
La celebre azienda di prodotti da barba diffonde un filmato che riassume i peggiori stereotipi sugli uomini, raccontati come una massa di bulli, violenti e molestatori. Chi lo critica viene accusato di sessismo: bisogna accettare la rieducazione in silenzio.Il meglio per un uomo è non essere un uomo. Volendo semplificare un po', il messaggio dello spot della Gillette, nota marca di prodotti per la rasatura, potremmo riassumerlo così. Lo scopo del filmato pubblicitario diffuso nei giorni scorsi dovrebbe essere quello di combattere la «mascolinità tossica», ma a quanto pare i creativi hanno deciso di combattere la maschilità, punto. Sullo schermo vediamo una rassegna grottesca di stereotipi sul maschio, che viene di fatto dipinto come un bruto senza cervello governato dai propri organi genitali. Il tutto dura poco meno di due minuti. Ad aprire il filmato sono alcuni uomini che si guardano allo specchio nel bagno, prima di rasarsi. In sottofondo sentiamo i titoli dei tg che parlano di molestie sessuali all'epoca del Me too. Uno speaker domanda: «È questo il meglio di un uomo?». Poi parte la raffica di banalità. Prima ci sono alcuni ragazzini bulli che inseguono il compagno più debole per malmenarlo (e poco importa se nelle scuole italiane ed europee si viene educati per lo più da donne). Subito dopo viene stigmatizzata la comicità «sessista», mostrando lo sketch di una sitcom in cui un padrone di casa fa l'allupato con la cameriera. Ovviamente non poteva mancare il capoufficio arrogante che umilia la sottoposta. Un secondo più tardi siamo nel giardino di una casa borghese, dove due bambini si azzuffano mentre il padre li guarda sorridente e commenta «Sono maschi...». Insomma, tutta la prevedibile trafila di esempi negativi. Quindi vengono snocciolati i modelli virtuosi: un padre che interviene per fermare i bulli; un altro papà che impedisce ai piccoletti di picchiarsi in cortile; un maschio che ferma l'amico su di giri prima che abbordi una bella ragazza per strada. C'è pure una scenetta esilarante che si svolge durante una festa in piscina: un manzo con il bicipite gonfio, accompagnato da un sodale con telecamera, invita una dolce figliola in costume a sorridere. Fortuna che interviene un altro maschio «consapevole» a dirgli di smetterla... Gillette ha deciso, per l'occasione, di riutilizzare e ridefinire il suo storico slogan: «Il meglio di uomo». Ve lo ricordate? Rimbalzava sulle emittenti italiane già negli anni Ottanta, accompagnato da una intrigante canzoncina. È molto interessante notare come siano cambiati gli spot da allora a oggi. Si potrebbe pensare che nei filmati di trent'anni fa si vedessero chissà quali discriminazioni o furibonde esibizioni di machismo... E invece no. Nella pubblicità del tempo che fu scorrono immagini per lo più positive. Un padre che insegna al figlio a farsi la barba. Un uomo che abbraccia la sua amata alla fermata del treno. Il resto è roba da edonismo reaganiano che fa sorridere: atleti vincenti, uomini d'affari di successo... Nel peggiore dei casi, si tratta di messaggi innocui, che però nell'era della psicosi molestie divengono pericolosi, proibiti. Siamo passati dal maschio performativo a quello remissivo. Sono due stereotipi, ma il secondo è peggiore. Nello spot degli anni Ottanta, almeno, il maschio non era indicato come un molestatore o un bullo. In quello odierno, invece, la maggioranza degli uomini è descritta proprio così. Sono tutti fondamentalmente violenti, dunque vanno rieducati. E alla rieducazione, ovviamente, provvede lo spot. Un piccolo miracolo neoliberale: prima hanno convinto gli uomini a lavorare come pazzi, a competere come se non ci fosse un domani, a schiacciare il prossimo con ogni mezzo. Adesso li informano che il loro tempo è finito, e che devono adeguarsi alla femminilizzazione di massa. Perché ora tocca alle donne competere e farsi a pezzi con crudeltà. Chissà che ne penserebbe King G. Gillette, fondatore del marchio noto per le idee socialiste e le amicizie con alcuni scrittori molto impegnati come Upton Sinclair... Intendiamoci: tutto questo meriterebbe di essere liquidato con una risata (la pubblicità di un rasoio usa e getta che ha per target le femministe? Davvero?). Ma se si osserva come è stato recepito lo spot si diventa seri all'improvviso. I maschi che, sui social network, hanno contestato il filmato vengono trattati da sessisti vergognosi: la correttezza politica impone che la pantomima di Gillette vada elogiata. «Lo spot racconta un prima e un dopo», ha scritto Antonella Boralevi sulla Stampa. «Il “prima" sono molestie, umiliazioni sessiste, violenza, bullismo: la dimostrazione di una “virilità" intesa come sopraffazione. Il “dopo" mostra uomini consapevoli che intervengono per proteggere le donne, per fermare i violenti, per insegnare ai ragazzi e ai bambini il dialogo». Il fatto è che i maschi hanno agito così per secoli: hanno protetto le femmine e i figli, hanno trasmesso valori alle nuove generazioni, hanno combattuto soprusi. Ora, però, l'intero genere maschile è ridotto alla fiera dei bassi istinti, si salva solo chi sta mogio in disparte con la copertina sulle ginocchia. Oh, certo, noi ragazzi ci siamo anche menati con gli amichetti perché, sì, «siamo maschi». Qualcuno ha pure rincorso una ragazza in strada, rapito dal suo profumo. Non per questo siamo diventati tutti stupratori. Non per questo abbiamo bisogno di essere rieducati. In compenso, però, forse ci serve un nuovo rasoio elettrico. Con quelli a lama rischiamo di tagliarci e, oddio, sarebbe troppo violento, no?
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






