2021-01-30
Il M5s cala le brache con il Bullo e si spacca
Vito Crimi toglie il veto su Italia viva e chiede al Colle di «ripartire dalla stessa maggioranza». Ma la resa scatena Dibba: «Errore politico tornare con l'accoltellatore». Poi smentisce scissioni. E c'è chi teme che Roberto Fico, l'incaricato, possa dare il colpo di grazia a GiuseppiQuando alle 17.30 di ieri don Vito Crimi, reggente del M5s, legge la sua dichiarazione al termine del colloquio con il capo dello Stato, Sergio Mattarella, dalle parti di Palazzo Chigi (forse) capiscono di aver sbagliato tutto, ma proprio tutto. Crimi sostanzialmente si genuflette a Matteo Renzi, sceglie di tirare a campare invece di tirare (politicamente) le cuoia e serve su un vassoio d'argento al leader di Italia viva la testa di GiuseppeConte. «Al presidente Mattarella», dice Crimi, con al fianco i capigruppo pentastellati alla Camera e al Senato, Davide Crippa e Ettore Licheri, «abbiamo reso la nostra disponibilità a un confronto con chi ha a cuore l'interesse del Paese, per un governo politico che parta dalle forze di maggioranza che hanno lavorato in questo ultimo anno e mezzo insieme, ma con un patto di legislatura chiaro. Per il M5s», aggiunge Crimi, «l'unica persona in grado di condurre con serietà ed efficacia il Paese attraverso questa fase particolarmente complessa è Giuseppe Conte». Crimi ci tiene proprio tanto a far capire a Renzi che il M5s è prontissimo a riaccogliere il figliol prodigo, e si prodiga in aperture che hanno il sapore amaro della resa senza condizioni: «Può oggi», chiede e si chiede don Vito, trasformatosi in Bruno Tabacci, «il Paese accettare che sia il momento dei veti, dei personalismi, dell'arroccarsi sulle proprie posizioni? O piuttosto chiede che sia il momento della responsabilità e della condivisione? È il momento di fare un passo avanti, tutti insieme. E farlo velocemente». È veramente troppo: «Crimi e Bonafede», dice alla Verità un parlamentare M5s di primissimo piano, «ispirati da Conte, ci hanno prima portato sulla linea del mai più con Renzi, e adesso che è fallita l'operazione dei responsabili cambiano rotta in una maniera allucinante. Ci siamo incartati, alla fine ci sarà un governo tecnico o istituzionale, e noi saremo all'opposizione». All'opposizione? «Certo! Se sostenessimo un governo tutto tasse e professori», aggiunge il big pentastellato, «i nostri elettori non è che ci criticherebbero, ci correrebbero appresso per strada. A questo punto varrebbe la pena andare alle elezioni, ma Mattarella ha detto a Conte che non ci pensa nemmeno». Passa una mezz'oretta e Alessandro Di Battista irrompe sulla scena e sembra mandare tutto per aria: «Il 12 gennaio scorso», scrive il Dibba su Facebook, «condivisi la linea presa dai principali esponenti del M5s e scrissi queste parole: “Io credo che se i renziani dovessero aprire una crisi di governo reale in piena pandemia, nessun esponente del Movimento dovrebbe mai più sedersi a un tavolo, scambiare una parola, o prendere un caffè con questi meschini politicanti". Prendo atto che oggi la linea è cambiata. Io non ho cambiato opinione. Tornare a sedersi con Renzi», aggiunge Di Battista, «significa commettere un grande errore politico e direi storico. Significa rimettersi nelle mani di un “accoltellatore" professionista che, sentendosi addirittura più potente di prima, aumenterà il numero di coltellate. E ogni coltellata sarà un veto, un ostacolo al programma del Movimento e un tentativo di indirizzare i fondi del Recovery verso le lobbies che da sempre rappresenta. L'ho sempre pensato e lo penso anche adesso. Se il Movimento dovesse tornare alla linea precedente io ci sono. Altrimenti», minaccia Di Battista, «arrivederci e grazie». Sulla stessa linea, con diverse sfumature, due senatori grillini: Barbara Lezzi e Nicola Morra. La posizione del M5s su Renzi, scrive la Lezzi su Facebook, «è un repentino cambio di linea al quale, per essere legittimato, deve seguire un voto degli iscritti. I due governi formati dal 2018 hanno visto centrale il voto dei nostri iscritti. Anche in questo caso è necessario». «Leggo che siamo più dorotei dei dorotei. Io no!», dichiara Morra. I malumori dei due senatori sono un segnale importante, ma la minaccia di scissione di Di Battista è una vera e propria doccia fredda: «Ci aspettavamo qualcosa del genere», argomenta un parlamentare di primo piano del M5s, «ma non così pesante. Di Battista non ha una vera e propria corrente, ma se va via è un colpo durissimo». Un'altra oretta e pure Di Battista frena i bollenti spiriti, inviando un messaggio ad alcuni parlamentari, riportato dall'Adnkronos: «Nessun rancore con chi non la pensa come me», scrive il Dibba, «ma io questa linea non la condivido. Se non condivido una cosa io mi faccio da parte e mi vivo la mia vita, di certo non faccio scissioni o mi metto a creare correnti, non è da me». Quando Roberto Fico viene convocato al Quirinale per ricevere il mandato di esplorare la esistenza della maggioranza Pd-M5s-Leu-Iv, si comprende che l'esperienza di Conte è ormai quasi definitivamente al capolinea. Il gioco di Renzi è chiarissimo: il Rottamatore dirà di no a Conte, ponendo una serie di pregiudiziali programmatiche insormontabili, e poi proporrà al presidente della Camera di essere lui a guidare il nuovo governo, liberando così pure una casella molto importante. A quel punto, Pd, M5s e Leu non potranno che dire di sì. «Andrà certamente così», riflette un senatore del M5s, «ma a quel punto se Fico accetta diventa il pugnalatore di Conte». La notte scende portando con sé una convinzione diffusa nel M5s: Conte è finito e si arriverà a un governo presieduto da Marta Cartabia, sostenuta dal Pd, da Forza Italia, da tutti i centristi sparsi e con la Lega convinta a entrare in maggioranza con la promessa di un peso importante nella cabina di regia che gestirà il Recovery fund. E il M5s? Si spaccherà ancora una volta.