2020-01-12
Il padre di Laurent smentisce i moralisti. «C’è chi ha spinto mio figlio a migrare»
Roberto Saviano e Michele Serra ricamano sulla morte del ragazzo ivoriano trovato senza vita in un aereo. Il genitore, però, li contraddice.«Solo qualcun altro può avergli messo in testa questa idea terribile». Marius Ani Guibahi non si dà pace. Suo figlio, Laurent Barthélemy Ani Guibahi, 14 anni e poco più, è stato trovato gelido ed esanime mercoledì all'aeroporto di Roissy, in Francia. Si era nascosto nel carrello di un aereo diretto a Parigi, è morto in modo atroce: forse per soffocamento, forse per congelamento. Entrambe le ipotesi sono da incubo. Sulla sua sorte, negli ultimi giorni, illustri intellettuali hanno consumato le penne. Ha iniziato Roberto Saviano, utilizzando la straziante vicenda di Laurent per puntare il dito contro l'Occidente: «Dopo tutte le parole su questa tragedia non vi è che una cosa da fare», ha scritto, «fermarsi e ingoiare tutte le lacrime possibili per sopportare lo schifo che siamo diventati manipolando le parole, tradendo ogni significato, compiacendoci del nostro sarcasmo con un semplice “è stato sempre così"». Infine, l'ultima spruzzata di pathos: «Questo bambino è morto per l'unica possibilità di felicità che gli era stata data: scappare». Dalle parole del padre di Laurent, tuttavia, si apprende che Saviano ha torto. «L'Europa? E chi ci pensa mai?», dice Marius Guibahi. «Siamo una famiglia modesta, ma anche con i pochi mezzi che abbiamo cerchiamo di crescere i nostri figli con sani principi. Ho sempre detto che se vogliono costruirsi un futuro devono prima di tutto studiare. E Laurent questo faceva». Poi, insiste l'uomo, qualcuno deve avergli messo in testa un'altra idea: quella di scappare in Europa. Laurent, spiega suo padre, era uscito per andare a scuola. Poi, come Pinocchio, dev'essersi imbattuto in un maligno cocchiere. «Un omino più largo che lungo, tenero e untuoso come una palla di burro». Una figura diabolica, che Collodi descrive come un «brutto mostriciattolo, che aveva la fisonomia tutta di latte e miele», il cui mestiere è andare con un carro per il mondo facendo promesse e moine ai ragazzini. Questo omino, dopo aver ammaliato i giovani «s'impadroniva di loro e li portava a vendere sulle fiere e su i mercati. E così in pochi anni aveva fatto fior di quattrini ed era diventato milionario». Da un lato, su una sponda del mare, la famiglia modesta che invita a studiare. Dall'altro l'Europa, il paese dei balocchi. In mezzo l'omino che aiuta a fare il viaggio, commercia con le vite di adulti e ragazzi e, grazie alle loro sofferenze, diventa milionario. La storia nerissima del povero Laurent ci mette in guardia da questi omini untuosi. E dovrebbe attirare la nostra attenzione su tutte le parole di burro che, ormai da anni, vengono pronunciate riguardo all'immigrazione. Burrose e biforcute sono pure le frasi di chi vuol trasformare la morte di Laurent in un atto d'accusa verso gli europei e, in particolare, verso i critici dell'immigrazione di massa. Burroso è chi - ben unto e zuccherato di nobili sentimenti - insiste nel dire che bisogna accogliere tutti senza riserve, alimentando così il diabolico sistema che continua a causare morti in mare. Ieri, su Repubblica, Michele Serra ha in parte corretto la tirata da «cultura del piagnisteo» di Saviano. «Non dobbiamo sentirci in colpa», ha scritto, «non è richiesto, non serve a niente, il senso di colpa è solo l'altra faccia dell'odiosa esultanza espressa sui social quando si può scrivere ghignando “uno di meno"». Anche Serra, tuttavia, alla fine ricade nel medesimo cliché, solo con più grazia. Ragionando sull'adolescente ivoriano morto in modo così brutale, egli parla di «popoli bambini», e il riferimento è ovviamente all'Africa. Solo che in Africa ci sono anche tanti, tantissimi adulti. E non vengono mai chiamati in causa. Il padre del piccolo Laurent se la prende con le autorità del suo Paese, con i controllori dell'aeroporto, con chi ha convinto suo figlio a partire. Gli occidentali, gli europei, invece, continuano a incolpare soltanto sé stessi, in pieno delirio narcisistico. Hanno pietà dei «popoli bambini», e dimenticano le responsabilità dei governi africani per lo più silenti sulle faccende migratorie. Dimenticano le responsabilità delle famiglie africane che - come risulta da un recente report delle Nazioni Unite - spingono i più giovani a partire come forma di «investimento». Non parliamo di famiglie ridotte in miseria, ma di classe media, di persone che hanno un lavoro o, come il povero Laurent, vanno a scuola. Ma sono convinte a rischiare la vita da tanti, troppi omini di burro. Compresi quelli che usano la commozione suscitata dalla morte di un adolescente per sostenere la necessità di spalancare le frontiere. Compresi quelli che - anche in queste ore - si danno al servizio taxi marittimo esponendo i migranti a rischi ulteriori. Cocchieri che usano la pietà verso i «popoli bambini» per levarsi dal petto il senso di colpa. Tanto se qualcuno muore basta dare la colpa alle destre crudeli e razziste.