2022-07-27
Il governo allarga il golden power. Fiamme gialle garanti della sovranità
Giuseppe Zafarana (Imagoeconomica)
Palazzo Chigi sigla un protocollo con la Guardia di finanza. Che non solo riceverà le informazioni in tempo reale per verificare le acquisizioni sospette di aziende, ma potrà anche segnalare elementi raccolti autonomamente.La legislatura che va a terminare il 25 di settembre è stata la più attiva nell’ampliare e attualizzare le norme del golden power, la dottrina dello Stato che mira a difendere, tutelare le aziende sensibili e basilari per la sovranità e la sicurezza nazionale. Il Copasir, prima sotto la guida di Lorenzo Guerini, poi di Raffaele Volpi e infine di Adolfo Urso, ha studiato le strategie e ampliato le competenze e la mobilità del comitato che risiede a Palazzo Chigi. A livello politico, il governo che più ha prestato attenzione alla sicurezza delle aziende (soprattutto difendendole dall’aggressività cinese) è stato quello di Mario Draghi. Innanzitutto ha segnato una grande discontinuità con il Conte bis. Basti ricordare che il governo giallorosso almeno fino ad agosto 2020 ha rischiato di affidare il 5G alle aziende cinesi, Huawei e Zte, e solo l’arrivo di Mike Pompeo a Roma nell’ottobre del 2020 ha permesso un cambio di linea. Draghi si è spinto molto in là nella difesa dei nostri asset. Mentre il Parlamento allargava gli ambiti, Palazzo Chigi interveniva apertamente nei settori dell’aviazione, dei microchip e di tutta la tecnologia delle tlc. Un caso particolare quello delle sementi. Nonostante il ministero dell’Agricoltura guidato dal grillino Stefano Patuanelli non ravvedesse alcun estremo di golden power, Draghi è arrivato a stoppare l’acquisto di una piccola ma fondamentale azienda con un background di sementi uniche al mondo. A essere fermato è stato il colosso svizzero Syngenta posseduto a sua volta da Pechino. L’episodio è estremamente emblematico. Da un lato, i 5 stelle continuano a dimostrarsi aperturisti verso i cinesi, dall’altro, Palazzo Chigi ha ritenuto opportuno sbugiardare apertamente un suo ministro per tutelare - giustamente - una peculiarità tutta nostra. Dietro si cela la grande battaglia della Cina per mettere le mani sulla diversità agricola e trasformarla in arma di colonizzazione dell’Africa. Un tema troppo delicato ed ampio per essere lasciato nelle mani di un singolo ministero e pure del colore politico si un singolo governo. Così Draghi ha pensato bene di ampliare e riformare il comitato del golden power. La Verità se ne è occupata in più occasioni nelle ultime settimane. Con articoli critici di fronte al rischio che le nomine del nuovo comitato siano di un colore troppo simile a quello del Pd o di Massimo D’Alema. In questo caso il rischio sarebbe un implicito indirizzo politico, per giunta troppo spostato in una singola direzione. Ecco però che Draghi il giorno stesso in cui ha rassegnato le dimissioni con un colpo di tacco sigla un protocollo d’intesa che sembra destinato a rendere il golden power una attività costante e nel corso delle future legislazioni. Palazzo Chigi sigla infatti un protocollo di collaborazione futura con il comandante della Guardia di finanza, Giuseppe Zafarana. L’accordo dura due anni e poi sarà rinnovato in automatico. Il cambio di passo è notevole. La Gdf non solo riceverà le informazioni in tempo reale dal comitato del golden power per verificare la veridicità delle dichiarazioni e delle richieste di acquisizione di aziende, ma sarà anche proattiva. Dall’articolo 3 del documento si evince chiaramente che i reparti delle Fiamme gialle potranno segnalare ogni elemento autonomamente raccolto sul territorio e nell’ambito delle attività ordinarie dell’istituto. In poche parole, con la firma del protocollo i futuri governi non si limiteranno a vagliare i fascicoli o intervenire nel caso in cui un’inchiesta giudiziaria dimostri il danno avvenuto, ma potranno anche fare attività di prevenzione. L’obiettivo è intervenire prima che i buoi siano fuggiti. Non che oggi non si faccia. Molti interventi di messa in sicurezza li dobbiamo ad Aise ed Aisi, ma poterlo fare con la Gdf significa mettere in campo una vera e propria economia di scala. Il caso Alpi Aviation, ad esempio, si sarebbe potuto interrompere con largo anticipo. Un conto è sanzionare la vendita e la violazione delle norme. Fermare le operazioni in anticipo, nel caso dell’azienda friulana, avrebbe impedito il passaggio del know how sui droni che i cinesi hanno assorbito via Hong Kong.In futuro saranno disponibili i reparti speciali del corpo, attivabili in base alle singole competenze, ma ciò che è ancora più importante sarà avere a disposizione le orecchie e gli occhi sul territorio. Senza contare un terzo punto. Altrettanto importante. Inserire nel circuito del golden power anche le Fiamme gialle garantirà continuità istituzionale a un tema geopolitico di importanza crescente. Il mondo si sta riorganizzando secondo la logica del friendshoring, cioè la programmazione di una catena logistica soltanto nei Paesi che sono all’interno della stessa alleanza politica o militare. Non solo. Anche la condivisione di tecnologia potrà avvenire dentro i medesimi perimetri. Non solo per la tecnologia militare, ma per tutti gli aspetti della produttività. Tutto ciò comporterà sbalzi notevoli e cambiamenti a tutti i livelli produttivi. È chiaro che il comitato del golden power da solo non sarebbe stato sufficiente ad affrontare una cambiamento storico come quello a cui stiamo andando incontro. Servivano nuove prerogative. Ora ci sono, anche se l’eredità di Draghi sul golden power sarà compresa e valorizzata soltanto fra qualche anno.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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