
Anticipazione del Wall Street Journal. L'azienda è stata multata tre volte dall'Ue.Il dipartimento della Giustizia statunitense ha messo nel mirino Google, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal. Secondo il quotidiano finanziario, il dicastero guidato da William Barr è pronto a lanciare un'indagine antitrust sul colosso del Web, già più volte criticato dal presidente Donald Trump. Il dipartimento vuole vederci chiaro circa le pratiche di ricerca di Google. Un tema che nel 2013 fu oggetto di indagini da parte della Federal trade commission, l'Antitrust a stelle e strisce, che aveva condotto un'investigazione sul colosso di Moutain View, chiusa senza prendere alcun provvedimento. All'epoca molti criticarono la decisione di non agire contro Google sostenendo che il principale motore di ricerca online sfrutti la sua posizione dominante per danneggiare la concorrenza. Ora, secondo il Wall Street Journal, l'Antitrust statunitense avrebbe accettato di dare la giurisdizione al dipartimento della Giustizia. Il tutto mentre la stessa Federal trade commission all'inizio di quest'anno ha istituito una task force per esaminare la condotta delle società tecnologiche e le loro fusioni passate.Né Google né il dipartimento di Giustizia hanno scelto di commentare l'articolo del Wall Street Journal. Secondo il quotidiano, gli obiettivi precisi dell'indagine rimangono sconosciuti. Come fa notare il sito statunitense Axios, il dibattito sulla regolamentazione dei giganti della tecnologia si è spostato dal se al come. A testimoniarlo c'è il fatto che sono le stesse aziende ormai a sostenere la necessità di una regolamentazione, soprattutto per quanto riguarda la privacy, purché sostenibile. «Non penso che grande corrisponda necessariamente a cattivo, ma penso che molte persone si chiedano come mai questi giganteschi mostri della Silicon Valley abbiano preso forma sotto il naso dell'Antitrust», ha detto il procuratore generale Barr ai senatori a gennaio. «Puoi guadagnarti quel posto nel mercato senza violare le leggi antitrust, ma voglio saperne di più».In Europa Google è stata sanzionata ben tre volte dal commissario europeo per la Concorrenza: nel 2017 per 2,4 miliardi di euro per abuso di posizione dominante nel settore della comparazione e shopping online, nel 2018 per la cifra record di 4,34 miliardi per gli stessi abusi legati però al sistema operativo Android, infine a marzo scorso per 1,49 miliardi a causa di pratiche scorrette nella pubblicità online.Dopo la svolta di Bruxelles, che è valsa al commissario per la Concorrenza Margrethe Vestager il palcoscenico europeo fino a portarla a essere lo spitzenkandidat dei liberali dell'Alde, il vento sta cambiando rapidamente anche negli Stati Uniti, che in precedenza avevano scelto di lasciar fare. Google e Facebook, in particolare, sono i due colossi finiti nel mirino di diversi parlamentari, sia repubblicani sia democratici, che hanno invocato un intervento dell'Antitrust.Non soltanto il presidente Trump, ispirato probabilmente dal suo ex stratega Steve Bannon, ha spesso preso di mira i giganti della tecnologia. Tra chi chiede una stretta ai colossi del Web ci sono pure Elizabeth Warren, senatrice e candidata presidenziale del Partito democratico, e i senatori Amy Klobuchar (democratica) e Marsha Blackburn (repubblicana), che hanno recentemente firmato una lettera rivolta all'Antitrust affinché «agisca» contro i big.Tra i repubblicani c'è chi sospetta che i grandi gruppi utilizzino la propria forza per influenzare il dibattito pubblico e soffocare i discorsi conservatori. «Se abbiamo società tecnologiche che sfruttano la forza di un monopolio per censurare il dibattito politico, penso che ci siano reali questioni relative all'antitrust», ha dichiarato il senatore Ted Cruz in un'audizione ad aprile. Accuse respinte dalla compagnia di Mountain View.
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)
Inquietante caso di censura: prelevato dalla polizia per un video TikTok il figlio di un collaboratore storico di Jean-Marie Le Pen, Gannat. Intanto i media invitano la Sweeney a chiedere perdono per lo spot dei jeans.
Sarà pure che, come sostengono in molti, il wokismo è morto e il politicamente corretto ha subito qualche battuta d’arresto. Ma sembra proprio che la nefasta influenza da essi esercitata per anni sulla cultura occidentale abbia prodotto conseguenze pesanti e durature. Lo testimoniano due recentissimi casi di diversa portata ma di analoga origine. Il primo e più inquietante è quello che coinvolge Jean Eudes Gannat, trentunenne attivista e giornalista destrorso francese, figlio di Pascal Gannat, storico collaboratore di Jean-Marie Le Pen. Giovedì sera, Gannat è stato preso in custodia dalla polizia e trattenuto fino a ieri mattina, il tutto a causa di un video pubblicato su TikTok.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro fa cadere l’illusione dei «soldi a pioggia» da Bruxelles: «Questi prestiti non sono gratis». Il Mef avrebbe potuto fare meglio, ma abbiamo voluto legarci a un mostro burocratico che ci ha limitato.
«Questi prestiti non sono gratis, costano in questo momento […] poco sopra il 3%». Finalmente il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti fa luce, seppure parzialmente, sul grande mistero del costo dei prestiti che la Commissione ha erogato alla Repubblica italiana per finanziare il Pnrr. Su un totale inizialmente accordato di 122,6 miliardi, ad oggi abbiamo incassato complessivamente 104,6 miliardi erogati in sette rate a partire dall’aprile 2022. L’ottava rata potrebbe essere incassata entro fine anno, portando così a 118 miliardi il totale del prestito. La parte residua è legata agli obiettivi ed ai traguardi della nona e decima rata e dovrà essere richiesta entro il 31 agosto 2026.
I tagli del governo degli ultimi anni hanno favorito soprattutto le fasce di reddito più basse. Ora viene attuato un riequilibrio.
Man mano che si chiariscono i dettagli della legge di bilancio, emerge che i provvedimenti vanno in direzione di una maggiore attenzione al ceto medio. Ma è una impostazione che si spiega guardandola in prospettiva, in quanto viene dopo due manovre che si erano concentrate sui percettori di redditi più bassi e, quindi, più sfavoriti. Anche le analisi di istituti autorevoli come la Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) tengono conto dei provvedimenti varati negli anni passati.
Maurizio Landini (Ansa)
La Cgil proclama l’ennesima protesta di venerdì (per la manovra). Reazione ironica di Meloni e Salvini: quando cade il 12 dicembre? In realtà il sindacato ha stoppato gli incrementi alle paghe degli statali, mentre dal 2022 i rinnovi dei privati si sono velocizzati.
Sembra che al governo avessero aperto una sorta di riffa. Scavallato novembre, alcuni esponenti dell’esecutivo hanno messo in fila tutti i venerdì dell’ultimo mese dell’anno e aperto le scommesse: quando cadrà il «telefonatissimo» sciopero generale di Landini contro la manovra? Cinque, dodici e diciannove di dicembre le date segnate con un circoletto rosso. C’è chi aveva puntato sul primo fine settimana disponibile mettendo in conto che il segretario questa volta volesse fare le cose in grande: un super-ponte attaccato all’Immacolata. Pochi invece avevano messo le loro fiches sul 19, troppo vicino al Natale e all’approvazione della legge di Bilancio. La maggioranza dei partecipanti alla serratissima competizione si diceva sicura: vedrete che si organizzerà sul 12, gli manca pure la fantasia per sparigliare. Tant’è che all’annuncio di ieri, in molti anche nella maggioranza hanno stappato: evviva.





