2024-06-18
Il difficile bivio della Meloni per strappare alla Ue un bel risultato per il Paese
Giorgia Meloni (Getty images)
Passare all’incasso può scoprire il premier a destra. I polacchi dell’Ecr son già tentati di uscire. E gli elettori vogliono una svolta.Quanto è complicata l’Unione europea. Non c’è da meravigliarsi che piaccia a pochi. Fregature e trattative come su una scacchiera tridimensionale: da un lato il potere che nomina la Commissione, dall’altro il Consiglio e di traverso i gruppi parlamentari eletti. In mezzo qualche opportunità e numerosi rischi di fregature. Lo sa bene Giorgia Meloni che da ieri si trova a Bruxelles impegnata a navigare in queste acque perigliose e a gestire un bivio storico. Pesare in un eventuale Ursula bis e favorire il Paese con il maggior numero di rappresentanti o mantenersi le mani libere e cavalcare una leadership nel centrodestra? La risposta è certamente prematura: le variabili sono tante, forse troppe. Primo aspetto è comprendere quanto il candidato di bandiera del Ppe, appunto Ursula von der Leyen, sia solido e in grado di stare in sella. Un conto è infatti la maggioranza dell’Europarlamento e un altro il gruppo di potere che esprime la presidenza. «Non è il mio compito convincere Meloni, abbiamo già una maggioranza con Ppe, liberali e socialisti e altri piccoli gruppi, la mia sensazione è che sia già più che sufficiente», ha detto il polacco Donald Tusk nel tentativo di mettere in un angolo l’Italia e, al tempo stesso, di prendere due piccioni con una fava. Cioè fare pressioni sulla Meloni per sostenere la fretta francese e quindi tedesca di chiudere le nomine entro giugno. Cioè, prima delle elezioni di Parigi ad alto rischio per Emmanuel Macron. Dall’altro lato mandare una sorta di pizzino a Von der Leyen e farle capire che può rientrare nei giochi alle condizioni dei Popolari che guardano a sinistra. Data la lunga premessa e il rischio che Von der Leyen sia un cavallo zoppo, per il governo italiano puntare su di lei rappresenta anche un, seppur misurato, rischio interno. Ovviamente non nei rapporti con Forza Italia ma potenzialmente nei confronti della Lega. Soprattutto se le carte si giocassero prima del voto francese che potrebbe incoronare Marine Le Pen. In tal caso l’Italia conterebbe di più in sede di Commissione ma ci troveremmo ad assistere a una destra più frammentata. Voci di ieri sera addirittura millantano il rischio che la parte polacca dell’Ecr possa spostarsi verso altri gruppi. Il che aprirebbe a sua volta un tema Parlamento. È vero che tra le condizioni che Meloni può porre a chi sosterrebbe la Von der Leyen potrebbe esserci il rispetto dei pilastri industriali chiesti da Roma durante la campagna elettorale (nuova transizione green, nucleare, leggi sugli imballaggi e Pac), ma è altrettanto vero che il presidente della Commissione non sarebbe in grado di fare il garante o di mantenere eventuali promesse. Come abbiamo visto durante la legislatura, in tantissime occasioni il Ppe ha votato con Ecr e anche i Socialisti non sempre sono stati allineati alla traiettoria del resto del trilogo. Insomma, un bel rischio. Tanto più che gli elettori italiani si aspettano che il cambio di passo sia concreto. Anche i nuovi vertici di Confindustria, per voce di Emanuele Orsini, hanno decisamente sterzato chiedendo che l’Ue non deindustrializzi il Continente. Resta, quindi, per Meloni un ultimo elemento di trattativa, nel caso decida sia opportuno avvicinarsi a una coalizione Ppe con sfumature socialiste, cioè chiedere una vicepresidenza e un commissario di peso. E qui si aprirebbe un altro complesso braccio di ferro che deve tenere conto anche della concretezza. Esempio. Se offrissero all’Italia l’Alta rappresentanza diplomatica agli Esteri, magari strizzando l’occhio alla possibilità che vada a Bruxelles Elisabetta Belloni (attuale numero uno del Dis), sarebbe il caso di rifiutare. Si tratta di un pacchetto senza portafoglio e soprattutto (basti pensare al Qatargate) sostenuto da una filiera di funzionari tutti legati ai Socialisti o direttamente al Pd nostrano. Insomma, conteremmo sulla carta e basta. Se proprio il governo decidesse di giocarsi Belloni come carta varrebbe la pena metterla su una macchina che le consentirebbe di esprimere in pieno il suo prestigio internazionale. Allora sì una vicepresidenza o perché no l’eventuale nuovo commissario alla Difesa. Certo poi ci sono altri nomi circolati sulla stampa. Giancarlo Giorgetti e Raffaele Fitto, il quale - non va dimenticato - è l’uomo che ha gettato le basi per l’exploit di Ecr. A complicare un quadro già molto complicato c’è l’ulteriore elemento geopolitico. Le alleanze vanno fatte anche in base alle posizioni sulla guerra in Ucraina, in Medioriente e in Africa. L’Italia dovrebbe porre (come ha chiesto più volte il ministro Guido Crosetto) come condizione imprescindibile lo spostamento dell’asse Nato verso Sud. Lì andrà combattuta la guerra contro i russi e i cinesi se non vogliamo lasciare ancor più a secco il Vecchio continente di materie prime. La Meloni si è inventata il piano Mattei. Poi l’ha rimpolpato con un po’ di fondi. Durante il G7 della scorsa settimana ha fatto in modo che venisse riconosciuto come strategia occidentale. Ora dovrà cercare di farlo entrare nella politica Ue. Sarebbe uno strepitoso successo. Vediamo che succederà.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.