
Mentre Repubblica accusa il capo leghista di non rispondere sul rubligate, il settimanale di Gedi che esce in accoppiata persevera nel silenzio. Il conduttore di Report Sigfrido Ranucci, pure lui in possesso dell'audio, attaccato dai media progressisti: «Sono tutti incazzati».La Repubblica accusa il vicepremier Matteo Salvini di non rispondere alle domande dei giornalisti e contemporaneamente Marco Damilano, il direttore dell'Espresso, il settimanale che esce in accoppiata con il quotidiano, continua a non rispondere alle domande di altri giornalisti, iscritti allo stesso albo. Se i quesiti riguardano Salvini allora non rispondere significa affossare la libertà di stampa. Ma se le inchieste su Salvini fanno acqua e sono piene di punti oscuri, Damilano e i suoi segugi fanno lo sciopero della parola e si imbavagliano.Ieri abbiamo scritto che l'audio del Metropol, quello della presunta trattativa per finanziare la Lega, era in possesso da mesi sia dell'Espresso sia della trasmissione della Rai Report, ma che nessuna delle due testate l'ha reso pubblico. Al loro posto ci ha pensato il sito americano Buzzfeed, qualche mese dopo.Sigfrido Ranucci, conduttore della trasmissione, ieri l'altro si è giustificato dicendo: «L'audio noi lo avevamo da mesi. Appena lo abbiamo ricevuto, grazie al collega Giorgio Mottola, ho detto di verificarne il contenuto, utilizzando le banche dati internazionali e gli archivi a cui abbiamo accesso. La nostra preoccupazione era di non trasmettere una cosa fine a sé stessa, come ha fatto sostanzialmente L'Espresso, ma di andare in profondità come facciamo sempre». Apriti cielo. Dopo l'uscita del nostro articolo, intorno a Ranucci si è scatenata la parrocchietta dei giornalisti progressisti. «Sto ricevendo telefonate incazzate da tutti» ci ha scritto ieri mattina. E con le agenzie è stato un po' criptico: «Ho detto (alla Verità, ndr) di aver saputo dell'esistenza delle registrazioni e del ruolo di Gianluca Savoini in inverno. Ma ho anche aggiunto di non ricordare precisamente quando». Ieri con noi ha confermato che la redazione era in possesso dell'audio «da mesi». Ma se Ranucci ha espresso perplessità sull'inchiesta dell'Espresso, il suo inviato Mottola, dopo aver saputo che eravamo a conoscenza del fatto che avesse il file del Metropol da tempo e che ci stesse lavorando, è uscito allo scoperto ed è andato all'attacco di Salvini alla festa della Lega di Cervia. La scena l'ha descritta Repubblica, giornale dello stesso gruppo dell'Espresso. Questo il dialogo: «Sono Giorgio Mottola di Report […] Cosa si è detto con Savoini il 17 ottobre?». Risposta del ministro dell'Interno: «Siamo al 3 agosto, amico mio. Ci sono altre domande?». Mottola avrebbe insistito: «C'è un'inchiesta in corso per corruzione internazionale. Lei ha mentito, ha detto “non sapevo che Savoini fosse a Mosca". Come mai ha mentito pubblicamente, lei è un ministro dell'Interno». Ricevendo questa replica: «Sei un maleducato». Insomma Mottola in tempo reale ha riportato la barca di Report sulla giusta rotta, consentendo a Repubblica di sprizzare la dose giornaliera di indignazione: «Ancora insulti e domande senza risposta».Ieri agenzie e quotidiani hanno tentato di riportare all'ovile anche Ranucci, strappandogli questo commento sulle mancate risposte di Salvini a Mottola: «Credo che un politico, soprattutto quando ha tantissimi consensi, abbia l'obbligo di rispondere alle domande, perché non risponde a un giornalista, ma al pubblico».La Repubblica ha provato a fargli dire che quando il politico non risponde bisognerebbe lasciare in gruppo le conferenze stampa, trovando scarso entusiasmo: «Il nostro dovere è uno solo: continuare a porre domande, sempre». Con La Verità Ranucci, dopo aver protestato, si è concesso un po' di savoir faire: «A noi non risponde mai nessuno». Quindi ha ricordato un po' di inchieste trasversali che hanno suscitato più di un mal di pancia, soprattutto nel mondo del Pd (servizi a cui Repubblica raramente si è appassionata): «Ci siamo occupati di Eni e Unità, dei volantini del padre di Renzi e abbiamo fatto il pezzo sulle Ong che Salvini ha messo sul suo profilo di Facebook».In ogni caso fa sorridere che i cronisti della Repubblica contestino con tanta veemenza a Salvini di non aver dato soddisfazione a Mottola, mentre Damilano dal 21 luglio continua a non rispondere alle nostre semplici domande che puntano a fare luce sui punti oscuri dell'inchiesta giornalistica e su chi l'abbia innescata. Una missione non di poco conto se si pensa che i giornaloni hanno provato a propinarci la favoletta di un coinvolgimento dei servizi segreti russi e americani. Ecco allora l'importanza di ottenere le risposte che si pretendono, giustamente, da Salvini, anche da Damilano. Giusto per essere certi che dietro ai presunti scoop dell'Espresso ci siano le tanto strombazzate e accurate inchieste giornalistiche della casa e non, orrendo sospetto, la manina di qualche misterioso mandante politico.Ma Damilano da settimane, imperterrito, tace.Due giorni fa contro il direttore è sceso in campo il parlamentare europeo dei 5 stelle Dino Giarrusso, preso di mira da un articolo del settimanale: «Lo squallore del gruppo Espresso/Repubblica continua, e il tentativo quotidiano di delegittimare a ogni costo la mia figura mi dà conferma del mio buon operato.Non ho fatto in tempo a dire in tv che L'Espresso perde copie (è la verità, è un fatto) e a Panorama che il M5s è denigrato a prescindere da ciò che fa, che subito il direttore Damilano ha nuovamente scelto di darmi piena ragione, utilizzando il suo potere mediatico come un manganello: non per informare i lettori, ma per colpire un avversario politico con falsi, notizie manipolate, o semplici sciocchezze.L'ultima accusa che mi rivolge L'Espresso è quella di aver assunto come mio collaboratore il mio più stretto collaboratore. Vi fa ridere? In effetti sembra una barzelletta, ma non lo è».Quindi l'ex Iena con La Verità ha aggiunto: «Salvini ha il dovere di rispondere ai cronisti, ma allo stesso modo dovrebbero farlo tutti coloro che hanno un ruolo di rilevanza pubblica, come quello di direttore di giornale. Perché Damilano non replica alla Verità? Quando qualcuno non risponde viene il sospetto che abbia qualcosa da nascondere».
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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