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2020-05-03
«Il no alle messe è incostituzionale». I giuristi cattolici ricorrono al Tar
Ansa
Un'altra domenica di messe in streaming, un'altra domenica di chiesa «virtuale», per usare un termine che papa Francesco stigmatizzò in una sua omelia. E probabilmente non sarà l'ultima. Perché per i cattolici la cosiddetta fase 2 dell'emergenza Covid-19, per ora, prevede solo la possibilità dei funerali con, oltre al defunto, 15 partecipanti. Così contro l'ultimo Dpcm di Giuseppe Conte il Centro studi Livatino presenta ricorso al Tar del Lazio per la parte che ancora chiude alla messe con popolo. Il gruppo di giuristi cattolici chiede conto di quella che ritiene essere una «grave compressione della libertà religiosa», perché, si legge nel ricorso, il Dpcm «se da un lato consente di tornare in fabbriche e uffici, entrare in negozi piccoli e grandi di ogni tipo, andare in parchi e giardini…, dall'altro lato ancora non permette la partecipazione alle cerimonie religiose (eccezion fatta per i funerali con 15 persone) e dunque alla messa domenicale».
La querelle tra Chiesa e governo è scoppiata domenica scorsa, quando Giuseppi ha presentato la fase 2 in conferenza stampa e ha dato il niet alle messe con popolo per volontà della task force guidata da Vittorio Colao. Di lì a poco un comunicato durissimo della Cei ha portato a più miti consigli Conte, il quale ha dichiarato che si sarebbe presto arrivati a studiare un modo idoneo per tornare alle messe con popolo. Papa Francesco martedì, durante una preghiera a Santa Marta, ha poi offerto il salvagente a Giuseppi parlando di «prudenza» e «obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non torni». Tra telefonate vere o presunte fra la residenza Santa Marta e Palazzo Chigi per il lancio di questo salvagente, restano però le veementi prese di posizione di moltissimi vescovi italiani.
Ma dalle risposte alle domande frequenti sul Dpcm per la fase 2, le Faq diffuse ieri da alcuni quotidiani on line con un file bozza, pare che di ponti gettati da Conte per le messe con popolo non ve ne siano tanti. In quel file alla domanda se si possono celebrare messe, matrimoni, funerali o altri riti civili e religiosi, la risposta è che sono «sospese». Nel senso che, come già detto, si possono fare i funerali con al massimo 15 parenti e poi «è sospesa la celebrazione in presenza di una significativa pluralità di fedeli della messa». Cosa si intenda qui per «significativa pluralità di fedeli» è ascrivibile alla categoria dei misteri della fede: 10, 20, 30 fedeli? Due ogni metro quadro? A scacchiera? Uno per panca?
Il mistero è talmente profondo che curiosamente si infittisce con un giallo. Perché la domanda con questa risposta, presente nel file bozza comparso su alcuni quotidiani on line come Faq del nuovo Dpcm, stranamente non compare nella versione definitiva sul sito ufficiale del governo. La bozza non teneva forse conto della querelle fra le due sponde del Tevere? O non teneva conto dei nuovi ponti gettati da Giuseppi in vista della celebrazioni all'aperto, che dovrebbero essere autorizzate dal prossimo 11 maggio? Certo è che sulle messe con popolo ormai siamo al genere comico.
Violazione del Concordato e della Costituzione segnala il Livatino nel ricorso presentato al Tar del Lazio. «Violazione del principio di proporzionalità; eccesso di potere per illogicità; difetto di istruttoria e motivazione; disparità di trattamento», è parte della litania di rilievi che vengono fatti al governo sulla questione libertà religiosa e culto pubblico dal Centro studi Livatino. «Sarebbe stato sufficiente, infatti e come già detto, stilare un protocollo, d'intesa con le autorità ecclesiastiche - cosa che […] sarebbe stato nella sostanza proposto e che è stato fatto per altre parti sociali - per garantire il rispetto delle norme igieniche al fine di soddisfare adeguatamente la giusta esigenza di tutelare la salute pubblica e dei singoli».
Non è una pia richiesta questa del Livatino, visto che perfino l'Oms ha stabilito un protocollo per definire quando le celebrazioni religiose possono ritenersi in sicurezza sanitaria. Da un tavolo che includeva cattolici e altre organizzazioni cristiane, musulmane, buddiste, è uscito un paper che riporta indicazioni utili quali il numero contingentato dei partecipanti ai riti, la garanzia della distanza tra le persone, l'areazione quando i culti avvengano al chiuso, utilizzo di dispositivi di protezione. Insomma, tutte cose di cui i vescovi avevano ampiamente dato rilievo al governo che stava predisponendo la fase 2.
Per ora però solo funerali e con una serie di regole, tra cui anche la misurazione delle temperatura con termoscanner ai 15 parenti ammessi. Con più di 37,5° di temperatura il parente deve andare a casa. Le regole, spiegate ai parroci con una nota di monsignor Stefano Russo, segretario della Cei, vanno dalla preferenza delle celebrazioni all'aperto, fino al modo in cui eventualmente distribuire l'eucaristia. Insomma, si può fare. Basta volerlo. E basta crederci, perché anche in casa cattolica la prudenza di alcuni sembra quella del don Abbondio manzoniano e sarebbe da raccontare ai martiri, quelli che per la fede ci hanno rimesso la vita.
Accade nella diocesi di Chieti-Vasto dove il vescovo, Bruno Forte, ha diramato una comunicazione in cui, vista «l'età avanzata di molti sacerdoti della Arcidiocesi» e «l'impossibilità per molte delle nostre piccole parrocchie di ottemperare a tutte le condizioni elencate», non si celebrano nemmeno i funerali. Si «continuerà, fino a nuova comunicazione, a benedire la salma come fatto finora».
«Multato e redarguito per una preghiera. Non c’è libertà di culto»
L'offensiva contro i fedeli prosegue e in tanti sono stati puniti solo per aver cercato di recitare una preghiera in totale solitudine. Come è capitato a Maurizio Marsigli, 65 anni, di Solarolo (Ravenna). Una figlia e una laurea in geologia, ora in pensione dopo aver svolto molti lavori, multato il giorno di Pasquetta.
Che cosa è successo?
«Facciamo una premessa: da bambino ho avuto la poliomielite e la mia gamba destra è rimasta paralizzata, per di più da poco ho dovuto mettere una protesi all'anca sinistra. Però ho sempre condotto una vita attiva: sono stato campione paralimpico di bici, ho fatto alpinismo, tuttora sono istruttore di arrampicata. Muovermi è una necessità perché se resto fermo a lungo la mia salute e la funzionalità della gamba potrebbero peggiorare. Così, cerco di prendere la bici almeno per andare a comprare il giornale nella piazza del paese. Il giorno di Pasquetta ho deciso di uscire verso sera, quando non c'era nessuno in giro visto che vivo in campagna, per fare una pedalata e dire una preghiera davanti al santuario della Madonna della salute, che si trova a circa un chilometro da casa mia, alla stessa distanza rispetto alla chiesa principale. Prima dell'epidemia magari non andavo a messa tutte le domeniche, ma in questo momento sento il bisogno di un momento di conforto. Visto che sono una persona precisa ho chiesto ai vigili urbani, secondo i quali non avrei avuto nessun problema».
Però è stato sanzionato dai carabinieri, esatto?
«Ero quasi arrivato quando, davanti a un cimiterino a 50 metri dalla chiesa, sono stato fermato. Mi hanno multato e non è servito a nulla ricordare che, secondo le indicazioni della presidenza del Consiglio, avevo il diritto di andare in una chiesa in prossimità della mia abitazione. D'altra parte, il termine “in prossimità" è talmente vago che ognuno lo interpreta come vuole. Non solo mi hanno fermato, appioppandomi 400 euro di multa, ma mi hanno anche impedito di proseguire fino al santuario, dicendo che mi avrebbero fatto un secondo verbale con una sanzione più alta in quanto recidivo. Mi hanno impedito di esercitare la libertà di culto. Mi chiedo: vogliono arrivare a una dittatura? Sto rileggendo 1984 di George Orwell e trovo similitudini assurde».
Ha provato a tornare alla chiesa della Madonna della salute o ha paura?
«Ho fatto ricorso al prefetto, ma non sono tornato. Visto che rimanere fermo per me è un serio rischio, ho studiato un percorso da fare in bici senza allontanarmi mai più di 250 metri da casa. Fino al santuario non vado per timore di nuove multe, al massimo mi fermo per una veloce preghiera nella chiesa in centro quando vado a comprare il giornale. Sono arrabbiato perché sono molto ligio alle regole: la spesa la faccio una volta ogni due settimane, anche se potrei andare al supermercato più spesso e nessuno mi potrebbe dire niente…».
Dal 4 maggio le regole saranno meno severe. Si sentirà più sicuro?
«Teoricamente dovrei, però nel discorso di Giuseppe Conte ho sentito dei grandi “vediamo", “per quanto possibile" e così via. Prima di decidere se rischiare voglio leggere bene il testo di tutti i decreti, dei regolamenti e delle varie ordinanze».
Lei è sempre stato credente o ha riscoperto la fede in questo momento?
«Ho un amico con cui ultimamente affronto spesso questa questione. Tra l'altro lui vive a Malta: se mi fanno uscire, lo raggiungo e chiedo asilo politico… Comunque, lui ha ritrovato una certa spiritualità e ci confrontavamo spesso sul tema. Quando sono rimasto chiuso in casa, con l'idea che sarei potuto morire, è rinata in me la speranza che ci sia qualcosa oltre. Ho studiato in scuole religiose e una parte di quegli insegnamenti è rimasta nel mio intimo. La Madonna della salute, un nome evocativo, è un simbolo. Una situazione come quella che stiamo vivendo avvicina l'uomo a qualcosa di superiore, che esiste».
Cosa pensa dello scontro fra la Cei e il governo?
«Penso che i giallorossi abbiamo prima usato i cattolici per poi rimetterli al loro posto. Lenin, riferendosi ai cattocomunisti, avrebbe parlato di “utili idioti"».
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Per il Centro studi Livatino il governo ha calpestato Carta e Concordato. Il testo lamenta «eccessi di potere» e «disparità di trattamento». Il capitolo sui riti sparisce dalla bozza dell'esecutivo sulle domande frequenti.L'ex campione paralimpico Maurizio Marsigli: «Ho una gamba paralizzata e devo muovermi. Andare in chiesa mi è costato 400 euro».Lo speciale contiene due articoli.Un'altra domenica di messe in streaming, un'altra domenica di chiesa «virtuale», per usare un termine che papa Francesco stigmatizzò in una sua omelia. E probabilmente non sarà l'ultima. Perché per i cattolici la cosiddetta fase 2 dell'emergenza Covid-19, per ora, prevede solo la possibilità dei funerali con, oltre al defunto, 15 partecipanti. Così contro l'ultimo Dpcm di Giuseppe Conte il Centro studi Livatino presenta ricorso al Tar del Lazio per la parte che ancora chiude alla messe con popolo. Il gruppo di giuristi cattolici chiede conto di quella che ritiene essere una «grave compressione della libertà religiosa», perché, si legge nel ricorso, il Dpcm «se da un lato consente di tornare in fabbriche e uffici, entrare in negozi piccoli e grandi di ogni tipo, andare in parchi e giardini…, dall'altro lato ancora non permette la partecipazione alle cerimonie religiose (eccezion fatta per i funerali con 15 persone) e dunque alla messa domenicale».La querelle tra Chiesa e governo è scoppiata domenica scorsa, quando Giuseppi ha presentato la fase 2 in conferenza stampa e ha dato il niet alle messe con popolo per volontà della task force guidata da Vittorio Colao. Di lì a poco un comunicato durissimo della Cei ha portato a più miti consigli Conte, il quale ha dichiarato che si sarebbe presto arrivati a studiare un modo idoneo per tornare alle messe con popolo. Papa Francesco martedì, durante una preghiera a Santa Marta, ha poi offerto il salvagente a Giuseppi parlando di «prudenza» e «obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non torni». Tra telefonate vere o presunte fra la residenza Santa Marta e Palazzo Chigi per il lancio di questo salvagente, restano però le veementi prese di posizione di moltissimi vescovi italiani. Ma dalle risposte alle domande frequenti sul Dpcm per la fase 2, le Faq diffuse ieri da alcuni quotidiani on line con un file bozza, pare che di ponti gettati da Conte per le messe con popolo non ve ne siano tanti. In quel file alla domanda se si possono celebrare messe, matrimoni, funerali o altri riti civili e religiosi, la risposta è che sono «sospese». Nel senso che, come già detto, si possono fare i funerali con al massimo 15 parenti e poi «è sospesa la celebrazione in presenza di una significativa pluralità di fedeli della messa». Cosa si intenda qui per «significativa pluralità di fedeli» è ascrivibile alla categoria dei misteri della fede: 10, 20, 30 fedeli? Due ogni metro quadro? A scacchiera? Uno per panca? Il mistero è talmente profondo che curiosamente si infittisce con un giallo. Perché la domanda con questa risposta, presente nel file bozza comparso su alcuni quotidiani on line come Faq del nuovo Dpcm, stranamente non compare nella versione definitiva sul sito ufficiale del governo. La bozza non teneva forse conto della querelle fra le due sponde del Tevere? O non teneva conto dei nuovi ponti gettati da Giuseppi in vista della celebrazioni all'aperto, che dovrebbero essere autorizzate dal prossimo 11 maggio? Certo è che sulle messe con popolo ormai siamo al genere comico.Violazione del Concordato e della Costituzione segnala il Livatino nel ricorso presentato al Tar del Lazio. «Violazione del principio di proporzionalità; eccesso di potere per illogicità; difetto di istruttoria e motivazione; disparità di trattamento», è parte della litania di rilievi che vengono fatti al governo sulla questione libertà religiosa e culto pubblico dal Centro studi Livatino. «Sarebbe stato sufficiente, infatti e come già detto, stilare un protocollo, d'intesa con le autorità ecclesiastiche - cosa che […] sarebbe stato nella sostanza proposto e che è stato fatto per altre parti sociali - per garantire il rispetto delle norme igieniche al fine di soddisfare adeguatamente la giusta esigenza di tutelare la salute pubblica e dei singoli».Non è una pia richiesta questa del Livatino, visto che perfino l'Oms ha stabilito un protocollo per definire quando le celebrazioni religiose possono ritenersi in sicurezza sanitaria. Da un tavolo che includeva cattolici e altre organizzazioni cristiane, musulmane, buddiste, è uscito un paper che riporta indicazioni utili quali il numero contingentato dei partecipanti ai riti, la garanzia della distanza tra le persone, l'areazione quando i culti avvengano al chiuso, utilizzo di dispositivi di protezione. Insomma, tutte cose di cui i vescovi avevano ampiamente dato rilievo al governo che stava predisponendo la fase 2. Per ora però solo funerali e con una serie di regole, tra cui anche la misurazione delle temperatura con termoscanner ai 15 parenti ammessi. Con più di 37,5° di temperatura il parente deve andare a casa. Le regole, spiegate ai parroci con una nota di monsignor Stefano Russo, segretario della Cei, vanno dalla preferenza delle celebrazioni all'aperto, fino al modo in cui eventualmente distribuire l'eucaristia. Insomma, si può fare. Basta volerlo. E basta crederci, perché anche in casa cattolica la prudenza di alcuni sembra quella del don Abbondio manzoniano e sarebbe da raccontare ai martiri, quelli che per la fede ci hanno rimesso la vita. Accade nella diocesi di Chieti-Vasto dove il vescovo, Bruno Forte, ha diramato una comunicazione in cui, vista «l'età avanzata di molti sacerdoti della Arcidiocesi» e «l'impossibilità per molte delle nostre piccole parrocchie di ottemperare a tutte le condizioni elencate», non si celebrano nemmeno i funerali. Si «continuerà, fino a nuova comunicazione, a benedire la salma come fatto finora».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-no-alle-messe-e-incostituzionale-i-giuristi-cattolici-ricorrono-al-tar-2645903158.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="multato-e-redarguito-per-una-preghiera-non-ce-liberta-di-culto" data-post-id="2645903158" data-published-at="1588457299" data-use-pagination="False"> «Multato e redarguito per una preghiera. Non c’è libertà di culto» L'offensiva contro i fedeli prosegue e in tanti sono stati puniti solo per aver cercato di recitare una preghiera in totale solitudine. Come è capitato a Maurizio Marsigli, 65 anni, di Solarolo (Ravenna). Una figlia e una laurea in geologia, ora in pensione dopo aver svolto molti lavori, multato il giorno di Pasquetta. Che cosa è successo? «Facciamo una premessa: da bambino ho avuto la poliomielite e la mia gamba destra è rimasta paralizzata, per di più da poco ho dovuto mettere una protesi all'anca sinistra. Però ho sempre condotto una vita attiva: sono stato campione paralimpico di bici, ho fatto alpinismo, tuttora sono istruttore di arrampicata. Muovermi è una necessità perché se resto fermo a lungo la mia salute e la funzionalità della gamba potrebbero peggiorare. Così, cerco di prendere la bici almeno per andare a comprare il giornale nella piazza del paese. Il giorno di Pasquetta ho deciso di uscire verso sera, quando non c'era nessuno in giro visto che vivo in campagna, per fare una pedalata e dire una preghiera davanti al santuario della Madonna della salute, che si trova a circa un chilometro da casa mia, alla stessa distanza rispetto alla chiesa principale. Prima dell'epidemia magari non andavo a messa tutte le domeniche, ma in questo momento sento il bisogno di un momento di conforto. Visto che sono una persona precisa ho chiesto ai vigili urbani, secondo i quali non avrei avuto nessun problema». Però è stato sanzionato dai carabinieri, esatto? «Ero quasi arrivato quando, davanti a un cimiterino a 50 metri dalla chiesa, sono stato fermato. Mi hanno multato e non è servito a nulla ricordare che, secondo le indicazioni della presidenza del Consiglio, avevo il diritto di andare in una chiesa in prossimità della mia abitazione. D'altra parte, il termine “in prossimità" è talmente vago che ognuno lo interpreta come vuole. Non solo mi hanno fermato, appioppandomi 400 euro di multa, ma mi hanno anche impedito di proseguire fino al santuario, dicendo che mi avrebbero fatto un secondo verbale con una sanzione più alta in quanto recidivo. Mi hanno impedito di esercitare la libertà di culto. Mi chiedo: vogliono arrivare a una dittatura? Sto rileggendo 1984 di George Orwell e trovo similitudini assurde». Ha provato a tornare alla chiesa della Madonna della salute o ha paura? «Ho fatto ricorso al prefetto, ma non sono tornato. Visto che rimanere fermo per me è un serio rischio, ho studiato un percorso da fare in bici senza allontanarmi mai più di 250 metri da casa. Fino al santuario non vado per timore di nuove multe, al massimo mi fermo per una veloce preghiera nella chiesa in centro quando vado a comprare il giornale. Sono arrabbiato perché sono molto ligio alle regole: la spesa la faccio una volta ogni due settimane, anche se potrei andare al supermercato più spesso e nessuno mi potrebbe dire niente…». Dal 4 maggio le regole saranno meno severe. Si sentirà più sicuro? «Teoricamente dovrei, però nel discorso di Giuseppe Conte ho sentito dei grandi “vediamo", “per quanto possibile" e così via. Prima di decidere se rischiare voglio leggere bene il testo di tutti i decreti, dei regolamenti e delle varie ordinanze». Lei è sempre stato credente o ha riscoperto la fede in questo momento? «Ho un amico con cui ultimamente affronto spesso questa questione. Tra l'altro lui vive a Malta: se mi fanno uscire, lo raggiungo e chiedo asilo politico… Comunque, lui ha ritrovato una certa spiritualità e ci confrontavamo spesso sul tema. Quando sono rimasto chiuso in casa, con l'idea che sarei potuto morire, è rinata in me la speranza che ci sia qualcosa oltre. Ho studiato in scuole religiose e una parte di quegli insegnamenti è rimasta nel mio intimo. La Madonna della salute, un nome evocativo, è un simbolo. Una situazione come quella che stiamo vivendo avvicina l'uomo a qualcosa di superiore, che esiste». Cosa pensa dello scontro fra la Cei e il governo? «Penso che i giallorossi abbiamo prima usato i cattolici per poi rimetterli al loro posto. Lenin, riferendosi ai cattocomunisti, avrebbe parlato di “utili idioti"».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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