2019-06-16
Il grande inganno della droga «buona» avvelena l’Europa
Per il rapporto Oedt la cannabis è la star degli stupefacenti Il pilastro che regge e alimenta il mondo delle tossicomanie.Un continente fuori controllo. È questa l'immagine dell'Europa fornita dall'ultimo rapporto annuale dell'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (Oedt). Per l'alcol, la sostanza (peraltro lecita) preferita dal presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, già si sapeva: gli europei bevono di più anche del Nord America e quasi il doppio della media di consumo nel mondo. Più impressionante è però la crescita continua in Europa di tutte le droghe vietate, con in testa naturalmente la «leggera» cannabis, nelle sue versioni di hashish e marijuana, in questo documento confermata vera star dell'intero campo degli stupefacenti. È lei il pilastro che regge e alimenta il tragico mondo delle tossicomanie, sia in quanto sostanza di iniziazione e accesso a tutte le altre, sia come stabile fonte di finanziamento dell'intera attività: con la sua diffusione assicura da sola un fatturato equivalente alla somma di tutte le altre.Un autentico miracolo commerciale, dovuto al fatto che questa droga più di ogni altra possiede un mito, promosso potentemente (con poche eccezioni) dall'intero sistema di comunicazione occidentale. È il mito della droga «buona», che addolcisce, rilassa e produce relazioni affettuose e non competitive. Falsissimo ma genialmente consolatorio, perché offre un'uscita immaginaria dallo stile di vita dell'Occidente contemporaneo (cui la droga è destinata): iperteso, con poche pause, e soprattutto poche relazioni davvero autentiche, annegate in una socialità diffusa, ma totalmente superficiale. Anche per l'impegno posto dalle istituzioni nell'eliminare tutte le tradizioni che potevano fornire legami e sicurezze. Si tratta però di un mito tossico, perché nella cannabis all'effetto rilassante che apparentemente toglie di mezzo la competizione e l'angoscia della vita quotidiana segue puntualmente uno scenario paranoico in cui non ci si fida più di nessuno; al «peace and love» segue l'aggressività e l'odio e alla socialità una sostanziale solitudine. Ogni generazione di consumatori del «fumo» lo scopre, spesso troppo tardi. Comunque la «sindrome da cannabis» ispira dal 1965 in poi buona parte dei comportamenti e delle fissazioni dell'Occidente. Compreso il delirio del «fascismo alle porte» che ha accompagnato le ultime campagne elettorali della sinistra facendone polpette, lasciando tra il perplesso e lo stupefatto anche molti vecchi amici e militanti (che l'hanno poi anche detto e scritto). Un incubo che si può tranquillamente leggere come un caso di studio di intellettuali cannabizzati troppo a lungo, tuttora prigionieri dei fantasmi paranoidi della droga dolce.Non si può però accettare che l'intossicazione e il delirio continuino, come fanno pensare i dati presentati dall'Osservatorio europeo sulle droghe, compromettendo la salute fisica e psichica e la capacità di lavorare delle generazioni successive agli affondatori del continente. Il 20% dei giovani adulti europei (15-24 anni) hanno consumato cannabis nell'ultimo anno su cui si hanno dati omogenei (2017, e il 2018 è andato peggio). La media va dal 21,8% della Francia, seguita a ruota dall'Italia, a meno del 5% nei Paesi del gruppo di Visegrad; sulle droghe più furbi. Si noti che fino ai 17 anni il rischio di successivi sviluppi psichiatrici con depressioni gravi, psicosi e schizofrenie, è riconosciuto da tutti gli studi e esperienze cliniche. L'Italia, seconda di poco in classifica, è però il Paese dove più frequentemente i nuovi utilizzatori della droga chiedono aiuto al Servizio sanitario nazionale per gravi malori o scompensi psichici o fisici: alla faccia di chi dice che la «droga leggera» non fa niente (e «chissà come si annoia», commentava ironicamente in una vignetta satirica già molti anni fa il pittore psichedelico e antropologo metropolitano Matteo Guarnaccia). Potrebbe essere un segno di saggezza dei giovani consumatori italiani. Ma forse invece rivela come grazie alle evolute mini liberalizzazioni della produzione a domicilio, dei mercatini delle sementi, dei manuali per la semina e consigli per gli acquisti, ormai si fabbrica e si vende di tutto, comprese erbe e resine di qualità ultrapotenti che ti sballano e spediscono all'ospedale già al primo colpo. La relazione infatti mostra un dato nuovo, e nient'affatto gradevole: oltre che grandi consumatori, i Paesi europei sono ormai efficienti e attrezzati produttori di droga, in particolare cannabis e droghe sintetiche. Le campagne pro liberalizzazione sono a quanto pare servite soprattutto a creare e diffondere tecnologie e processi per cui oggi l'Europa (conferma l'Osservatorio europeo) è anche un attrezzato produttore e distributore di droghe. Soprattutto (fino ad oggi) cannabis e droghe sintetiche (queste ultime per l'esportazione). Una bella differenza con l'impeccabile Europa che la propaganda di regime cerca di venderci (non senza difficoltà) per persuaderci della bontà delle sue ricette economiche e comportamenti politici. Da questa relazione esce invece l'inquietante mister Hyde finora nascosto dietro la maschera dall'ineccepibile dottor Jekyll: un «Continente canaglia», «disonesto, senza princìpi, inaffidabile, che assume iniziative stravaganti e potenzialmente pericolose», come vennero definiti all'inizio del secolo quegli Stati (chiamati appunto «canaglia») che facevano i loro interessi senza preoccuparsi del diritto internazionale, dell'etica e della prudenza elementare.Si capiscono così meglio le ambiguità della stessa relazione verso «il modo in cui la società dovrebbe rispondere a questa sostanza», come se ce ne fossero tanti altri, oltre al dire no. Si cita allora, naturalmente: «il valore terapeutico della cannabis» e i «costi della sua regolamentazione e controllo». Fa così capolino nel lettore la domanda: ma se la vogliono in tanti, controllarla costa un sacco di soldi, magari fa anche bene, ed è anche «made in Europe», perché non gliela lasciamo comprare, e buonanotte? Anche se poi tre righe dopo tocca riconoscere che «la cannabis è oggi la sostanza più frequentemente indicata da chi si rivolge a un servizio per la tossicodipendenza come motivo principale che induce a chiedere aiuto». D'altra parte è naturale: l'Osservatorio europeo per le droghe è un organismo della comunità, ha un budget di 15,2 milioni di euro, e per ora deve rispettare gli stessi equilibri politici che stanno producendo il suicidio del continente. Anzi, l'attuale relazione è molto più esplicita sulla gravità della situazione e sul ruolo centrale della cannabis di tutte quelle che l'hanno finora preceduta. Si sa peraltro che quando in un documento compare più di tot volte l'espressione «problema complesso» o «situazione complessa», chi l'ha stesa ci sta educatamente dicendo: «il fatto è che non sappiamo che pesci pigliare» e anche «forse non possiamo neppure prenderli». Fin troppo comprensibile. Comunque è un buon lavoro. Che dovrebbe spingere le persone di buona volontà a rovesciare il tavolo.