Benché i dati provino che la terza dose non funziona, Speranza e gli esperti di regime spingono per la quarta. Evidentemente perché, come svelato dalla «Verità» e «Report», ne hanno comprate cinque per ogni italiano.
Benché i dati provino che la terza dose non funziona, Speranza e gli esperti di regime spingono per la quarta. Evidentemente perché, come svelato dalla «Verità» e «Report», ne hanno comprate cinque per ogni italiano.Da giorni medici, dirigenti ospedalieri e sanitari non fanno che ripetere lo stesso concetto: anche se i casi di Covid sulla carta aumentano, non c’è emergenza. Semmai, il vero problema riguarda il fatto che si continua impunemente a effettuare tamponi a tappeto, meccanismo che ovviamente conduce a un aumento spropositato del numero di positivi. Parliamo di persone che mostrano pochi o nessun sintomo, e che andrebbero trattate come normalmente si fa con chi contrae una malattia respiratoria: qualche giorno di riposo e poi il ritorno alla normalità. L’ossessione per il tamponamento di massa sta causando guai soprattutto alle strutture sanitarie, che perdono il personale in isolamento e devono gestire pazienti che entrano per le patologie più varie e poi al test si scoprono positivi. Un governo normale e un sistema mediatico sano, a questo punto, ascolterebbero gli appelli provenienti da tutta Italia (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Liguria...) e provvederebbero a correggere la stortura. Invece dalle nostre parti che si fa? Semplice: si ignorano i problemi veri e si ingigantisce l’allarme su quelli fittizi. I quotidiani, a dispetto di ciò che loro stessi hanno pubblicato nei giorni passati (sebbene sempre in maniera piuttosto defilata), spostano subito l’attenzione sulla curva in crescita. «Omicron dilaga», titola Repubblica. «Contagi record», fa eco il Corriere della Sera. Che poi i numeri siano dovuti al pasticcio che abbiamo appena illustrato sembra non importare a nessuno. Come prevedibile, non importa nemmeno a Roberto Speranza, il quale ha accuratamente evitato di ascoltare le voci dei professionisti della salute per stare a sentire chissà quali altri richiami. La sua preoccupazione, in queste ore, è di invitare gli italiani a farsi il secondo booster (la famigerata quarta dose). «Il mio appello soprattutto ai più fragili è di fare subito il secondo richiamo e a tutte le persone di utilizzare la mascherina nelle situazioni a rischio, dove ci sono potenziali assembramenti o situazioni che possono favorire il contagio», dichiara il ministro. È la solita vecchia panacea: puntura e mascherina, estate sopraffina. Il ministero della Salute si è addirittura premurato di lanciare una iniziativa promozionale in grande stile. Si tratta, spiega il comunicato ufficiale, di una «campagna di comunicazione lanciata dalla presidenza del Consiglio dei ministri e del ministero della Salute, che sarà diffusa sulle reti Rai, sul Web e sui social media». Per l’occasione sarà diffuso un video in cui si può ammirare «un nipote che accompagna la nonna ottantenne a farsi somministrare la quarta dose di vaccino dal medico curante. Il claim e hashtag dello spot, in linea con quello dell’intera campagna vaccinale anti Covid, è “Facciamolopernoi”». Obiettivo di tutto l’ambaradan è «aumentare il numero dei vaccinati con la quarta dose, per proteggere la popolazione più fragile dal Covid-19 e ridurre il numero dei ricoveri». Ed è molto interessante la precisazione che si legge nel comunicato stampa ministeriale: «Per ora, le categorie destinatarie della seconda dose booster sono anziani over 80, anziani residenti nelle Rsa, over 60 con condizioni di elevata fragilità, familiari e caregiver delle persone delle categorie destinatarie. Ma non è improbabile che la platea possa venire ampliata a altre fasce della popolazione». Ah, ma pensa un po’. Intanto si comincia con anziani e fragili, poi chissà... E come sempre quando c’è da alzare la tensione, ecco farsi vivi i sempre entusiasti profeti della Cattedrale sanitaria, tipo il fenomenale Pier Luigi Lopalco (quello che il virus non lo portavano i migranti ma i manager in business class), pronto a dichiarare che bisogna fare subito «il secondo richiamo» e non si deve nemmeno «aspettare il nuovo vaccino». Se la ragione non fosse già stata ampiamente annichilita, basterebbero le parole dei dirigenti sanitari sulla dannosità dei test massivi per capire quali azioni si dovrebbero realmente intraprendere. Ma visto che la psicosi vaccinale domina, ci accontenteremmo che qualcuno di questi luminari fissati con la quarta dose ci esibisse non una, bensì mezza prova scientifica di ciò che afferma. Anche perché, a dirla tutta, i dati forniti dall’Istituto superiore di sanità mostrano che perfino la terza dose è piuttosto deludente. Lo abbiamo scritto nei giorni scorsi: l’incidenza dei casi di Covid, a livello della popolazione generale, è pressoché identica in non vaccinati e tridosati: 1,69% contro 1,66. Di più: tra i 40 e i 59 anni, l’incidenza del virus è più alta tra chi è stato sottoposto al booster (che per tanti è obbligatorio). Tradotto: se la terza dose mostra di non funzionare, perché si insiste con la quarta? E ancora: se il problema non sono i numeri dei malati ma i tamponi in eccesso, perché aumenta la pressione sulle nuove iniezioni? Di sicuro pesa il delirio sanitario. Ma ci viene anche un forte sospetto: che si continui a spingere il secondo richiamo perché ci sono tanti flaconi da smaltire. La Verità e Report, già un paio di settimane fa, hanno raccontato tutto senza timori: lo Stato italiano ha comprato qualcosa come 321 milioni di dosi di vaccini. Facendo qualche rapido conto, il nostro giornale ha mostrato che le nostre autorità sono pronte «a somministrare 6,48 dosi agli italiani che hanno accettato di fare le prime due iniezioni. Se, invece, contassimo l’intera popolazione, arriveremmo comunque a 5,3». In pratica ci sono un bel numero di dosi in eccesso, almeno due per ogni cittadino. Ieri anche il Fatto è tornato sulla pratica, scrivendo che a oggi ci sarebbero 48 milioni di dosi inutilizzate, di cui 3,3 scadono entro agosto. Ed ecco il punto. I contratti capestro che abbiamo firmato ci hanno obbligato ad acquistare fiale in eccesso, e il giro di soldi non è certo piccolo. Non è che ora si spinge sul nuovo booster per consumare le scorte che rischiano di andare a male? Dite che facciamo brutti pensieri? Beh, non siamo di certo gli unici...
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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