2022-07-29
Il mea culpa è troppo poco: Trudeau pretendeva che il Papa si umiliasse
Papa Francesco durante la visita in Canada (ansa)
Dopo le scuse agli indigeni, Ottawa critica Francesco per aver condannato i singoli cristiani e non l’intera Chiesa. Un pretesto per un attacco meramente anticlericale.Papa Francesco è andato in Canada con il suo 37° viaggio apostolico proprio per chiedere perdono. «Un viaggio penitenziale», aveva detto fin dall’inizio, sull’aereo che lo stava portando di là dall’Oceano lunedì scorso. Una volta arrivato ha speso quasi tutti gli incontri, anche con tanto di corona di penne testa, per stare vicino agli indigeni locali e fare il suo mea culpa a proposito dei «modi in cui molti membri della Chiesa e delle comunità religiose hanno cooperato, anche attraverso l’indifferenza, a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata dei governi dell’epoca, culminati nel sistema delle scuole residenziali».Ma se ad alcuni le scuse del Papa sono apparse anche troppo generose, per non buttare a mare ciò che di buono ha prodotto l’evangelizzazione cattolica anche in Canada, ad alcuni non sono bastate. Ieri, gruppi di indigeni hanno contestato il Pontefice con lo striscione «Rescind the Doctrine» (Cancella la Dottrina), prima alzato davanti all'altare della messa papale e poi esposto fuori del Santuario nazionale canadese di Sainte Anne de Beaupré, riferendosi alla Dottrina della Scoperta, gli editti emessi dalla Chiesa nei secoli passati che autorizzarono le potenze coloniali a invadere territori americani e africani. Anche il governo di Ottawa è rimasto insoddisfatto dal mea culpa del Papa. Il ministro per le Relazioni Corona-indigeni, Marc Miller, ha dichiarato ieri che le «lacune» nelle scuse chieste dal Pontefice «non possono essere ignorate», aggiungendo che papa Francesco ha parlato del «male» commesso da singoli cristiani, ma «non dalla Chiesa cattolica come istituzione». Uno schiaffo che mostra come ci sia qualche distorsione nella richiesta di scuse, visto che il viaggio del Papa è stato un ritornello continuo sul tema. Eppure anche Murray Sinclair, già presidente della Truth and Reconciliation Commission canadese, ha fatto sapere che il governo cercherà maggiori dettagli su ciò che intendeva papa Francesco quando, nelle sue scuse, ha affermato che sarebbe necessaria una «seria indagine» su quanto accaduto nelle scuole residenziali. Peraltro, proprio sul caso della scoperta di «fosse comuni» nelle cosiddette «Indian residential schools» del Canada, la prudenza e il richiamo a indagini «serie» del pontefice sono sacrosante. Lo indica lo scandalo che ha colpito la Kamloops Residential School, in British Columbia, aperta dalla Chiesa cattolica nel 1890, che è scoppiato nel maggio 2021 a seguito del lavoro della giovane antropologa Sarah Beaulieu. La studiosa, dopo aver analizzato con un georadar il terreno vicino all’ex scuola, ha lanciato l’ipotesi dell’esistenza di una fossa comune, ma ad oggi non risultano essere mai stati eseguiti degli scavi, né quindi ritrovamenti di tombe o resti di corpi. Tanto che lo storico Jacques Rouillard, professore emerito presso il dipartimento di Storia dell’Università di Montreal, ha espresso dubbi sulla validità delle prove desunte esclusivamente con il georadar: «Tutto questo si basa solo su anomalie del suolo che potrebbero essere facilmente causate dai movimenti delle radici, come ha ammonito la stessa antropologa». Eppure, il giorno dopo l’annuncio dei risultati della ricerca della Beaulieu, il primo ministro canadese Justin Trudeau gli ha dichiarato senza mezzi termini: «La notizia che i resti sono stati trovati nell’ex scuola residenziale di Kamloops mi spezza il cuore: è un doloroso ricordo di quel capitolo oscuro e vergognoso della storia del nostro Paese. Penso a tutti coloro che sono stati colpiti da questa angosciante notizia. Siamo qui per voi». Di fronte a questa narrazione il richiamo a «indagini serie» del Papa è come minimo di buon senso, anche perché lo stesso Francesco ha detto chiaramente che «Una parte importante di questo processo è condurre una seria ricerca della verità sul passato e aiutare i sopravvissuti delle scuole residenziali a intraprendere percorsi di guarigione dai traumi subiti», facendo così riferimento a un’altra accusa che gli viene rivolta in queste ore, ossia quella di non aver detto una parola chiara sugli abusi sessuali. Francesco ha più volte fatto riferimento a una intera categoria di abusi, da quelli culturali a quelli fisici. «In quel deprecabile sistema promosso dalle autorità governative dell’epoca», ha ricordato ieri parlando proprio davanti a Trudeau e alle autorità, «che ha separato tanti bambini dalle loro famiglie, sono state coinvolte diverse istituzioni cattoliche locali; per questo esprimo vergogna e dolore e, insieme ai Vescovi di questo Paese, rinnovo la mia richiesta di perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene». Eppure sembra non bastare, il ministro Miller avrebbe voluto che il Papa chiedesse scusa per la Chiesa e non per gli uomini di chiesa, rappresentando così in modo plastico ciò che preoccupava l’allora cardinale Giacomo Biffi di fronte alle scuse per le colpe «della chiesa» che papa Giovanni Paolo II presentò in occasione del Giubileo del 2000. Voleva, Biffi, che non si parlasse di «colpe della Chiesa», ma appunto di «colpe di uomini di Chiesa», preoccupato che «a forza di chiedere scusa si finisse col perdere lo stupore e la gioia di fronte alla mirabile realtà trascendente della Chiesa». Il confine tra giusta «penitenza», secondo il chiaro intento di Francesco, e l’occasione, invece, per un attacco meramente anticlericale alla chiesa purtroppo si dimostra labile.Oppure il governo canadese non ha gradito troppo le parole che Francesco ha rivolto ieri parlando proprio davanti alle autorità, primo ministro Trudeau in testa. «Se un tempo la mentalità colonialista trascurò la vita concreta della gente, imponendo modelli culturali prestabiliti, anche oggi non mancano colonizzazioni ideologiche», ha detto Francesco. Queste «contrastano la realtà dell’esistenza, soffocano il naturale attaccamento ai valori dei popoli, tentando di sradicarne le tradizioni, la storia e i legami religiosi. Si tratta di una mentalità che, presumendo di aver superato “le pagine buie della storia”, fa spazio a quella cancel culture che valuta il passato solo in base a certe categorie attuali».
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)