2021-12-12
Il gelo olimpico anti Pechino spaventa l’Ue
Atleti USA a Tokyo 2020 (Ansa)
Dopo il boicottaggio di Usa, Uk e Canada sui Giochi invernali, c’è attesa per le mosse europee. Con Berlino e Roma strette nella morsa tra affari e «doveri» occidentali. Saranno pure olimpiadi invernali, ma si preannunciano decisamente calde. Gli Stati Uniti hanno da poco annunciato di aver optato per il boicottaggio diplomatico delle prossime olimpiadi invernali cinesi. La formula, fatta immediatamente propria anche da inglesi, australiani e canadesi, esprime una dura condanna delle violazioni dei diritti umani da parte della Cina e descrive l’assenza di delegazioni politiche alle olimpiadi, ma fa salva la partecipazione degli atleti alle competizioni sportive. Washington, nonostante le pressioni di chi chiedeva il ritiro degli atleti, ha dunque scelto una via intermedia tra il ponziopilatismo occidentale del 1936, quando i Giochi Olimpici ebbero luogo nella Germania già nazista, e il ritiro drastico. Fino ad ora, inoltre, la soluzione del boicottaggio diplomatico è stata di fatto adottata dai soli angloamericani. È probabile che il Giappone si accoderà, mentre le cancellerie degli altri Paesi – europei in testa - si mostrano titubanti. Va detto che, per ora, mancano ancora all’appello i tedeschi, e che c’è grande attesa per le prime mosse di Annalena Baerbock, la neo ministra verde degli esteri tedesca, di cui sono note le posizioni anti cinesi. Quanto agli atleti, al momento preferiscono non fare esternazioni, benché siano acclarate gravissime violazioni di diritti umani e nonostante il clamore suscitato dalla vicenda della tennista Peng Shuai. Sbaglia, tuttavia, chi pensa che l’impatto del boicottaggio diplomatico sarà marginale. In attesa infatti di capire se anche una recrudescenza di Covid funesterà le olimpiadi invernali in Cina, i riflettori si sono spostati sul mondo del business. Ecco perché.Il mondo delle imprese è preso tra due fuochi. Da una parte vi è il partito comunista cinese, sfidato sul piano simbolico e nervoso come non mai. Dall’altra i grandi brand che hanno nelle manifestazioni sportive di massa una tribuna globale di visibilità, e sudano freddo all’idea di dover fare una scelta di campo. Eppure è proprio questo lo scenario che si prospetta. La crescente moralizzazione dei mercati di capitale rappresenta una delle principali tendenze della contrapposizione tra Occidente e Cina. Richard Haass, presidente dell’autorevole Council for foreign relations, non ha mancato di esplicitarlo. Con un tweet di pochi giorni fa, Haass ha chiarito che le prossime olimpiadi in Cina saranno soprattutto un grande banco di prova per il mondo degli investitori Esg. Si tratta degli investitori che, nello scegliere dove e quanto investire, assegnano un peso significativo alla tutela degli aspetti ambientali, sociali e di governance. I fondi Esg sono dominati a loro volta dagli anglo-americani, e hanno un potere di condizionamento enorme. A temere «pagelle così così» sono tutti i grandi gruppi che fanno affari con la Cina e hanno chiuso più di un occhio sulle micidiali violazioni dei diritti umani da parte di Pechino. Il tema è particolarmente delicato per i grandi gruppi europei, e tedeschi in particolare. A essere messa in discussione è infatti la natura mercantilistica della strategia economia delle imprese tedesche, che per molti anni hanno derubricato gli aspetti etico-morali a fastidioso ingombro, e ora sono giudicate proprio su questa base.A Pechino non è ovviamente sfuggita la tenaglia «morale» occidentale che sta serrando il Dragone. I vertici del Partito comunista cinese hanno scelto di reagire reclutando come testimonial i grandi imprenditori occidentali. Come? Nel corso delle scorse settimane, molti tycoon occidentali sono stati espressamente richiesti di prendere posizioni a sostegno della Cina. Tale richiesta si è accompagnata con la minaccia di chiudere l’enorme mercato cinese in caso di riluttanza ad assecondare le richieste di Pechino. Chi si è prestato a lodare lo status di superpotenza della Cina, come Elon Musk, ha però quasi subito avuto problemi negli Usa. Lo dimostra la micidiale indagine della Sec, l’autorità di borsa statunitense, a carico di Tesla. Non se la passa molto meglio Tim Cook, il boss di Apple, di cui stanno emergendo gli imbarazzanti accordi con la Cina. Sono «punizioni» esemplari, che non passeranno inosservate. La sensazione è gli Usa abbiano deciso di arruolare corporate Usa nel confronto con la Cina, e che non saranno ammessi comportamenti opportunistici di alcun tipo. Le rappresaglie cinesi non fanno più paura di quelle americane, che in più incorporano lo stigma morale.
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)