
La serie, quattro episodi realizzati con la cura di norma riservata ai film, sarebbe dovuta andare in onda nel settembre scorso, a ricordare i primi 40 anni dalla strage di via Carini. Rita Dalla Chiesa, però, per il suo coinvolgimento tanto televisivo quanto politico, ha costretto la Rai al silenzio elettorale. Par condicio, si è detto. E Il nostro generale, storia di Carlo Alberto Dalla Chiesa, è stato posticipato. Settembre è diventato gennaio, un anno è finito e un altro è iniziato prima che la Rai potesse riprogrammare il proprio show. La serie che Maria Pia Ammirati, a capo di Raifiction, ha definito «un evento». «Dalla Chiesa è stato un grande eroe civile. Ha attraversato uno dei momenti più bui del nostro Paese», ha spiegato la Ammirati nel corso della tradizionale conferenza stampa, fissando l’esordio de Il nostro generale alla prima serata di lunedì 9 gennaio, su Rai 1 e in streaming su Raiplay. «La missione del servizio pubblico viene centrata pienamente. Noi dobbiamo continuare a ricordare cosa è stata la nostra storia», ha continuato, spiegando come la serie - in onda poi il 10, 16 e 17 gennaio - parta da lontano: dal 1973, dall’anno in cui Dalla Chiesa ha lasciato Palermo per trovare Torino.
Allora, le Brigate rosse rivendicavano i primi morti. C’era paura, ma c’era, al contempo, la difficoltà di dare un nome a quella paura. Cosa fossero le Brigate rosse, quanto pericolose potessero rivelarsi, quanto pervasiva la loro azione criminale era materia di dibattito. Una materia che Dalla Chiesa, solo, ha saputo leggere con immediata chiarezza. Il generale - il volto nella serie è di Sergio Castellitto - è stato il primo a intuire l’entità del pericolo e la necessità conseguente di contrastarlo con mezzi nuovi, attraverso l’istituzione di un nucleo speciale antiterrorismo, di un gruppo di «ragazzi» scelti tra i carabinieri e addestrati per muoversi negli ambienti vicini alle Br.
«Questa è una serie che attraversa i momenti più complessi della storia italiana, passa dalla Resistenza e arriva alla mafia e al terrorismo. La difficoltà è stata rendere semplice la complessità. Avevamo l’obbligo di restituire l’umanità dei protagonisti e, insieme, di dare alla storia un’impostazione seriale», ha detto la sceneggiatrice dello show, Monica Zapelli, spiegando come nella serie convergano diversi bagagli emotivi. Il nostro generale, prodotta con il coinvolgimento della famiglia Dalla Chiesa, dei membri del nucleo e di alcuni magistrati, è la storia di una famiglia, ed è una storia di ragazzi. Di carabinieri giovanissimi e di loro coetanei, di terroristi preda di un sogno rivoluzionario, determinati a sovvertire lo Stato democratico attraverso omicidi, attentati e sequestri. È la storia di un uomo, del suo privato e del suo professionale. È la storia dell’Italia, di un’abilità strategica - quella di Carlo Alberto Dalla Chiesa - che ha saputo condizionarne il corso. «Mio padre è stato l’uomo delle istituzioni, ha insegnato cosa siano. Lo ripeto un’altra volta, mio padre non mi ha mai insegnato la Costituzione leggendomela, me l’ha insegnata con i fatti. Durante l’ultima vacanza, gli chiesi perché era ancora a Palermo, mi rispose che c’era ancora tanta gente che aveva fiducia in lui. E poi mi disse quella frase che ora si trova sulle magliette dei ragazzi di Libera: “Certe cose si fanno non perché si è coraggiosi, ma per avere il coraggio di guardare in faccia i figli e i figli dei propri figli”», è il commento di Nando Dalla Chiesa, fratello di Rita.






