Burke, che «il contesto e l'occasione in cui queste dichiarazioni sono state rilasciate le rendono prive di ogni peso magisteriale», che si tratta di «mere opinioni personali di chi le ha rilasciate», e che «non vincolano, in alcun modo, la coscienza dei fedeli, i quali sono invece obbligati ad aderire con obbedienza religiosa a ciò che, sulla materia, viene insegnato dalle sacre Scritture e dalla sacra Tradizione e dal Magistero ordinario della Chiesa». È, però, altrettanto vero che a parlare non è uno qualunque e dal punto di vista politico il messaggio non può non avere effetti. In questo caso devastanti. L'occasione era troppo ghiotta per non essere colta al volo innanzitutto da quella che è stata la madrina della legge sulle unioni civili omosex: Monica Cirinnà. Costei, infatti, non ha perso tempo a dichiarare: «Dal Papa parole rivoluzionarie su unioni tra persone omosessuali. Importanti per credenti Lgbt, di ispirazione per i laici. Fratellanza, solidarietà ed eguaglianza attraversano i confini di culture e religioni». È seguita a ruota la catto-progressista Maria Elena Boschi, che rivendica fieramente un passato da chierichetta, con questa affermazione: «Quattro anni fa abbiamo portato a casa la legge sulle unioni civili. Ricordo le polemiche di una parte del mondo cattolico contro di noi, tra cui striscioni polemici del Family day: “Renzi ci ricorderemo". Quattro anni dopo portiamo a casa il Family Act mentre Papa Francesco difende le leggi sulle unioni civili. Chissà che cosa si ricordano adesso quelli che allora contestavano. In ogni caso fare politica significa sempre difendere la laicità delle istituzioni. Come diceva il Vangelo di domenica scorsa? Date a Cesare quello che è di Cesare. Un abbraccio alle tante coppie che possono amarsi senza più nascondersi grazie alla nostra legge». Sempre in campo femminile si è levata persino la voce della kompagna vendoliana Laura Boldrini, ex presidente della Camera, riscopertasi improvvisamene papista: «Belle le parole di papa Francesco sulle unioni civili omosessuali. È il riconoscimento del diritto di ogni persona ad amare senza paura e senza essere bersaglio d'odio. Per questo è importante approvare subito la legge contro l'omotransfobia e la misoginia». E non poteva certo mancare la voce di colui che ha dato addirittura il nome alla proposta di legge citata dalla Boldrini, ovvero l'onorevole Alessandro Zan: «Le parole di Bergoglio sulle unioni civili riconoscono il diritto delle persone Lgbt alla vita familiare e aiutano il contrasto all'odio e alle discriminazioni. È compito del legislatore combattere questi fenomeni violenti: ora acceleriamo su legge contro omotransfobia».
È risorto persino il «padre» del pensiero debole, il filosofo Gianni Vattimo. In un'intervista rilasciata al Messaggero, Vattimo ha commentato l'apertura di Bergoglio sulle unioni civili omosex addirittura come l'epifania di un nuovo «cristianesimo aperto e inclusivo».
Il filosofo torinese ha dichiarato pubblicamente la sua felicità perché le parole di Francesco hanno «finalmente scardinato delle eredità spurie, sedimentate e persistenti da chissà quali epoche, ma di cui non si capivano le vere motivazioni», ed hanno «definitivamente smontato una barriera atavica che non ha nulla a che fare col Cristianesimo». Per Vattimo le esternazioni bergogliane compiono un passo in avanti rispetto al percorso fin qui raggiunto: «Papa Francesco aveva già detto che due persone che si amano vanno rispettate e quindi c'era già un'apertura, ma adesso si fa carico programmaticamente di tutto questo con una dichiarazione che corrisponde appieno alla sua immagine della Chiesa». Un programma che, giustamente, sconvolge i veri credenti cattolici.
Poi Vattimo si ricorda di essere il filosofo del pensiero debole e, da vero esperto della materia, interpreta l'ultima uscita di Bergoglio in questi termini: «Vuol dire che il Cristianesimo si deve emancipare da tutti gli elementi metafisici che hanno rovinato la nostra situazione di essere finiti facendoci illudere che esista una qualche ordine oggettivo anche dei valori etici, qualcosa che invece non era altro che l'ordine che la società ha creduto di imporre per tanti anni». Beh, se io fossi un Papa e con le mie dichiarazioni avessi scatenato una reazione simile, qualche domanda me la porrei. Scopro, invece, che Bergoglio e Vattimo coltivano un rapporto che risale a qualche hanno fa, quando Francesco, come da sua abitudine, ha telefonato personalmente al filosofo. Era il 2018 e in occasione di quella telefonata lo stesso Papa argentino dichiarò al suo interlocutore di essere ancora più convinto che la teologia cattolica necessitasse di un rinnovamento. C'è da crederci visto il vezzo narcisistico di telefonare a chiunque, che ormai caratterizza il modus operandi di questo particolarissimo pontefice. C'è solo un numero che il dito papale proprio non riesce a comporre. È quello del capo dell'opposizione Matteo Salvini. Per lui non v'è nessuna misericordia.
Gianfranco Amato, Presidente Giuristi per la Vita
Ma 4 anni fa era contro le nozze omo
In numerose occasioni papa Francesco, al seguito dei suoi immediati predecessori, ha criticato la teoria del gender, l'amore fluido e libero dei giovani d'oggi, e ha difeso con chiarezza la famiglia tradizionale (ed eterosessuale), composta da un solo uomo e da una sola donna.
Un episodio tra i più emblematici risale a 4 anni fa, ma ora il cattolicesimo mainstream cerca di silenziarlo.
Nel 2016 Francesco fece un viaggio apostolico a Cuba. E all'Avana, il 12 febbraio, siglò una storica e impegnativa dichiarazione congiunta, assieme a Kirill, patriarca ortodosso di Mosca.
La stampa del mondo intero, a partire dall'Osservatore Romano, esaltò l'incontro come un ennesimo superamento di storici steccati, frutto dell'ecumenismo e del dialogo voluto dal Concilio, riattivati dal pontefice argentino.
Il testo della lunga dichiarazione si compone di 30 articoli ben assortiti ed esprime la comune visione di fede della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa russa. Al punto n. 1 si afferma che l'incontro tra i due leader religiosi è «il primo della storia» dalla divisione tra Chiesa romana e ortodossia, consumato nel 1054. Il che dà un tono solenne al testo prodotto da quell'incontro.
Al n. 7 si prende atto della secolarizzazione del mondo, specie occidentale, ribadendo che «la nostra responsabilità pastorale non ci autorizza a restare inerti di fronte alle sfide che richiedono una risposta comune».
Insomma si può dire, senza alcuna esagerazione, che i due capi cristiani più in vista, sottoscrissero allora un vero e proprio Manifesto di fede e di morale che aveva lo scopo di correggere gli errori egemoni e testimoniare i principi del Vangelo.
Dopo aver esultato perché «la catene dell'ateismo militante sono spezzate», con chiaro riferimento al tramonto del comunismo, si condannano con pari forza l'aborto, l'eutanasia, il consumismo e tutti i frutti di «un secolarismo tante volte assai aggressivo» (n. 15).
E la famiglia?
«La famiglia», si dice al n. 19, «è il centro naturale della vita umana e della società». Sappiamo quanto il riferimento alla «natura» divida i credenti dalla cultura lgbt secondo cui non esiste natura, ma solo evoluzioni culturali sempre in divenire. «Siamo preoccupati dalla crisi della famiglia in molti paesi. Ortodossi e cattolici condividono la stessa concezione della famiglia e sono chiamati a testimoniare che essa è un cammino di santità, che testimonia la fedeltà degli sposi nelle loro relazioni reciproche, la loro apertura alla procreazione e all'educazione dei figli, la solidarietà tra le generazioni e il rispetto per i più deboli».
E già è detto molto, rispetto alla decadenza del sentimento familiare presso molti giovani che vedono la vita da single come l'orizzonte da preferire in nome della libertà e del rifiuto di scelte definitive. Ma c'è di più. Secondo Francesco e Kirill, «La famiglia si fonda sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna» (n. 20). «Ci rammarichiamo», concludono, «che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell'uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica». È possibile rammaricarsi che «altre forme di convivenza siano poste allo stesso livello» del matrimonio e auspicare che gli omosessuali fruiscano di «una legge di convivenza civile» che funga da «copertura legale» al loro amore? È quanto mi chiedo dal Festival del cinema di Roma e non riesco a darmi una risposta. Oppure gli impegni vaticani durano solo 4 anni?
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L'intervista di Jorge Bergoglio rappresenta un assist formidabile ai sostenitori della norma sulla omotransfobia. Monica Cirinnà e Laura Boldrini vogliono accelerare. Il filosofo Gianni Vattimo: è la prova che il cristianesimo sta mutando.In un documento del 2016, stilato a Cuba insieme con il patriarca ortodosso di Mosca, Francesco difese il matrimonio naturale e condannò le «altre forme di convivenza».Lo speciale contiene due articoli.L'improvvida uscita di Bergoglio sulla necessità di un riconoscimento legale delle «unioni civili» in Italia ha rappresentato un formidabile assist per i promotori della proposta di legge Zan in tema di omolesbotransfobia. Proprio pochi giorni prima della discussione alla Camera dei deputati della tanto controversa «legge bavaglio». Un timing perfetto. Ora, è vero, come ha autorevolmente riconosciuto il cardinale Burke, che «il contesto e l'occasione in cui queste dichiarazioni sono state rilasciate le rendono prive di ogni peso magisteriale», che si tratta di «mere opinioni personali di chi le ha rilasciate», e che «non vincolano, in alcun modo, la coscienza dei fedeli, i quali sono invece obbligati ad aderire con obbedienza religiosa a ciò che, sulla materia, viene insegnato dalle sacre Scritture e dalla sacra Tradizione e dal Magistero ordinario della Chiesa». È, però, altrettanto vero che a parlare non è uno qualunque e dal punto di vista politico il messaggio non può non avere effetti. In questo caso devastanti. L'occasione era troppo ghiotta per non essere colta al volo innanzitutto da quella che è stata la madrina della legge sulle unioni civili omosex: Monica Cirinnà. Costei, infatti, non ha perso tempo a dichiarare: «Dal Papa parole rivoluzionarie su unioni tra persone omosessuali. Importanti per credenti Lgbt, di ispirazione per i laici. Fratellanza, solidarietà ed eguaglianza attraversano i confini di culture e religioni». È seguita a ruota la catto-progressista Maria Elena Boschi, che rivendica fieramente un passato da chierichetta, con questa affermazione: «Quattro anni fa abbiamo portato a casa la legge sulle unioni civili. Ricordo le polemiche di una parte del mondo cattolico contro di noi, tra cui striscioni polemici del Family day: “Renzi ci ricorderemo". Quattro anni dopo portiamo a casa il Family Act mentre Papa Francesco difende le leggi sulle unioni civili. Chissà che cosa si ricordano adesso quelli che allora contestavano. In ogni caso fare politica significa sempre difendere la laicità delle istituzioni. Come diceva il Vangelo di domenica scorsa? Date a Cesare quello che è di Cesare. Un abbraccio alle tante coppie che possono amarsi senza più nascondersi grazie alla nostra legge». Sempre in campo femminile si è levata persino la voce della kompagna vendoliana Laura Boldrini, ex presidente della Camera, riscopertasi improvvisamene papista: «Belle le parole di papa Francesco sulle unioni civili omosessuali. È il riconoscimento del diritto di ogni persona ad amare senza paura e senza essere bersaglio d'odio. Per questo è importante approvare subito la legge contro l'omotransfobia e la misoginia». E non poteva certo mancare la voce di colui che ha dato addirittura il nome alla proposta di legge citata dalla Boldrini, ovvero l'onorevole Alessandro Zan: «Le parole di Bergoglio sulle unioni civili riconoscono il diritto delle persone Lgbt alla vita familiare e aiutano il contrasto all'odio e alle discriminazioni. È compito del legislatore combattere questi fenomeni violenti: ora acceleriamo su legge contro omotransfobia».È risorto persino il «padre» del pensiero debole, il filosofo Gianni Vattimo. In un'intervista rilasciata al Messaggero, Vattimo ha commentato l'apertura di Bergoglio sulle unioni civili omosex addirittura come l'epifania di un nuovo «cristianesimo aperto e inclusivo».Il filosofo torinese ha dichiarato pubblicamente la sua felicità perché le parole di Francesco hanno «finalmente scardinato delle eredità spurie, sedimentate e persistenti da chissà quali epoche, ma di cui non si capivano le vere motivazioni», ed hanno «definitivamente smontato una barriera atavica che non ha nulla a che fare col Cristianesimo». Per Vattimo le esternazioni bergogliane compiono un passo in avanti rispetto al percorso fin qui raggiunto: «Papa Francesco aveva già detto che due persone che si amano vanno rispettate e quindi c'era già un'apertura, ma adesso si fa carico programmaticamente di tutto questo con una dichiarazione che corrisponde appieno alla sua immagine della Chiesa». Un programma che, giustamente, sconvolge i veri credenti cattolici.Poi Vattimo si ricorda di essere il filosofo del pensiero debole e, da vero esperto della materia, interpreta l'ultima uscita di Bergoglio in questi termini: «Vuol dire che il Cristianesimo si deve emancipare da tutti gli elementi metafisici che hanno rovinato la nostra situazione di essere finiti facendoci illudere che esista una qualche ordine oggettivo anche dei valori etici, qualcosa che invece non era altro che l'ordine che la società ha creduto di imporre per tanti anni». Beh, se io fossi un Papa e con le mie dichiarazioni avessi scatenato una reazione simile, qualche domanda me la porrei. Scopro, invece, che Bergoglio e Vattimo coltivano un rapporto che risale a qualche hanno fa, quando Francesco, come da sua abitudine, ha telefonato personalmente al filosofo. Era il 2018 e in occasione di quella telefonata lo stesso Papa argentino dichiarò al suo interlocutore di essere ancora più convinto che la teologia cattolica necessitasse di un rinnovamento. C'è da crederci visto il vezzo narcisistico di telefonare a chiunque, che ormai caratterizza il modus operandi di questo particolarissimo pontefice. C'è solo un numero che il dito papale proprio non riesce a comporre. È quello del capo dell'opposizione Matteo Salvini. Per lui non v'è nessuna misericordia.Gianfranco Amato, Presidente Giuristi per la Vita<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-papa-che-benedice-le-famiglie-gay-nuovo-testimonial-della-legge-zan-2648484603.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ma-4-anni-fa-era-contro-le-nozze-omo" data-post-id="2648484603" data-published-at="1603574018" data-use-pagination="False"> Ma 4 anni fa era contro le nozze omo In numerose occasioni papa Francesco, al seguito dei suoi immediati predecessori, ha criticato la teoria del gender, l'amore fluido e libero dei giovani d'oggi, e ha difeso con chiarezza la famiglia tradizionale (ed eterosessuale), composta da un solo uomo e da una sola donna. Un episodio tra i più emblematici risale a 4 anni fa, ma ora il cattolicesimo mainstream cerca di silenziarlo. Nel 2016 Francesco fece un viaggio apostolico a Cuba. E all'Avana, il 12 febbraio, siglò una storica e impegnativa dichiarazione congiunta, assieme a Kirill, patriarca ortodosso di Mosca. La stampa del mondo intero, a partire dall'Osservatore Romano, esaltò l'incontro come un ennesimo superamento di storici steccati, frutto dell'ecumenismo e del dialogo voluto dal Concilio, riattivati dal pontefice argentino. Il testo della lunga dichiarazione si compone di 30 articoli ben assortiti ed esprime la comune visione di fede della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa russa. Al punto n. 1 si afferma che l'incontro tra i due leader religiosi è «il primo della storia» dalla divisione tra Chiesa romana e ortodossia, consumato nel 1054. Il che dà un tono solenne al testo prodotto da quell'incontro. Al n. 7 si prende atto della secolarizzazione del mondo, specie occidentale, ribadendo che «la nostra responsabilità pastorale non ci autorizza a restare inerti di fronte alle sfide che richiedono una risposta comune». Insomma si può dire, senza alcuna esagerazione, che i due capi cristiani più in vista, sottoscrissero allora un vero e proprio Manifesto di fede e di morale che aveva lo scopo di correggere gli errori egemoni e testimoniare i principi del Vangelo. Dopo aver esultato perché «la catene dell'ateismo militante sono spezzate», con chiaro riferimento al tramonto del comunismo, si condannano con pari forza l'aborto, l'eutanasia, il consumismo e tutti i frutti di «un secolarismo tante volte assai aggressivo» (n. 15). E la famiglia? «La famiglia», si dice al n. 19, «è il centro naturale della vita umana e della società». Sappiamo quanto il riferimento alla «natura» divida i credenti dalla cultura lgbt secondo cui non esiste natura, ma solo evoluzioni culturali sempre in divenire. «Siamo preoccupati dalla crisi della famiglia in molti paesi. Ortodossi e cattolici condividono la stessa concezione della famiglia e sono chiamati a testimoniare che essa è un cammino di santità, che testimonia la fedeltà degli sposi nelle loro relazioni reciproche, la loro apertura alla procreazione e all'educazione dei figli, la solidarietà tra le generazioni e il rispetto per i più deboli». E già è detto molto, rispetto alla decadenza del sentimento familiare presso molti giovani che vedono la vita da single come l'orizzonte da preferire in nome della libertà e del rifiuto di scelte definitive. Ma c'è di più. Secondo Francesco e Kirill, «La famiglia si fonda sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna» (n. 20). «Ci rammarichiamo», concludono, «che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell'uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica». È possibile rammaricarsi che «altre forme di convivenza siano poste allo stesso livello» del matrimonio e auspicare che gli omosessuali fruiscano di «una legge di convivenza civile» che funga da «copertura legale» al loro amore? È quanto mi chiedo dal Festival del cinema di Roma e non riesco a darmi una risposta. Oppure gli impegni vaticani durano solo 4 anni?
Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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Ecco #DimmiLaVerità del 5 dicembre 2025. Il senatore Gianluca Cantalamessa della Lega commenta il caso dossieraggi e l'intervista della Verità alla pm Anna Gallucci.