2019-01-24
Il franco Cfa è una moneta coloniale. Lo dicono pure i francesi e i tedeschi
Numerose inchieste mostrano che il sistema impoverisce l'Africa. Le materie prime vengono vendute a Parigi a prezzi di sconto e la Cina, sola rivale, aggira la gabbia valutaria con il baratto in infrastrutture.«Non vogliamo giocare al concorso di chi è più stupido. Con l'Italia abbiamo molte cose da fare e vogliamo continuare a farle», ha detto la ministra francese per gli Affari europei, Nathalie Loiseau, nel tentativo di smorzare e al tempo stesso denigrare la polemica che si è scatenata dopo le accuse dei 5 stelle al franco Cfa. La mossa e la polemica stessa fanno abbastanza sorridere. Innanzitutto perché la valuta utilizzata in 14 nazioni africane è anche chiamata franco coloniale. Il che spiega la sua motivazione di fondo. Se non bastasse a spiegarne il senso, basta leggere una lunga serie di articoli prodotti dalla stessa Francia, ma anche dalla Germania e da riviste inglesi come l'Economist. Quest'ultimo, nel gennaio dello scorso anno ha dedicato una lunga articolessa al tema. Il Cfa è una leva di stabilità o un modello di schiavitù monetaria.Le Monde va giù ancora più duro e pubblica un'intervista a un ex ministro del Togo, Koko Nubukpo, dal titolo: «Il franco Cfa frena lo sviluppo dell'Africa». Sostanzialmente fa riferimento all'obbligo implicito di depositare presso Parigi il 50% delle rispettive riserve valutarie. In un anno la somma può arrivare a 70 miliardi di euro.Questa camera di compensazione ha due effetti. Vincolare la capacità di investimenti e fissare le transazioni relative alle materie prima. Ieri Italia Oggi ha riportato un'interessante inchiesta della radio pubblica tedesca, Deutschlandfunk, che in estrema sintesi parla di accordi commerciali capestro con il risultato conseguente di una povertà diffusa che spinge nella direzione delle migrazioni. «La Repubblica del Gabon», si legge, «si impegna a garantire risorse naturali per gli armamenti dell'esercito francese e al contrario l'export di determinate materie prime è vietato in altre nazioni». Il caso più clamoroso, racconta sempre la radio tedesca, riguarda il Niger, uno dei Paesi più poveri al mondo. Qui a essere al centro della diatriba è l'uranio. Gli accordi prevedono che la Francia, tramite Areva, abbia il diritto di prelazione sulle nuove scoperte e al tempo stessa possa offrire al Paese africano un prezzo che è circa un terzo di quello di mercato. Sono questi i punti sui quali vale la pena aprire il dibattito. Il franco Cfa è semplicemente il veicolo valutario con cui negli anni Sessanta Parigi ha imposto un rapporto di sudditanza alle ex colonie. Le neo Repubbliche non erano in grado in alcun modo di gestire le proprie Banche centrali e nemmeno di contrastare le pericolose fluttuazioni delle valute deboli e afflitte da inflazione. Entrare in uno schema protetto garantiva riparo dalla speculazione. Al tempo stesso però lo scudo si è rivelato un capestro. Molti Stati hanno adottato in parallelo valute autonome, ma senza poterle usare per transazioni internazionali né per scambi con Paesi terzi. Se torniamo all'esempio del Niger, vediamo che solo negli ultimi anni è intervenuta la Cina a rompere il monopolio. Nelle aeree del Nordest, quelle più instabili, Pechino ha preso le prime concessioni per l'estrazione dell'uranio. Il problema è avviare un trading in dollari o in yuan. Ecco perché in molti casi il Dragone offre aiuti diretti in infrastrutture e in cambio riceve materie prime. Dieci anni fa, ad esempio, la Cina costruì un'autostrada in Congo, nella provincia del Katanga. In cambio acquisì i diritti su tutte le commodity incontrate durante il percorso di costruzione. Questa forma di baratto non permetterà mai alle economie locali di crescere, tanto meno di decollare. Puntare il dito contro il franco Cfa significa andare oltre al mero dibattito valutario. Più volte la Verità ha sollevato il tema. Il monopolio francese in Africa va spezzato. Permettere che più Paesi operino nel continente almeno garantirebbe un po' di concorrenza e un sorta di limite di mercato allo sfruttamento. Puntare il dito sul Cfa non è nemmeno un tema anacronistico, perché l'obiettivo di Parigi è estenderne l'uso in Libia. La strategia francese è chiaramente sintetizzata in un documento da poco reso pubblico dall'Institut Montaigne a firma di Hakim El Karoui, consulente tecnico di Emmanuel Macron sui temi dell'islam. In sette pagine il filosofo economista (a lungo inquadrato in banca Rothschild) traccia la linea di crescita della Francia verso il Sud. La premessa spiega che negli ultimi anni Parigi ha perso smalto, influenza e di conseguenza lucidità nella propria strategia. Di conseguenza El Karoui suggerisce di attivare tre linee operative. La prima prevede lo sviluppo economico di territori come il Niger e il Mali con i quali sarebbe bene chiudere un accordo simile a quello che l'Ue ha stipulato con la Turchia. Il secondo pilastro è di lungo respiro e prettamente economico. Dopo aver smantellato l'Ufm, unione per il Mediterraneo, la Francia mira a creare organizzazioni bilaterali che stringano rapporti su singole tematiche industriali fino a raggiungere l'ipotesi di unificare gli scambi commerciali con una valuta clonata al franco Cfa. L'obiettivo è sempre lo stesso: dominare le materie prime.
Ecco Edicola Verità, la rassegna stampa del 3 settembre con Carlo Cambi