A giugno, le emissioni nette di titoli di Stato italiani sono state pari a 21 miliardi, con Spagna, Francia e Germania attestate rispettivamente a 68, 61 e 34 miliardi. Non può più essere un caso: evidentemente Roberto Gualtieri punta da mesi al fondo Salvastati.«Cash is the king». Questa frase, che non richiede traduzione, è utilizzata nel mondo degli affari per affermare che ciò che conta sono i flussi di cassa. Il resto sono chiacchiere.E, purtroppo per l'Italia, il confronto con le altre maggiori economie della Ue, basato sui dati al 30 giugno, rivela che il ministro Roberto Gualtieri continua ad avere il braccino corto nel mettere mano al portafoglio. La misura oggettiva e incontestabile per capire quanto il governo stia spendendo per mitigare l'impatto della crisi da Covid 19 la fornisce l'andamento delle emissioni lorde e nette (quelle dopo aver rimborsato i titoli giunti a scadenza) dei titoli di Stato. E i dati di giugno e del secondo trimestre sono impietosi, sia in assoluto sia relativamente agli altri Paesi. La responsabilità non va ascritta appena al ministro, ma a tutto il governo del presidente Giuseppe Conte. Infatti il Tesoro emette titoli se e solo se ci sono fabbisogni da finanziare, non certo per tenere il denaro parcheggiato nel conto disponibilità presso la Banca d'Italia. Quindi se il Tesoro non si approvvigiona di denaro emettendo titoli, significa che le misure per il rilancio del Paese sono modeste in sé e non stanno «tirando» a sufficienza. Di conseguenza, arriva poca liquidità ad imprese e lavoratori. In parole povere, gli italiani continuano a versare troppe tasse e lo Stato continua a non incrementare significativamente la spesa pubblica.Il maggior deficit varato dal governo con i decreti di primavera è pari a 75 (20+55) miliardi per il 2020 che, in termini di saldo netto da finanziare significa ben 180 miliardi (25+155). Presto se ne aggiungeranno rispettivamente 25 e 32, sempre per il 2020.Tutta questa annunciata potenza di fuoco ha però fatto sì che, nel secondo trimestre, le emissioni nette di titoli italiani siano stati pari a 101 miliardi, dei quali, però ben 31 sono finiti a rimpolpare il conto disponibilità che a fine marzo era sceso pericolosamente a 29 miliardi, ed è tornato a 60 a giugno. Quindi solo 70 miliardi netti in 3 mesi utilizzati per finanziare l'economia boccheggiante. Quasi quanto la Spagna, che ha un debito pubblico e livello del Pil nettamente inferiori all'Italia, e molto meno di Francia e Germania, attestate rispettivamente a 174 e 119 miliardi. Osservando le emissioni lorde, come piace a Gualtieri, il risultato non cambia. Il dettaglio del solo mese di giugno fornisce un quadro ancora più preoccupante. Emissioni nette italiane pari a 21 miliardi, con Spagna, Francia e Germania attestate rispettivamente a 68, 61 e 34 miliardi.Interessante è anche il confronto con il 2019, per comprendere la diversa intensità della spinta messa in atto da ciascun Paese. Rispetto a giugno 2019, le emissioni nette dell'Italia restano stabili ed aumentano di 78 miliardi nel confronto trimestrale. Ben poca cosa rispetto agli incrementi registrati da Spagna, Francia e Germania (62, 44 e 45 miliardi rispettivamente). L'Italia procede col passo della tartaruga anche osservando l'incremento delle emissioni nell'intero secondo trimestre.Ma vi è di più. In questi mesi il mercato dei titoli di Stato è stato dominato dalla Bce che ha eseguito acquisti netti di nostri titoli per circa 75 miliardi, quindi solo 26 miliardi sono stati assorbiti da banche, famiglie ed investitori esteri. La buona notizia è che quei 75 miliardi, finché saranno rinnovati (almeno fino a dicembre 2022) non produrranno costi per lo Stato, in quanto i relativi interessi torneranno nelle casse statali sotto forma di dividendi di Bankitalia. La cattiva notizia è che un mercato così affamato di rendimenti è stato tenuto quasi a stecchetto, e non si è approfittato della copertura della Bce per mettere fieno in cascina in vista di un autunno che si preannuncia difficile.Di fronte all'ordine di grandezza di questi numeri, stupisce che il Mef ritenga opportuno emettere un comunicato per salutare con favore il finanziamento di 2 (due!) miliardi erogato dalla Bei per l'emergenza sanitaria. Roba da Paese sull'orlo del collasso finanziario che però ci dà la misura della difficoltà in cui è Gualtieri. Infatti, ricordiamo che Bei, Mes e altri strumenti, finanziano un fabbisogno già preesistente, sostituendo l'emissione di titoli o, in alternativa, il Tesoro per giustificare l'accesso a tali strumenti di finanziamento deve avere deficit aggiuntivo da finanziare. In altre parole, a legislazione vigente, il ricorso al Mes si risolverebbe in un buco nell'acqua, in quanto andrebbe a finanziare necessariamente spese già stanziate, nelle quali però non ci sono i progetti faraonici di potenziamento della sanità di cui si favoleggia in questi giorni. Per utilizzare il Mes per questi progetti, si deve prima richiedere un ulteriore (e sarebbe il quarto) scostamento del deficit e poi indicare come forma di finanziamento il Mes o suoi equivalenti. Nei deficit già stanziati c'è ben poca cosa finanziabile dal Mes. Accadrà la stessa cosa anche col Recovery fund nel 2021. Banalizzando, se qualcuno di noi potesse accedere ad un finanziamento per il rifacimento degli infissi della propria abitazione, delle due, l'una: o ha già quella spesa nel proprio budget familiare e quindi sfrutta lo strumento, o programma una spesa aggiuntiva per quelle opere.Gualtieri ha tenuto stretti i cordoni della borsa probabilmente perché contava, sin da marzo, di chiedere il Mes «full optional». Ora invece si ritrova il Paese affamato di liquidità e il Mes che, per essere utilizzato in modo significativo, richiede nuovo deficit.
Lucetta Scaraffia (Ansa)
In questo clima di violenza a cui la sinistra si ispira, le studiose Concia e Scaraffia scrivono un libro ostile al pensiero dominante. Nel paradosso woke, il movimento, nato per difendere i diritti delle donne finisce per teorizzare la scomparsa delle medesime.
A uno sguardo superficiale, viene da pensare che il bilancio non sia positivo, anzi. Le lotte femministe per la dignità e l’eguaglianza tramontano nei patetici casi delle attiviste da social pronte a ribadire luoghi comuni in video salvo poi dedicarsi a offendere e minacciare a telecamere spente. Si spengono, queste lotte antiche, nella sottomissione all’ideologia trans, con riviste patinate che sbattono in copertina maschi biologici appellandoli «donne dell’anno». Il femminismo sembra divenuto una caricatura, nella migliore delle ipotesi, o una forma di intolleranza particolarmente violenta nella peggiore. Ecco perché sul tema era necessaria una riflessione profonda come quella portata avanti nel volume Quel che resta del femminismo, curato per Liberilibri da Anna Paola Concia e Lucetta Scaraffia. È un libro ostile alla corrente e al pensiero dominante, che scardina i concetti preconfezionati e procede tetragono, armato del coraggio della verità. Che cosa resta, oggi, delle lotte femministe?
Federica Picchi (Ansa)
Il sottosegretario di Fratelli d’Italia è stato sfiduciato per aver condiviso un post della Casa Bianca sull’eccesso di vaccinazioni nei bimbi. Più che la reazione dei compagni, stupiscono i 20 voti a favore tra azzurri e leghisti.
Al Pirellone martedì pomeriggio è andata in scena una vergognosa farsa. Per aver condiviso a settembre, nelle storie di Instagram (che dopo 24 ore spariscono), un video della Casa Bianca di pochi minuti, è stata sfiduciata la sottosegretaria allo Sport Federica Picchi, in quota Fratelli d’Italia. A far sobbalzare lorsignori consiglieri non è stato il proclama terroristico di un lupo solitario o una sequela di insulti al governo della Lombardia, bensì una riflessione del presidente americano Donald Trump sull’eccessiva somministrazione di vaccini ai bambini piccoli. Nessuno, peraltro, ha visto quel video ripostato da Picchi, come hanno confermato gli stessi eletti al Pirellone, eppure è stata montata ad arte la storia grottesca di un Consiglio regionale vilipeso e infangato.
Jannik Sinner (Ansa)
Alle Atp Finals di Torino, in programma dal 9 al 16 novembre, il campione in carica Jannik Sinner trova Zverev, Shelton e uno tra Musetti e Auger-Aliassime. Nel gruppo opposto Alcaraz e Djokovic: il duello per il numero 1 mondiale passa dall'Inalpi Arena.
Il 24enne di Sesto Pusteria, campione in carica e in corsa per chiudere l’anno da numero 1 al mondo, è stato inserito nel gruppo Bjorn Borg insieme ad Alexander Zverev, Ben Shelton e uno tra Felix Auger-Aliassime e Lorenzo Musetti. Il toscano, infatti, saprà soltanto dopo l’Atp 250 di Atene - in corso in questi giorni in Grecia - se riuscirà a strappare l’ultimo pass utile per entrare nel tabellone principale o se resterà la prima riserva.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Negli anni Dieci del secolo XX il fisiologo triestino Amedeo Herlitzka sperimentò a Torino le prime apparecchiature per l'addestramento dei piloti, simulando da terra le condizioni del volo.
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Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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