2020-10-10
Il governo si spacca ancora su Autostrade. Gualtieri fa melina mentre il M5s attacca
Il ministro parla di transazione, ma Giancarlo Cancelleri tuona: «Basta» Come nel gioco dell'oca, si torna sempre al punto di partenza.Nell'eterno gioco dell'oca della politica italiana, c'è sempre un momento in cui si torna alla casella di partenza. È anche il caso del dossier Autostrade, che mostra in modo plastico l'inattitudine a decidere da parte del governo guidato da Giuseppe Conte (i «penultimatum» oggetto dell'editoriale di ieri del direttore Maurizio Belpietro). E sempre 24 ore fa, è arrivato su Facebook l'ennesimo urlo, sotto l'eloquente titolo «Vergognoso e inaccettabile atteggiamento di Aspi», di Giancarlo Cancelleri, viceministro grillino a Infrastrutture e trasporti: «Ora basta! Dopo mesi di trattative e interlocuzioni mi sembra evidente che l'atteggiamento di Aspi sia tutt'altro che ragionevole o di chi ha intenzione di trovare un accordo. Il governo non tratta al ribasso!». Fino alle conclusioni fiammeggianti: «Forse non è chiaro un dettaglio: la procedura di revoca è già stata avviata e Atlantia in data 14 luglio si è impegnata, sottoscrivendo un documento, al fine di evitarla, ma è chiaro che non ci sono le condizioni, perché ieri ci hanno fatto sapere che non intendono rispettare una parte di quegli impegni presi. Se le cose stanno così, la revoca rimane l'unica via».Peccato che, poche ore prima, Roberto Gualtieri, a Porta a Porta, pur apparentemente dicendo cose non troppo dissimili, fosse stato molto più cauto: «Se l'accordo transattivo delineato non venisse raggiunto per responsabilità del concessionario, naturalmente non si potrebbe interrompere il processo di caducazione che è stato temporaneamente sospeso proprio in virtù delle proposte del concessionario».Cancelleri ha dunque deciso di esporsi nuovamente, dopo qualche settimana in cui si era mediaticamente inabissato a seguito di un paio di clamorosi infortuni: prima la figuraccia estiva a Porto Empedocle, quando scambiò per una comitiva di turisti una nave quarantena per migranti; e poi il video virale di un mesetto fa, che, tra le proteste di valanghe di utenti, lo ritrasse scatenato a cantare e ballare in automobile, insieme a Paola Taverna, senza mascherine e senza cinture di sicurezza, sulle note dei Queen. Peccato - tornando alla sostanza - che si abbia la sensazione costante del déjà vu. Tredici mesi fa, a metà settembre, nella prima settimana di vita del governo Conte bis, assistemmo allo stesso spettacolo. Nella trincea pro Atlantia (metaforicamente parlando) si collocò il ministro Pd Paola De Micheli (la titolare del ministero di Cancelleri), che infiammò i grillini con un'intervista nella quale escludeva la possibilità della revoca («Nel programma è prevista solo la revisione»). Nel suo discorso programmatico alle Camere, un Giuseppe Conte democristianissimo parlò di una «progressiva e inesorabile revisione di tutto il sistema». Così, quelli del Pd poterono focalizzarsi sulla revisione, che per definizione esclude la revoca, mentre i grillini esultarono per l'aggettivo «inesorabile», che lasciava presagire chissà quale infernale punizione per i Benetton. E poi si scatenò proprio Cancelleri, che disse subito il contrario dell'esponente Pd: «Il nostro imperativo è proseguire sul percorso tracciato dall'ex ministro Toninelli, la revoca delle concessioni ai Benetton. Altra strada non c'è». La realtà è che i due partiti hanno sempre avuto esigenze diverse. Da una parte ci sono i grillini, che vorrebbero mostrare il pugno di ferro (e che soprattutto non reggerebbero davanti all'opinione pubblica un'ulteriore capitolazione). Dall'altra ci sono quelli del Pd, da sempre oggettivamente interlocutori di un mondo di concessionari, oltre che di una serie di famiglie simbolo di un capitalismo italiano assai poco abituato alla durezza del mercato e della concorrenza, ben al di là della specifica questione Autostrade: pochi capitali messi a rischio, enormi profitti, grandi relazioni. E infatti (ecco il gioco dell'oca) ogni tanto si torna indietro. L'ultima volta è successo a fine maggio 2020, quando fu ancora Cancelleri a scatenare la bagarre: «Aspi, quelli del crollo del ponte di Genova, che si sono macchiati delle 43 vittime, che non hanno neanche chiesto scusa, quelli lì dei Benetton, che ricattavano il governo, se ne sono usciti con una novità. Hanno detto: se non ci fate la garanzia dello Stato per avere un prestito anche noi di qualche miliardo, non facciamo gli investimenti. Il ricatto, la logica del ricatto…». E a questo punto arrivò la botta del viceministro contro la De Micheli: «Il ministro De Micheli ha questo dossier dove ha fatto insieme con Aspi una sorta di trattativa. Non lo conosce nessuno questo dossier, non lo conoscono né il M5s né le altre forze di governo, né il presidente Conte. Lo ha dichiarato lei sui giornali. Ebbene che lo tirasse fuori (il congiuntivo fu opera del viceministro grillino, ndr)».Come si vede, periodicamente, si alternano furori grillini, frenate piddine, e inconcludenti mediazioni contiane. Forse prima o poi sarà qualche grande player industriale o bancario a interrompere la melina e a imporre un qualche finale di partita.
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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