2019-09-04
Il programma economico
è un libro dei sogni che ci costerà carissimo
Il programma M5s-dem promette di neutralizzare l'aumento dell'Iva, dare soldi per scuole, welfare, infrastrutture, ricerca e Mezzogiorno. Impone il salario minimo. Ma senza sforare i conti. Nasconde infatti il taglio degli incentivi fiscali da 70 miliardi. L'uomo del Conte ha detto sì. La piattaforma Rousseau ha votato e ha benedetto la nascita del governo Pd-M5s. A legare i due partiti non saranno solo le poltrone, ma anche un programma di governo (quello con la Lega si chiamava contratto) basato su 26 punti. Di questi almeno sette riguardano la prossima legge Finanziaria. Se dobbiamo prendere sul serio le promesse economiche il testo ricorda un po' un libro dei sogni con la differenza che il conto rischia di essere salato, almeno 70 miliardi di euro. Da un lato i giallorossi promettono di portare avanti una politica espansiva, ma senza compromettere l'equilibrio della finanza pubblica. In pratica anche se sappiamo che esiste un accordo con l'Europa (sottostante la formazione del nuovo governo) per arrivare al 2,9% di deficit, il testo del programma non cita mai la parola magica. La stessa che al precedente esecutivo è stata più volte negata. In ogni caso, nemmeno tale flessibilità dovrebbe bastare. Si arriverebbe infatti a recuperare circa 12 miliardi di euro, che da soli non sono sufficienti nemmeno a sterilizzare le clausole di salvaguardia e quindi a evitare l'aumento dell'Iva. Eppure sia il Pd che i 5 stelle non vogliono alzare l'imposta sui consumi e al tempo stesso spendere di più per sostenere la famiglia e i disabili, distribuire case a chi non se le può permettere, dare più risorse alla scuola, all'università, alla ricerca e pure al welfare. Senza dimenticare che la promessa di un mega piano di infrastrutture verdi e per la crescita del digitale (con introduzione della Web tax), oltre che del Sud (con il ritorno della Banca del Mezzogiorno). Ne consegue che da qualche parte bisognerà alzare le tasse. Dove? Basta andare al punto quattordici del programma per leggere che il Paese ha biosgno di una profonda riforma fiscale «con semplificazione della disciplina e abbassamento della pressione fiscale». Ma non illudetevi perché il termine abbassamento per i giallorossi non significa taglio delle tasse, ma revisione delle aliquote in cambio dell'eliminazione delle tax expenditures. Si tratta degli incentivi fiscali che nel loro complesso valgono poco più di 70 miliardi di euro. Dal 2011 al Senato giace un progetto per il riequilibrio delle detrazioni e delle deduzioni, con un capitolo che ne ipotizza la quasi integrale eliminazione. Non è mai stato messo in pratica prima, ma adesso potrebbe diventare l'unica vera arma da usare contro il ceto produttivo, quello che non vota né Pd, né 5 stelle. Si tratterebbe di una operazione molto più silenziosa rispetto all'applicazione di una patrimoniale, ma altrettanto devastante. In pratica con questi 70 miliardi di tasse in più si potrebbe avviare il programma dei sogni (o degli incubi) del prossimo governo. All'interno del quale emergerà in modo spaventoso l'ostilità verso il mondo delle aziende. Anche se c'è già da scommettere che la Confindustria di Vincenzo Boccia andrà a nozze con il Conte bis, le altre imprese dovranno fare i conti con obiettivi di govenro al di fuori della realtà e - temiamo - quasi tutti sulle spalle degli imprenditori. «Occorre», si legge sempre nel documento diffuso ieri, «ridurre le tasse sul lavoro, a vantaggio dei lavoratori, individuare una retribuzione giusta (“salario minimo"), garantendo le tutele massime a beneficio dei lavoratori e individuare il giusto compenso anche per i lavoratori non dipendenti, al fine di evitare forme di abuso e di sfruttamento in particolare a danno dei giovani professionisti». Ovviamente tutto bello, anzi bellissimo. Chi non vorrebbe paghe più alte. Lo abbiamo sempre scritto. Ma se per tagliare il cuneo fiscale bisogna alzare altre tasse, allora meglio di no. La riforma fiscale deve essere vera, come quella che ha avviato Donald Trump negli Stati Uniti. Non un guazzabuglio di leggi che alla fine rischiano di ricadere sulle spalle delle aziende. Non dimentichiamo che questo governo vorrà pure avviare una legge sulla parità di genere nelle retribuzioni, recepire le direttive europee sul congedo di paternità obbligatoria e sulla conciliazione tra lavoro e vita privata. Ci sono due modi di farlo. Uno è quello di dare la possibilità a tutte le donne di portare i propri figli a scuola quasi tutto l'anno e di avere asili nido con orari flessibili in modo da non doversi trovare al bivio drammatico che impone la scelta univoca tra famiglia e lavoro. L'altro modo è far calare dall'alto decisioni avulse di concretezza che impongono stipendi più alti senza alcuna flessibilità da lasciare in capo alle aziende. Sarebbe soltanto un modo per ridare fittiziamente nuova vita ai sindacati, visto che a breve rischiano di perdere pure il ruolo di rappresentanti dei pensionati.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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