2022-09-18
Il giardino giapponese per meditare tra fiori e alberi nel cuore di Roma
Vicino alla stazione di Trastevere, sorge il tempio buddista Anshin. Un’oasi di pace tra vegetazione, statue e un laghetto con carpe koy e pesci rossi, dove rifugiarsi e immaginare di essere nel Paese del Sol Levante.L’Italia nostra è cambiata. La gente è cambiata, gli abiti sono cambiati, le lingue che senti per strada sono cambiate. I modi di fare, di dire, di entrare e di uscire, l’estetica dei manifesti, a parte i manifesti dedicati alle elezioni politiche che non si sa per quale miserevole ragione restano puntualmente orrendi, da una elezione all’altra, da un’epoca alla successiva. Ovviamente anche Roma in diversi aspetti è cambiata. Non sempre in meglio, si pensi al traffico, alla complessità, e all’audacia nel potersi affidare al servizio pubblico dei trasporti. Roma è cambiata anche grazie ai nuovi musei, alla maggiore attenzione - bastava assai poco - nei riguardi dei beni comuni e dei monumenti artistici, le rovine, le chiese, le statue. E può anche capitare che Roma ogni tanto sembri quasi Tokyo, o Kyoto, od Osaka, che in questa enorme ricchezza di architetture e stratificazioni di stili e di gusti si aprano inattesi spicchi di religione buddista, di cultura ed estetica zen, piccoli Giappone italianizzati. Forse non molti lettori lo sanno ma Roma è anche una città buddista, ospita diverse comunità, diversi monasteri e templi e centri. In alcuni di questi si può praticare la meditazione seduta e silenziosa, che i giapponesi chiamano zazen, dove si possono andare a imparare e ripetere tutti insieme le preghiere buddiste, i sutra, in giapponese ma anche tradotti magari in italiano. Dove si può dialogare con guide spirituali che magari si sono formate in Francia, dove esiste il maggiore tempio e monastero zen d’Europa, o negli Stati Uniti, dove ci sono centri buddisti enormi, a San Francisco, Los Angeles, New York, ad esempio. O che sono stati addirittura in Giappone per anni, adattandosi ad una cultura così rigorosa e diversa rispetto la nostra.Giovanna è una ragazza di trent’anni. Fin da ragazzina ha sempre amato il Giappone, leggeva tanti manga, i fumetti giapponesi, ascoltava la musica che arrivava da quelle parti, come Ryuichi Sakamoto, il compositore che ha eseguito anche alcune colonne sonore dei film di Bertolucci, come L’ultimo imperatore e Il tè ne deserto. Oppure Monday Michiru e i tanti jazzisti di Osaka. O ancora i Pizzicato Five, con quella loro estrosa simpatia, le copertine alla moda, i vestitini della cantante. E poi i romanzi, sia i classici che i nuovi autori recenti, da Banana Yoshimoto a Kaho Nashiki, da Aki Shimazaki a Yukio Mishima, da Tanizaki e Kawabata e Oe a molti altri. All’università Giovanna ha studiato cultura e lingue orientali, giapponese e cinese, anche se poi, una volta laureatasi non ha continuato in accademia, non si è trovata per niente bene con i suoi eventuali e futuri colleghi, anzi, la solita manfrina della furbizia, le gentilezze non richieste per farsi ben volere dai docenti che ti potrebbero aiutare, i favoritismi agli esami, insomma tutta una grammatica dei comportamenti che l’hanno disgustata e alla fine allontanata. Preferisce, come fa, lavorare come cassiera in un supermercato, sei giorni su sette, guadagnarsi il suo modesto stipendio, avere la sua piccola abitazione, amare la sua gatta Istrice, e quindi venire a praticare il buddismo in un tempio della Capitale. Non cerca altro, non sente, almeno in questa fase della sua vita, di aver bisogno proprio di nient’altro.Giovanna partecipa agli incontri di un comunità in un tempio che i fondatori hanno chiamato Anshin, che vuol dire Pace nel cuore. Bello, no? Pace nel cuore, non è questo che tutti più o meno desideriamo per la nostra vita? La guida spirituale è un uomo, ovviamente con la testa liscia, amante anche della musica rock e un ex ballerino, è stato a imparare in tanti paesi. La sua sposa è una monaca, anche lei ex ballerina, che incarna il ruolo della grande mamma accogliente e ospitale, la chioccia che si occupa di tanti aspetti che il marito invece non riesce, o non è capace di seguire. Entrambi si sono formati con importanti maestri giapponesi, e insieme custodiscono questo piccolo spazio animoso e animato a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria di Trastevere. Giovanna inizialmente era intimorita, la spaventavano non tanto i quaranta minuti di meditazione a gambe incrociate, non tanto le preghiere da imparare a memoria, erano gli altri praticanti a intimorirla, la loro serietà, anche una certa mancanza di empatia, il gran controllo, e forse quella che inizialmente le appariva come una certa arroganza verbale. Ma poi si è lasciata andare, talvolta le persone si comportano come quei cani che se sentono che tu li temi, o non ti fidi, si fanno ostili, violenti, aggressivi, e ti minacciano come a dire: come ti permetti di trattarmi così? Come ti permetti di tenermi a distanza? Come ti permetti di non amarmi incondizionatamente? Forse avrebbe dovuto fare così anche all’università ma oramai è un capitolo chiuso.Ai piedi dell’appartamento che ospita una cucina e le sale di meditazione, il tempio ha uno splendido, miracoloso giardino giapponese, con tanto di piante giapponesissime, statue e un delizioso laghetto con dentro carpe koi e pesci rossi. Il giardino è stato coltivato dai due monaci nel cuore dei palazzi, dove un tempo esisteva soltanto una distesa di cemento. Grandi piante dalle foglie enormi, e anche un ginkgo della pace, un alberello che è nipote o comunque discendente di uno di quei superstiti all’atomica di Hiroshima, pensa te. Qui, ogni volta che può, Giovanna viene a dare una mano, per sistemare, per potare, per pulire e bagnare. E qui, lei, quando può, medita in silenzio, soprattutto la sera, d’estate, scansando col pensiero le frasi e i dialoghi degli inquilini che ovviamente giostrano la loro esistenza così come deve accadere. Tra queste piante Giovanna immagina di essere in Giappone, nel suo Giappone letterario, magari in un celebre tempio di Kyoto, o nei giardini pubblici di Tokyo, o ancora tra i boschi che risalgono il vasto cono del Fuji San, il vulcano simbolo del paese. Ama il silenzio di queste piante, la loro rigogliosa ombrosità, ci parla e tenta di ascoltarle, per quel che riesce. O che sente di riuscire. Ogni tanto sussurra qualcosa anche in Giapponese, come se fosse una massaia nel quartiere di Shinjuku. Invece è nel cuore di Roma.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)