2022-07-10
Il G20 di Bali finisce in nulla. Usa e Cina si parlano solo per litigare ancora su Taiwan
Antony Blinken e Wang Yi (Ansa)
Faccia a faccia tra il segretario di Stato, Antony Blinken, e l’omologo Wang Yi: Pechino resta ambigua sul dossier ucraino ma non arretra di un millimetro sull’isola contesa.Una silenziosa ambiguità rispetto alla guerra scatenata dai russi in Ucraina, e un esplicito - oltre che pesantissimo - avvertimento agli americani rispetto alle mire di Pechino su Taiwan. Sono questi i due messaggi, per nulla rassicuranti, lasciati a verbale dal capo della diplomazia cinese nel suo colloquio bilaterale con il suo omologo statunitense.Cominciamo dal primo fronte, quello russo-ucraino. A Bali, in Indonesia, a margine del G20 dei ministri degli Esteri, il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha chiesto alla Cina di condannare l’aggressione russa contro Kiev. A riferirlo è stato lo stesso Blinken: «Questo è davvero il momento in cui tutti noi dobbiamo alzarci in piedi, come ha fatto un Paese del G20 dopo l’altro, per condannare l’aggressione e chiedere, tra le altre cose, che la Russia permetta l’accesso ai prodotti alimentari bloccati in Ucraina». Dunque, l’uomo di Washington cerava sostegno sia sul fronte principale (isolare Mosca) sia sui danni collaterali prodotti dal conflitto (la crisi alimentare). Blinken ha pure aggiunto di non aver visto «alcun segno» di cooperazione da parte della Russia. Non solo: il capo della diplomazia Usa ha dichiarato di sperare in «colloqui costruttivi» con la Cina, riferendosi al suo bilaterale con l’omologo Wang Yi: «In una relazione complessa come quella tra Stati Uniti e Cina, c’è molto di cui parlare», ha un po’ tautologicamente osservato Blinken.E la risposta del ministro cinese? Vaga ed elusiva su questo versante: «Il presidente Xi Jinping crede nella cooperazione e nel rispetto reciproco tra le due maggiori potenze economiche del mondo. La Cina e gli Stati Uniti sono due Paesi principali ed è necessario che mantengano scambi normali».La realtà è che Pechino si è sempre tenuta ambigua sull’attacco di Vladimir Putin all’Ucraina. A volte, nei mesi passati, la diplomazia cinese (dando un oggettivo dispiacere a Mosca) ha diffuso note in cui si evocavano i principi della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina. Altre volte invece, dando copertura pressoché piena a Putin, Pechino ha sottolineato la sua comprensione per le preoccupazioni di Mosca rispetto alla Nato. Oscillando tra questi due lati del pendolo, Pechino non manca mai di manifestare freddezza e ostilità verso la Nato. Ancora l’altro ieri, proprio a Bali, la delegazione cinese ha ripetuto il suo solito mantra, accusando l’Occidente e dichiarando che Pechino si oppone sia a «un confronto tra blocchi» sia a «una nuova guerra fredda». La realtà è che Pechino, rispetto alla vicenda russo-Ucraina, si ritiene in una posizione win win. Se le cose andassero bene per Mosca, la Cina considererebbe quella vicenda un precedente tale da corroborare le proprie mire su Taiwan. Se invece Mosca uscisse indebolita e isolata, a maggior ragione Pechino punterebbe a sfruttarne le risorse energetiche, e a considerare la Russia uno junior partner rispetto al proprio ruolo di capofila dello schieramento anti Occidente. Si diceva di Taiwan. Proprio nel corso del colloquio tra Wang Yi e Blinken, il rappresentante cinese ha lasciato a verbale un autentico avvertimento, chiedendo esplicitamente agli Usa di non ostacolare quella che il cinese - con scelta lessicale perfino irridente - ha definito la «riunificazione pacifica» con Taiwan, che Pechino ha sottolineato di considerare parte «inalienabile» suo territorio. Se sull’Ucraina Wang Yi era stato ambiguo, in questo caso è stato dunque tragicamente chiaro: «Dal momento che gli Usa hanno promesso di non sostenere l’indipendenza di Taiwan, dovrebbero smettere di svuotare e distorcere la politica dell’Unica Cina». E ancora: «Washington deve smettere di giocare la carta di Taiwan per ostacolare il processo di riunificazione pacifica della Cina».Tornando alla guerra tra Russia e Ucraina, e tirando le somme del G20, Blinken ha cercato di accreditare la tesi di un allargamento del fronte contrario a Mosca: «Abbiamo sentito un coro forte da tutto il mondo, non solo dagli Stati Uniti, sulla necessità di porre fine all’aggressione in Ucraina». Secondo la ministra francese Catherine Colonna, nessuno (Brics inclusi) «ha difeso l’atteggiamento russo», mentre per Luigi Di Maio «la Russia ha distrutto la nostra fiducia». Più sfumata la posizione della padrona di casa, la ministra indonesiana Retno Marsudi, che non ha parlato di unanimità, pur sottolineando la condanna di molti paesi membri contro la Russia. In ogni caso, nessun documento è stato prodotto in conclusione dei lavori. E a questo si è prevedibilmente appellata Maria Zakharova, la portavoce di Sergei Lavrov, per affermare che il «tentativo del G7 di isolarci è fallito». Sta di fatto che però il rientro di Mosca nei consessi internazionali è avvenuto all’insegna del gelo e della distanza. Conclusivamente, resta la sensazione di un vertice - quello di Bali - rivelatosi un flop totale: Occidente e Russia hanno ostentato un dissenso per nulla ridimensionato; al di là di vaghe dichiarazioni di principio, non sembrano esserci novità nemmeno per la crisi alimentare e lo sblocco del grano fermo nei porti ucraini; e soprattutto non si vedono all’orizzonte iniziative diplomatiche in grado di aprire la strada né a un cessate il fuoco né tantomeno a un negoziato. E ieri, come abbiamo visto, si è aggiunta una quanto mai esplicita e ulteriore minaccia cinese contro Taiwan. Si preparano mesi incerti e assai cupi.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson