2018-06-15
Il Nobel Stiglitz sull’euro parla come Savona
Intervento dell'economista: «Le tensioni sull'Italia sono prevedibili, la moneta unica ha danneggiato tutti perché è costruita male e la Germania impedisce le necessarie riforme. Roma ha economisti bravi e creativi: può forzare la mano con una uscita di fatto».La Bce annuncia come previsto la graduale riduzione di acquisti sui titoli: lo stop completo a inizio 2019. Ma tassi fermi a lungo. Sull'Italia: nessun complotto né contagio; inutile discutere dell'euro, è irreversibile.Lo speciale contiene due articoli«Il contraccolpo in Italia è un altro episodio prevedibile (e predetto) della lunga saga di un sistema monetario costruito male, in cui il potere dominante, cioè la Germania, ostacola le necessarie riforme e insiste su politiche che esacerbano i problemi». Utilizzando i criteri recentemente esposti da Sergio Mattarella, il premio Nobel 2001 per l'Economia, Joseph Stiglitz, non potrebbe guidare il Tesoro del governo italiano. La frase qui riportata è infatti dello studioso americano, che su Project Syndicate ha appena pubblicato il breve saggio «Can the euro be saved?» («Si può salvare l'euro?», testo completo gratuito leggibile su goo.gl/yL6AYy). Un contrappunto casuale ma durissimo se paragonato alle parole con cui, inevitabilmente, Mario Draghi ha difeso l'euro come «irreversibile», circostanza che rende «di nessun beneficio il discuterne». Di contro, uno dei massimi economisti viventi parla della moneta unica quasi al passato.Draghi ha un passaggio che, non suonasse paradossale, potrebbe essere tacciato di populismo: «L'euro è irreversibile perché è una moneta forte e la gente lo vuole» («People want it», ha scandito). Tale considerazione «vale in entrambi i sensi», ha detto ancora, e cioè sia nei confronti di movimenti euroscettici in Italia sia a riguardo del dibattito aperto in Germania dall'economista Clement Fuest, che con altri colleghi ha chiesto l'introduzione di clausole per un'uscita ordinata dalla moneta unica.Stiglitz la vede in modo diverso, ed è difficile relegarlo a posizioni di retroguardia o di speculazione politica. Peraltro il Nobel si diffonde ampiamente sul nostro Paese, smentendo la convinzione che la moneta unica «protegga» e rafforzi le economie: «L'Italia fatica dall'introduzione dell'euro. Il suo Pil reale del 2016 era ai livelli del 2001. Ma neppure l'eurozona se la passa bene. [...] Nel 2000, l'economia statunitense era del 13% più grande di quella dell'eurozona; nel 2016 la differenza è stata del 26%. Se un Paese va male, la colpa è del Paese; se molti Paesi vanno male, la colpa è del sistema. E l'euro è un sistema quasi destinato al fallimento. Ha tolto ai governi i principali meccanismi di aggiustamento (tassi di interesse e di cambio), e anziché creare nuove istituzioni che aiutassero i Paesi a gestire le nuove situazioni, ha imposto restrizioni - spesso basate su teorie economico politiche screditate - su deficit, debito, e anche riforme strutturali».Da una sponda dell'Atlantico dunque, l'invito a non discutere di ciò che è irreversibile, dall'altra una sentenza non certo nuova al mainstream economico (anzi: solo sui giornali italiani si parla di Savona come di «eretico»), ma comunque pesante: «L'euro avrebbe dovuto portare ricchezza condivisa, che avrebbe spinto l'integrazione europea, ma ha fatto l'opposto». La radice del problema, a giudizio del Nobel che sarebbe comunque favorevole al «salvataggio» della moneta unica, è politica. «Il problema centrale in un'area monetaria è come correggere i disallineamenti del cambio, come quello che sta colpendo l'Italia. La risposta della Germania è di caricare il fardello sui Paesi deboli, già provati da alta disoccupazione e bassa crescita. Sappiamo a cosa porta una scelta simile: più dolore, più sofferenza, più disoccupazione, e ancora minor crescita».La parte finale, poi, è ancora più centrata sull'Italia e sulla situazione creatasi con il nuovo governo gialloblù. «Qui il sentimento antieuro arriva sia da destra sia da sinistra. [...] Salvini potrebbe utilizzare le minacce negoziali che altrove politici con meno esperienza hanno avuto paura di mettere sul tavolo». Quindi, la parte più intrigante, che sembra quasi contenere un riferimento al progetto dei miniBot di cui La Verità ha spesso parlato, prima che finissero nel programma del centrodestra e in quello di governo. Dice Stiglitz: «L'Italia è sufficientemente grande, e ha economisti sufficientemente bravi e creativi, da studiare un'uscita de facto, introducendo in sostanza una doppia moneta flessibile che potrebbe aiutare a recuperare ricchezza. Questo violerebbe le regole dell'eurozona, ma la responsabilità di un'uscita de jure, con tutte le sue conseguenze, sarebbe scaricata su Bruxelles e Francoforte, con l'Italia che conterebbe sulla paralisi dell'Unione europea per scongiurare la rottura finale. Qualunque fosse l'esito, comunque l'eurozona sarebbe a pezzi». La chiusa è ancora più malinconica del timbro del recente libro di Stiglitz (Come una moneta unica minaccia il futuro dell'Europa, Einaudi 2017): «La Germania e gli altri Paesi possono salvare l'euro [...] Ma, visti i precedenti, non mi aspetto che cambino rispetto al passato».Ovviamente chi abbia ragione tra Draghi e Stiglitz lo dirà solo il tempo. Resta il fatto che, mentre i massimi vertici del pensiero economico mondiale discutono apertamente di una possibile frammentazione dell'eurozona con meno danni possibili, proprio le classi dirigenti più direttamente interessate sembrano considerare un'eresia il solo valutare il problema. Problema che pure investe drammaticamente la sicurezza dei Paesi, del lavoro e del risparmio di milioni di persone. Con un corollario: così facendo, si rischia di dar ragione a chi sostiene che la moneta unica - così com'è - sia incompatibile con la democrazia.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-nobel-stiglitz-sulleuro-parla-come-savona-2578120896.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="draghi-fa-lequilibrista-con-il-qe-il-paracadute-si-chiudera-a-meta" data-post-id="2578120896" data-published-at="1758077219" data-use-pagination="False"> Draghi fa l’equilibrista con il Qe Il paracadute si chiuderà a metà L'evento più atteso dagli operatori finanziari e dai lavoratori dipendenti (che usano una buona fetta del proprio stipendio per pagare il mutuo) ha lasciato tutti un po' delusi. La Bce ha annunciato una volta per tutte la fine del quantitative easing, il programma di acquisto titoli di debito dell'eurozona. Non ha però sganciato la bomba. Mario Draghi durante la conferenza stampa ha spiegato che ridurrà gli acquisti a 15 miliardi al mese da ottobre a dicembre, per poi portarli a zero da gennaio 2019. Il bazooka, però, resterà nella cassetta degli attrezzi della Bce, pronto per essere riutilizzato in caso di necessità. Al tempo stesso i tassi resteranno invariati e vicino allo zero per molto tempo. Draghi ha così deluso gli speculatori che si attendevano un cambio di passo brusco e un rialzo dei tassi in grado di spostare la liquidità dalle Borse al mercato dei bond al tempo stesso ha deluso chi sperava che il paracadute dei debiti pubblici rimanesse aperto all'infinito. «Le decisioni prese alla riunione di Riga riflettono in parte un quadro macro ancora solido e un ritorno anche più rapido dell'inflazione al target rispetto a qualche mese fa», spiega Anna Maria Grimaldi della direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo. Le nuove stime dello staff hanno rivisto al 2,1% da 2,4% la crescita 2018 ma confermato le previsioni per il 2019 e il 2020 (rispettivamente all'1,9% e 1,7%). L'inflazione è stata rivista al rialzo all'1,7% (da 1,4%) sia quest'anno che il prossimo, mentre la stima per il 2020 è confermata ancora all'1,7%. «Le previsioni di inflazione sono invariate, dal momento che l'accelerazione dell'inflazione complessiva è interamente spiegata dal rincaro del prezzo del petrolio», prosegue l'analista di Intesa. «Tuttavia, nel comunicato della Bce si legge che il Consiglio si aspetta, da fine anno, un rialzo più duraturo dei prezzi, dati i segnali di accelerazione dei salari». Draghi aveva infatti sottolineato che la bassa crescita salariale fosse l'anello mancante perché si potesse valutare il rialzo dei prezzi interni. «Mantenere in vita il Qe nel contesto attuale non era più ipotizzabile», conclude la Grimaldi. La misura era stata lanciata quando l'area euro nel suo complesso era a rischio deflazione, rischio che è ormai del tutto scomparso dal radar della Bce». Durante la conferenza stampa è stato sollevato un dubbio sul timing della decisione dal momento che il comunicato introduttivo indica che il Consiglio valuta che i rischi per lo scenario macro siano ancora bilanciati ma che l'incertezza, legata al quadro geopolitico e alle politiche commerciali, è aumentata. In poche parole, i Paesi dell'eurozona - soprattutto l'Italia - restano senza paracadute, ma per il momento la Bce ha deciso di non scaraventare nessuno giù dall'area. Insomma, il paracadute si chiuderà a metà. E non è un caso se il governatore della banca centrale durante la conferenza stampa da Riga abbia sminuito le reazioni dei mercati alle dichiarazioni anti euro di alcuni esponenti della Lega. Ha cercato di rassicurare i mercati sull'irreversibilità dell'euro, indicando che l'aumento del premio a rischio in Italia non ha innescato un rischio contagio. In altre parole rispondendo a una domanda sulla possibilità che il ritorno delle tensioni sui titoli sovrani possa portare a una ridenominazione dell'euro, Draghi ha esplicitato: «La valuta è irreversibile perché è forte, perché la gente la vuole e perché non c'è alcun beneficio a discuterne l'esistenza. Non paga discutere di qualcosa che è irreversibile perché può fare solo danni». Risposta, quella di Draghi, riferita sia ai movimenti euroscettici in Italia che al dibattito aperto in Germania dall'economista Clement Fuest. Mentre sul recente aumento di spread tra Btp e Bund ha spiegato: «Voglio sottolineare come a maggio gli acquisti di bond italiani siano stati pari a 3,6 miliardi di euro, superiori ai 3,4 miliardi di marzo e di gennaio. Dunque nessun complotto». Il numero uno della Bce ha spiegato come gli acquisti settimanali e mensili dipendano da diverse circostanze, come ad esempio l'ammontare dei bond che vanno a scadenza e dunque non bisogna trarre conclusioni affrettate dai singoli dati. È ormai chiaro che Draghi abbia scelto per l'ennesima volta di fare l'equilibrista. Da un lato il ciclo espansivo giustifica la fine rapida del Quantitative easing, dall'altro non si può non notare che un ciclo politico è arrivato al capolinea. Senza il bazooka di Draghi sarà difficile finanziare le politiche a debito e deficit. Dalle parole del governatore l'intento di stoppare il cosiddetto moral hazard è palese. Claudio Antonelli