2019-08-30
Il governo non c’è ma la Ue già applaude: «Faremo di tutto per ricompensarlo»
Il commissario tedesco Günther Oettinger: «Adesso aiuteremo l'Italia». Ma è il «vincolo esterno» che alimenta il cosiddetto populismo. Tout est pardonné», scriveva Charlie Hebdo il 12 gennaio 2015, in una prima pagina storica a pochi giorni dall'attentato islamista nella redazione della rivista francese. Più o meno è quello che mezzo mondo sembra dire all'Italia «liberata» dell'agosto 2019: tutto è perdonato. Di colpo va tutto benissimo: lo spread scende, la Borsa sale, appaiono miliardi, risparmi e tesoretti, le istituzioni comunitarie applaudono un governo che ancora non c'è ma è «pro Europa», dunque - spiega Repubblica - ci si può rilassare e «festeggiare il ritorno dell'Italia tra le democrazie liberali ed europeiste». L'accelerazione dopo lo strappo di Matteo Salvini avrà stupito il leader leghista, ma non può non lasciare interrogativi profondi sulle forme della nostra politica, che paiono quasi svuotate dalle ultime giornate. Segretari (e capi politici) delegittimati che subiscono trattative che non volevano e lavorano a un governo che - fin qui - non ha nessuna base politica, a parte la conventio ad excludendum esplicita nei confronti della Lega. Del resto, Salvini e i suoi scontano forse un deficit diplomatico-culturale che un partito deciso a una sfida come quella immaginata dal vicepremier uscente non può permettersi.Chi mette in luce una possibile eterodirezione della crisi, provocata dal Carroccio ma immediatamente incardinata sui binari del Conte bis, ha in queste ore alcuni elementi difficili da eludere dal discorso pubblico. Al netto della ricostruzione del G7 di Biarritz, che evidentemente è servito ad accreditare la nuova veste del premier camaleonte in sede diplomatica con l'appoggio del Colle, ieri la Commissione europea ha avallato la piroetta giallorossa con una tenaglia impressionante.Prima ancora che il governo sia composto, insediato, abbia un programma, prenda la fiducia, il presidente Juncker ha già recapitato i più «sentiti auguri» a Conte. Il suo commissario Günther Oettinger, noto alle cronache per legami con personaggi sospettati dalla polizia tedesca di appartenenza alla 'ndrangheta calabrese, ha plaudito con impercettibile anticipo alla radio tedesca Swr un «governo filoeuropeo ora in carica». Il politico della Cdu che aveva auspicato che i mercati insegnassero a votare agli italiani ha quindi salutato con favore il fatto che si sia posto un limite al «populista che fa politica in costume da bagno», e ha garantito che ora la Commissione è pronta a «fare tutto il possibile per facilitare e premiare il lavoro del nuovo governo italiano». Frasi che, a poche ore dal tweet del ministro dell'Economia tedesco Peter Altmaier («Buone notizie dall'Italia!»), stridono con la narrativa delle regole Ue «indipendenti» dalla politica, in applicazione di Trattati e vincoli asettici e neutri, ma non è neppure questo il punto.Tale univoco plauso, che unisce gerarchie ecclesiastiche e commissari europei, stampa e osservatori vari, sembra derivare da un'ottica secondo cui, adesso che non c'è più il «populista», ci tratteranno finalmente meglio. È una riedizione della vecchia teoria del vincolo esterno, che ha in Guido Carli, Ciampi, Padoa-Schioppa, Prodi e Monti i suoi massimi interpreti: l'idea secondo cui un Paese incapace di autogovernarsi ha bisogno di una guida esterna e superiore che ne disciplini gli eccessi con dinamiche al riparo dai mutevoli umori popolari. Un metodo che contrappone la tecnica (la «competenza») al consenso, e sostanzialmente riduce la politica allo spazio di legittimazione ex post di decisioni prese altrove. Il passato recente dovrebbe far supporre che tali decisioni potrebbero non essere esattamente nell'interesse del nostro Paese. Eppure, quando tale vincolo diviene strumento di ascesa al potere per chi lo legittima, esso trova sempre attenti e geometrici cantori.Ieri Lucia Annunziata, non proprio una sfrenata sovranista, ha scritto che Conte rappresenta lo «strumento per il nuovo passaggio politico che l'Europa e le classi dirigenti euronazionali vogliono per l'Italia». Non è troppo paradossale l'ultima metamorfosi grillina, che - per bocca del suo fondatore - chiude il cerchio tra antipolitica del vaffa e celebrazione dei «competenti» da mettere ai ministeri al posto dei «politici». Entrambe le pulsioni stringono spazi e legittimazione della rappresentanza, e sono pacificamente l'uno al servizio dell'altra, come mostra la genesi dell'esecutivo in costruzione. Nel quale i voti conferiti a un movimento sorto dalla ribellione nei confronti dello status quo sono portati al tavolo con il partito più prossimo alla configurazione di interessi del medesimo status quo. Vincolo esterno, tecnocrazia e populismo vanno così in pieno corto circuito. Per usare la sintesi di Jean Claude Michéa: «L'idea in base alla quale il governo migliore sarebbe quello degli “esperti" non mira soltanto a destituire la sovranità popolare per “incompetenza"; essa implica anche la destituzione del politico. Induce a pensare che, in ultima analisi, i problemi politici sono solo problemi “tecnici", per i quali può esistere razionalmente un'unica soluzione ottimale, che spetta appunto agli esperti determinare. È il fondamento dell'idea liberale, secondo cui “non c'è alternativa"».Problema: la coazione del vincolo esterno che garantirebbe al Paese una patente di presentabilità e non belligeranza, assieme all'assunto per cui ogni voto in uscita da soluzioni «di sistema» è dovuto a manipolazioni o impulsi irrazionali, è la benzina perfetta al problema che si vorrebbe abolire. In parole più semplici: la Lega di Salvini è la causa dei problemi o ne è piuttosto un sintomo? Al prossimo giro, altri ottimismi rischiano dolorose frustrazioni.
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