2025-02-28
Il ministro «nazista» copre di soldi
il guru della sinistra e sua sorella
Il dicastero di Alessandro Giuli pubblica l’elenco dei fondi alla cultura assegnati nel 2024: il dem Bettini e la sorella Fabia hanno incassato 315.000 euro per festival in parte tenuti a Bangkok. Foraggiati Arcigay, Anpi, gruppi queer...Goffredo Bettini, anima del Partito democratico ma, soprattutto, guru politico e intellettuale di Roma (pur stando spesso in Thailandia), sostiene che altri cinque anni di governo di Giorgia Meloni sarebbero difficili da digerire. «Diventerebbero un regime», spiegava ieri in un’intervista al Foglio aggiungendo poi di vedere «un certo degrado nel Pd territoriale».Non è chiaro su quali basi Bettini intraveda all’orizzonte l’arrivo di una dittatura in Italia. Forse se ne parla con una certa apprensione nel quartiere di Sukhumvit di Bangkok. Di certo quasi ogni settimana esponenti di centrosinistra, storici esponenti della sinistra radicale o, ancora, iscritti all’Anpi o alle associazioni Lgbt, si riversano in piazza o sui social per protestare contro il governo ma, soprattutto, contro il rischio «fascismo» così come «i tagli alla cultura».Negli scorsi mesi il ministro Alessandro Giuli è stato accusato di essere filonazista, «influenzato di Julius Evola, filosofo del nazismo, animatore negli anni Trenta della scuola di mistica fascista». C’è poco da protestare o lanciare accuse di regime nazista, perché quest’anno il ministero dei Beni culturali del governo Meloni è stato davvero generoso con le iniziative cinematografiche della sinistra italiana, non solo quelle legate alla resistenza partigiana ma anche quelle promosse da storici politici del Partito democratico, come quelle portate avanti dallo stesso Bettini. E questo non vale solo per quelle organizzate dal guru democratico amante della Thailandia, ma anche per quelle di sua sorella Fabia. Il 10 febbraio scorso, infatti, sul sito del ministero dei Beni culturali sono stati pubblicati gli incentivi e i fondi assegnati per le attività e iniziative di promozione cinematografica e audiovisiva del 2024. Vi sono stanziamenti per progetti di internazionalizzazione e cineturismo, per la cultura audiovisiva, analisi e studi, come per festival e rassegne. Così, spulciando nelle varie cartelle, si può per esempio trovare uno stanziamento di 80.000 euro al Moviemov Italian film festival, ideato proprio da Bettini e organizzato in collaborazione con l’associazione culturale Playtown Roma (di Fabia Bettini) e la Camera di commercio italo-thai. La rassegna si è svolta lo scorso anno a Bangkok dal 27 febbraio all’1 marzo. Ha reso omaggio al regista Ferzan Özpetek, con una proiezione di C’è ancora domani, il film con Paola Cortellesi.Tra i festival finanziati c’è poi Alice nella città, sempre organizzato da Playtown Roma a cui sono stati destinati fondi per 235.000. In sostanza, la famiglia Bettini, alle soglie di un regime dittatoriale in Italia, ha incassato ben 315.000 per iniziative culturali. Ma c’è un altro esponente dem che ha beneficiato di questi finanziamenti. Ovvero Francesco Rutelli, ex sindaco di Roma e ideatore di «Videocittà 2024. Il Festival della visione e della cultura digitale» che si è visto destinare 260.000 euro. D’altra parte, a coordinare la commissione per i contributi alle attività di promozione cinematografica e audiovisiva c’è Rossana Rummo, da più di 25 anni dirigente della pubblica amministrazione con specializzazione culturale, braccio destro (e sinistro) negli anni da sindaco di Roma dello stesso Rutelli, ma anche dei governi di Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni al Mibact come direttrice generale.Ma ci sono fondi destinati anche per l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, realtà che ha ereditato «il patrimonio filmico del Partito comunista italiano e della Unitelefilm - società di produzione cinematografica legata al Pci». L’archivio storico dei comunisti italiani incassa 80.000 euro, suddivisi tra 30.000 per il premio Zavattini, altri 25.000 euro per L’Aperossa (che si definisce come «bibliomediateca e cinema su tre ruote») e altri 25.000 euro ancora per Residenza artistica «UnArchive suoni e visioni», rassegna dedicata dedicati al riuso creativo del cinema d’archivio. Ci sono, così, anche altri 20.000 euro all’Archivio nazionale cinematografico della Resistenza fondato a Torino nel febbraio del 1966 per iniziativa di Ferruccio Parri e sostenuto dall’Anpi, l’Associazione nazionale partigiani d’Italia. I fondi vengono destinati per promuovere l’iniziativa: «Il cinema fa la storia. Conservazione, valorizzazione, studio e diffusione delle fonti filmiche audiovisive documentarie nell’era digitale». Ci sono anche 30.000 euro per Piccolo America di Valerio Carocci, tirato in ballo, senza citarlo, dal presidente di Regione Lazio, Francesco Rocca, che negli scorsi giorni ha raccontato come molti soggetti importanti gli avessero chiesto di salvarli «da questo personaggio».Ma c’è spazio anche per il cinema contro le discriminazioni. Nelle tabelle pubblicate si trovano 15.000 euro per il trentottesimo MiX Festival Internazionale di Cinema Lgbtq+ e cultura qeer di Milano, altri 15.000 per il Sicilia queer international new visions film fest 2024. Incassa 10.000 anche l’associazione Arcigay il Cassero di Bologna che il 22 febbraio scorso è sceso in piazza contro il ddl Sicurezza e che non perde giorno per attaccare l’esecutivo. E pensare che nemmeno un mese fa, Irene Manzi, capogruppo del Partito democratico nella commissione Cultura della Camera, spiegava in una nota «come i 130 giorni di governo per il ministro Giuli» sarebbero «stati 130 giorni di nulla». Anzi, Manzi spiegava che il decreto Cultura si sarebbe limitato «a contenere i danni causati dai tagli degli ultimi tre anni operati dal governo Meloni, senza offrire alcuna visione complessiva o strategia efficace per il sistema culturale italiano». Chissà cosa ne pensa Bettini.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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